6 Giugno 2024 - 9.58

Centri storici o centri commerciali? Il caso Vicenza: affitti alle stelle e negozi copia-incolla

di Alessandro Cammarano

Fare una “vasca” in Corso Palladio o passeggiare nelle strade adiacenti al Cardo Massimo non presenta alcuna differenza con un giro nelle vie centrali di qualsiasi altra città, non solo italiana.

Questo perché il centro storico, o meglio i centri storici hanno da tempo perduto la loro identità e le specificità che li differenziavano l’uno dall’altro a “beneficio” di un’omologazione crescente.

Non si è arrivati a questo per caso; la massificazione delle attività commerciali – lo stesso negozio di intimo lo si ritrova identico a Vicenza come a Madrid o a Berlino – è frutto di una politica commerciale scellerata che, e qui torniamo a parlare di Vicenza, è determinata in massima parte dall’aumento selvaggio e indiscriminato dei canoni d’affitto che rendono praticamente impossibile alle botteghe storiche di rimanere in attività.

Prova lampante di tutto ciò è il numero crescente di negozi vuoti in Corso Palladio.

A fare qualche domanda si apprende che, al rinnovo dei contratti di locazioni, la pigione richiesta lievita del cento per cento o poco meno.

Come può una ditta individuale sostenere un costo del genere? Semplicemente non può e allora si abbassa la saracinesca, lasciando il posto a chi invece può pagare, ovvero i grandi gruppi, quelli che hanno gli stessi negozi in qualsiasi centro commerciale di periferia.

Bisognerebbe dunque comprendere quale sia il valore assoluto del centro storico.

Oramai chi passeggia in centro non cerca beni di prima necessità o prodotti che altrove pagherebbe meno, ma cose diverse, particolari, uniche e degne di un investimento extra fatto durante una giornata o un pomeriggio di svago, tra musei ed eventi.

La stessa esigenza, se ci si riflette un momento, che può avere un turista; souvenir, cartoline e gadget stanno sempre più perdendo terreno, in favore di acquisti più particolari, che siano tipici del territorio o di difficile reperimento altrove. Ricordi di qualità, piuttosto che paccottiglia, o articoli unici nel loro genere.

Lo abbiamo già scritto in precedenza, ma torniamo a ribadirlo: in centro – e qui parliamo espressamente di Vicenza – vanno bene i negozi particolari, diversi da tutti gli altri, con prodotti locali di qualità oppure con articoli difficili da trovare in giro.

Funziona questo e funzionano le attività ristorative, i bar che sanno distinguersi, i locali che ti mettono voglia di entrare e di provare qualcosa di nuovo o di tradizionale, autentico, genuino e soprattutto di locale.

Tutto il resto non serve.

Da bandire le attività anonime e senza carattere, che farebbero fatica ovunque a tenere alzata la serranda e che in centro sono destinate alla rovina. Al bando i cloni, i duplicati, le repliche. La gente è stanca di trovare le stesse vetrine in tutte le città e cerca di meglio.

Perché non prendere esempio da chi in questo senso lavora bene ed ha ritorno?

Pensiamo al successo senza tempo di aree commerciali come quella di Ponte Vecchio a Firenze dimostra chiaramente come la distinzione sia da sempre una carta vincente ed è lo spirito di Ponte Vecchio, che bisognerebbe ritrovare, o per meglio dire “trovare”.

Vicenza deve trovare la capacità di farsi polo delle sue punte di diamante – le citiamo come un mantra: sopressa, Asiago, baccalà, vini –, invece di ridursi a ricettacolo del peggio che la globalizzazione possa offrire.

Ultimo consiglio: facciamo, anche se oramai per il Corso è tardi, come si è fatto a Lucca, dove le nuove attività sono obbligare a mantenere le insegne storiche – meravigliosi esempi di artigianato artistico e testimoni di un’epoca – dei commerci precedenti.

Sarebbe un modo per tramandare la tradizione senza girare le spalle al nuovo, anche se questo nuovo troppo spesso è brutto e squalificante.

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