EDITORIALE – Il lato oscuro della Rete e i pericoli per i nostri ragazzi
Arriva un momento, nella vita di ciascuno di noi, in cui inevitabilmente si comincia a dire “ai miei tempi”. E’ un fenomeno naturale, cui è difficile sottrarsi di fronte a cambiamenti, spesso epocali, cui abbiamo assistito in quest’ultimo mezzo secolo. E non mi riferisco solo alla scuola, al costume, ai mezzi di trasporto, alla tecnologia, e a quant’altro vi possa venire in mente. Oggi in particolare mi limito all’approccio alla sessualità.La riflessione è scaturita a fronte di una notizia di questi giorni, su cui ci soffermeremo più avanti.“Ai miei tempi”, e questa volta lo dico senza paura di essere tacciato per un “matusa” visionario che rimpiange la passata gioventù, il sesso era vissuto in modo profondamente diverso rispetto ai giovani di oggi, che sembrano considerarlo una sorta di bene di consumo.Passatemi le immagini, ma “ai miei tempi”, quando si era adolescenti, il sesso era esercitato in tre modi, con la favella, con gli occhi e con la fantasia. Con la favella, nel senso che se ne parlava tanto fra coetanei, spesso con molta approssimazione relativamente all’anatomia dell’altro sesso.Con gli occhi, in quanto si guardavano molto le ragazze, e le femminucce i ragazzi, commentando ed immaginando molto, tanto che con il senno di poi lo definirei “sesso oftalmico”.Con la fantasia, perché, inutile nascondercelo, a quei tempi, e badate bene che non parlo del medioevo, non è che le ragazze fossero disponibili a concedersi facilmente, e spesso la mano nella mano, od un fugace buffetto, aprivano la mente verso orizzonti onirici.Certo, cominciava a girare qualche copia dei primi giornali pornografici, i cui titoli sono ormai prestoria, il mitico Playboy, le Ore, Playmen ecc., ma le foto delle starlettes erano quasi “romantiche” rispetto a quello che gira oggigiorno.Fra l’altro non era facile trovarli a quell’età, e rimaneva sempre il dubbio, instillato dai preti, che “guardandoli” si rischiasse la cecità. Leggendo quello che è successo a Siena nei giorni scorsi, quello che vi ho brevemente descritto sembra il mondo di Peter Pan.Cosa è successo a Siena?Che una mamma, dopo aver scoperto nel telefonino del proprio figlio un vero e proprio “campionario dell’orrore”, ha avuto il coraggio di rivolgersi prima al Dirigente scolastico e poi ai carabinieri. Da questa denuncia è partita una doverosa indagine delle Procura della Repubblica, che apre scenari a dir poco allarmanti, che impattano e mettono in discussione l’uso di Internet da parte dei minori.La vicenda, che forse rappresenta solo la punta di un icebeg, è inquietante sia per i “contenuti”, sia per i soggetti coinvolti.Per i contenuti, in quanto si trattava di un gruppo attivo su Whattapp, denominato “The shoah party” (sic!), dove venivano diffuse e scambiate in tutta Italia immagini pedopornografiche, di apologia del nazismo, dell’antisemitismo e dell’islamismo radicale. Tra i filmati che giravano su “The Shoah Party” ce n’era uno in cui un adulto abusava di una neonata di nemmeno un anno. Un altro video riprendeva una bambina dall’apparente età di 11 anni mentre faceva sesso con due ragazzini, forse di poco più grandi di lei. Il tutto condito da insulti agli ebrei, agli omosessuali, ai migranti, ai disabili, per arrivare alla derisione della foto di un bambino calvo e dal viso terreo, perché malato di leucemia.Il campionario dell’orrore è ben più vasto, ma credo che quello che vi ho riferito sia più che sufficiente per farvi un’idea.Quanto ai soggetti coinvolti nel traffico di immagini, ed ora al centro dell’indagine giudiziaria, si tratta di 26 ragazzi,19 minorenni e 6 maggiorenni, il più anziano dei quali di 19 anni, mentre gli altri sono ben più giovani, alcuni di età inferiore ai 14 anni. Oltre a tutto cresciuti in ambienti non certo “disagiati”, e non è escluso che, alla fine delle indagini, i genitori possano essere limitati nell’esercizio della potestà genitoriale, ed affiancati da assistenti sociali.Va inoltre segnalato, a mio avviso, che non si tratta di un fenomeno concentrato in una certa zona del Paese, in quanto le perquisizioni si sono svolte in 13 Provincie, fra Toscana, Piemonte, Lazio, Campania e Calabria. Io credo si possa affermare senza ombra di dubbio che qui ci troviamo di fronte al “lato oscuro” dei social network.Perché a scambiarsi queste scene di brutalità inenarrabile sono ragazzi come i nostri figli e nipoti.In