20 Giugno 2024 - 9.41

La mamma degli “Indiana Jones de noantri” è sempre incinta!

Erasmus

Nei giorni scorsi su telegiornali e  social era presente il filmato relativo a due giovani che hanno tentato di attraversare a guado il fiume Brenta a Fontaniva, nel padovano.

Immagini drammatiche, che mostrano uno due ragazzi aggrappato ad un tronco d’albero al centro del corso d’acqua in piena.

Sul posto è intervenuta una squadra dei Vigili del fuoco del distaccamento di Cittadella, una squadra SAF (Speleo Alpino Fluviali) da Padova, e l’elicottero di Venezia con i sommozzatori a bordo. 

Fortunatamente la vicenda ha avuto un lieto fine, perché a recuperare il ragazzo sul tronco ci ha pensato un sommozzatore calandosi dall’elicottero Drago 149; invece l’altro che era risuscito a guadagnare la riva da solo, è stato caricato direttamente a bordo dall’elicottero atterrato sulla sponda del fiume.

Il fatto che a Fontaniva le cose siano andate bene ci rallegra, ma non vuol dire nulla, perché tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini delle due ragazze e del ragazzo, ai quali invece sul Natisone la sorte non è stata favorevole.

E quell’immagine straziante dei tre ragazzi stretti in un abbraccio su una striscia di ghiaia e sassi sulla riva di un fiume che sta ricevendo la piena, con il  livello dell’acqua che sale vertiginosamente, mentre loro, un giovane, la fidanzata e un’amica, si stringono sempre più forte, sperando che i soccorsi arrivino, dovrebbe rimanere scolpita per sempre negli occhi di tutti noi, non solo come un simbolo di solidarietà ed altruismo, ma anche come un monito per quanti ignorano o non tengono in dovuta  considerazione i rischi che la natura può nascondere. 

Io credo che, relativamente a questo tipo di vicende, sia necessario fare un discorso chiaro, anche a costo di essere sgradevoli.

Perché non si tratta più di fatti isolati, di fatalità come si diceva una volta, ma di incidenti che al mare, nei corsi d’acqua, al lago, in montagna, ogni anno provocano sempre più vittime, nonostante lo spiegamento e l’impegno delle strutture dedicate ai soccorsi.

Inutile girarci attorno, la maggior parte di queste tragedie sono conseguenza del fatto che negli ultimi anni sembra che sempre più persone immaginino di essere degli Indiana Jones in sedicesimo, e rischiano la vita magari per un selfie scattato nel posto pericoloso, su una scogliera, sul ciglio di un burrone, su una ferrata, in mezzo ad un fiume. 

E’ evidente che servirebbe, come prima cosa, semplicemente del buon senso. 

Fatto già di per sé difficile, ma reso ancora più complicato nell’era del digitale, dove alla cultura della sicurezza, quella proposta dagli esperti, si sta contrapponendo ormai sempre di più la controcultura della stupidità, quella di certi “signor nessuno” che impazzano sui social, e che propongono ai giovani sfide estreme e avventure pericolose.

Io lo so bene che alle mamme dei ragazzi morti sul Natisone è difficile dire quello che molti italiani pensano, e che non dicono per il dovuto rispetto alle giovani vittime, e cioè che forse non era il caso di andare in mezzo ad un fiume a corso torrentizio in una fase meteorologica di super piogge, senza tenere in alcun conto il rischio di una piena improvvisa, come poi è purtroppo avvenuto. 

Come capisco, perché intimamente “umano”, che dopo fatti del genere i genitori straziati siano tutti ad invocare “giustizia”, mettendo in dubbio la tempistica e l’efficacia dei soccorsi.

Ma per me resta sempre il fatto che, se si può, è sempre meglio evitare rischi inutili, perché sappiamo tutti che non è certo un cartello di divieto in più ad impedire alle persone di accedere a luoghi pericolosi.

Lo vediamo ogni giorno sulle strade, dove i limiti di velocità sono sempre ben segnalati, ma ciò non impedisce alla gente di superarli, provocando incidenti anche mortali.