Italia il 53% dei bambini dai 6 ai dieci anni, e l’84% degli adolescenti tra gli 11 e i 14 anni ha accesso ad internet. Un numero cresciuto in modo esponenziale negli ultimi dieci anni grazie alla diffusione degli smartphone, e questo aumenta la possibilità che i minori vengano a contatto con materiale sessualmente esplicito, o siano vittime di pedofili senza scrupoli. Intendiamoci bene, qui non si tratta di fare un processo alla “Rete”, che non avrebbe poi alcun senso.Internet rappresenta a mio avviso la più grande rivoluzione della nostra epoca, ed i suoi effetti positivi li possiamo riscontrare quotidianamente in tutti i campi.Ma come ogni rivoluzione porta con sé anche nuove sfide e nuovi rischi, fra i quali le nuove forma di criminalità legate alla rete.Come sempre avviene per tutte le innovazioni, non è lo “strumento” ad essere cattivo; cattivi sono coloro che lo utilizzano per fini impropri o delittuosi. Ed i nuovi crimini che si perpetrano in rete vanno dalle estorsioni sessuali online all’appropriazione indebita di dati sensibili (e spesso di identità), dal cyberbullismo agli adescamenti. Nascondere o minimizzare il problema non serve a nulla, se non a lavarsi la coscienza, sperando che a trovarsi nei guai siano altri e non noi. Piaccia o non piaccia, i ragazzi di oggi hanno un mondo nella tasca dei jeans. Costantemente connessi, sono dipendenti dai loro smartphone e intossicati dai social network, che per i ragazzi costituiscono un luogo irrinunciabile di espressione di sé e di incontro. E poiché la dipendenza dalla rete è una dipendenza vera e propria, tanti genitori non riescono a convincere i loro figli ad avere un rapporto sano con il digitale, a ridurre i tempi di esposizione, ad adottare abitudini che li scolleghino dai device per riconnettersi alla famiglia e al mondo reale.In questo campo le Istituzioni pubbliche sono importanti, ma è evidente che non possono sostituirsi alle famiglie.Lo Stato ha più che altro la funzione di perseguire e reprimere gli abusi, quali lo sfruttamento sessuale dei minori, compresa la pornografa minorile. E onestamente non si può dire che il problema sia stato trascurato dal legislatore, che proprio l’anno scorso ha introdotto nel codice penale l’art. 600-ter, che ha aumentato le pena e le multe a carico di chi si macchia di questi gravi delitti.Ma io penso che gli Stati, nel senso di comunità internazionale, dovrebbero imporre ai grandi Network la ricerca e la cancellazione di contenuti scabrosi. Certo fino a qualche anno fa, quando la possibilità di connettersi ad internet era limitata al computer di casa, spesso a disposizione di tutta la famiglia, era più facile per i genitori controllare l’utilizzo della rete da parte dei propri pargoli. Ora l’accesso via cellulare rende molto più difficile la sorveglianza da parte della famiglia.Io credo che proibizioni o controlli ossessivi servano a poco, anche perché la fantasia dei ragazzi per eluderli è infinita. Ai genitori serve prima di tutto conoscere gli strumenti ed i comportamenti che permettono di prevenire e neutralizzare i rischi per i piccoli.E poi serve un’azione quotidiana di affiancamento e convincimento. Per spiegare agli adolescenti, tanto per limitarci ad un solo esempio, che postare una propria foto, magari in certe pose o con pochi vestiti, non è un fatto che rimane confinato in una dimensione virtuale, ma può andare ad incidere pesantemente sulla loro reputazione. Magari, tornando al discorso iniziale, aggiungendo che il sesso è qualcosa di bello, di nobile, di poetico, di naturale, e non può essere ridotto alle pose ginecologiche della pornografia. Lo sappiamo bene che certi genitori a volte rifiutano persino l’evidenza, ma si deve essere consci che cercare di coprire un figlio che commette un reato, sconfina inevitabilmente nella complicità. Tanto più che la sim card dello smartphone di un minorenne è giocoforza intestata ad un genitore, che sarà il primo ad essere interpellato dalle forze dell’ordine in caso di problemi. Uno che di informatica e di reti se ne intendeva, il fondatore di Apple Steve Jobs, in una intervista al New York Times del 2010 disse: “Dobbiamo limitare l’uso della tecnologia dentro casa da parte dei nostri bambini”. Credo di interpretare al meglio questo pensiero di Jobs, dicendo che l’obiettivo della famiglia è e resta quello di affiancare i più giovani nell’esplorazione di uno spazio pieno di tante ricchezze, ma anche di tanti rischi.