Ma è in particolare in montagna che sono in costante aumento gli sprovveduti, gli “Indiana Jones de noialtri”.

Ed è solo di qualche giorno fa l’ultimo episodio, quello dell’escursionista soccorso a 2.480 metri sul Lagazuoi, dove stava salendo in scarpe da ginnastica.

Tanto da far sbottare il Presidente del Veneto Luca Zaia, che ha tuonato: «Il nostro Soccorso Alpino e gli elicotteri gialli della sanità regionale non sono taxi. Chi approccia le cime pensando, con una chiamata, di poter tornare in breve tempo al parcheggio dell’automobile scortato dai soccorritori in divisa, deve valutare conseguenzee responsabilità della propria incoscienza. La stagione estiva anche in montagna è appena iniziata e sono già numerose le segnalazioni d’imprudenzache hanno costretto a intervenire uomini e mezzi del Soccorso Alpino. Nell’ultimo mese oltre 50 gli interventi di uomini e donne del Cnsas (Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico).

Così concludendo: ”I soccorritori, nei loro rapporti, riferiscono di persone senza la dovuta attrezzatura, con scarpe da ginnastica sui sentieri in quota, senza vestiario adeguato al maltempo. Sottovalutazioni che, in una stagione come questa, rischiano di costare caro: l’approccio alla montagna non avviene con la dovuta attenzionee con una preparazionesufficiente. Rinnovo ancora l’appello alla responsabilità e alla prudenza”.

Mi sembra che Zaia abbia ragione da vendere!

Caspita, quante volte abbiamo sentito i responsabili del Soccorso Alpino rinnovare l’appelload “indossare calzature adeguate, a sceglier l’abbigliamento giusto, e a controllare le condizioni meteorologiche prima di avventurarsi in percorsi difficili e che necessitano preparazione”?

Tante, troppe; sono anni che le ripetono queste indicazioni di buon senso, che però sembrano costantemente cadere nel vuoto.

E a sfogliare il campionario dei racconti dei soccorritori c’è di che rimanere basiti.  Sentite questo: “Mi è capitato di soccorrere una famiglia, genitori con due bambini piccoli, che avevano intrapreso un percorso in montagna per il quale si impiegano 6 ore; partiti alle 11 di mattina, una calura estrema, senza avere con sé nemmeno da bere. Quando vedi queste situazioni rimani stupefatto. Eppure accadono”.

Viene da pensare che allora è vero che “la mamma dei cretini è sempre incinta”!

Concludendo, poiché non sono fiducioso che la gente capisca i rischi che corre, almeno ricordo che queste “avventure” possono anche costare care, e non parlo ovviamente della vita, ma del portafoglio. 

Se il recupero comporta il ricoveroin pronto soccorso o in ospedale, esso è gratuito, perché rientra tipicamente nell’emergenza sanitaria.

Se invece ci si fa male nell’ambito di attività ad “elevato rischio”, come ad esempio alpinismo, scialpinismo, parapendio o mountain-bike in ambiente impervio, allora al recuperato si chiede di pagare una sorta di ticket: 200 europiù 50 europer ogni ora aggiuntiva oltre la prima, e fino ad un massimo di 500 europer l’intervento delle squadre a terra, oppure 25 euro al minuto, fino ad un massimo di 500 euro, per l’elisoccorso. 

Se squadre a piedi ed elicottero intervengono congiuntamente il conto sale fino a 700 euro.

Ma nel caso di “chiamata immotivata o di mancato ricovero”, come succede solitamente  agli escursionisti imprudenti o male equipaggiati che vengono recuperati e poi lasciati incolumi alparcheggio, i costi degli interventi salgono parecchio. 

Se a intervenire sono le squadre a piedi via terra si può arrivare a pagare fino a 1.500 euro, se invece ad arrivare è l’elicottero giallo il costo al minuto di volo diventa di 90 euro, fino a un tetto massimo di 7.500 euro.

Non sarà la fine del mondo, ma magari un tale esborso rovina la vacanza!

Erasmus

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