23 Settembre 2024 - 9.52

L’Europa potrebbe morire di Welfare

Umberto Baldo

Vedendo scorrere le immagini dell’ennesima devastazione provocata dal maltempo in Emilia Romagna e nelle Marche, a parte la solidarietà dovuta ad una popolazione che si era appena risollevata da un’analoga alluvione solo 16 mesi fa, la domanda che sorge spontanea è la seguente: chi paga?

Tranquilli, non mi addentrerò nella diatriba subito scoppiata fra Il Governo e la Regione Emilia Romagna, sicuramente innescata in vista delle elezioni regionali programmate fra due mesi, con il consueto rimpallo di responsabilità.

No, voglio volare un po’ più alto, come si usa dire, affrontando il tema generale del Welfare State.

Per capirci meglio, si definisce Welfare state l’insieme di politiche pubbliche con cui lo Stato fornisce ai propri cittadini, o a gruppi di essi, protezione contro rischi e bisogni prestabiliti, in forma di assistenza, assicurazione o sicurezza sociale.

Per quanto attiene l’Italia il sistema di welfare è tradizionalmente rappresentato da tre pilastri principali: la sanità, la previdenza e l’assistenza; e quindi parliamo di assistenza sanitaria universale (il Servizio Sanitario Nazionale), pensioni pubbliche, sussidi di disoccupazione, assegni familiari, istruzione pubblica e alloggio sociale.

In primis va detto che il welfare come lo intendiamo noi è un sistema essenzialmente europeo, nel senso che nel resto del mondo le cose non girano come da noi.

Sappiamo bene, tanto per fare solo un paio di esempi, che negli Usa (350 milioni di persone) se ti presenti in Ospedale senza poter esibire una polizza sanitaria rischi che neppure ti guardino in faccia, ed in India (1,4 miliardi di persone) di fatto la sanità pubblica è totalmente inadeguata (forse sarebbe meglio parlare di una chimera).

Il problema è che, complice anche la politica, a poco a poco si è diffusa fra noi italiani l’idea che qualunque danno, qualunque evento negativo ci possa capitare, in qualche modo debba essere “risarcito dallo Stato” (abbiamo ristorato persino azionisti di banche fallite!).

A mio avviso dovrebbe capirlo anche un bambino che una simile impostazione (lo Stato che ti copre dalla culla alla bara) non sta in piedi, perché i bisogni sono sempre crescenti, e le risorse sempre più risicate.

In altre parole, la sempre più evidente difficoltà del welfare state, aggravate delle periodiche crisi economico-finanziarie, (per carità di patria il Covid lo consideriamo un evento straordinario, al momento), hanno determinatoprofondi mutamenti nel tessuto sociale, che sembrano destinati a condizionare anche il prossimo futuro. 

I cambiamenti più rilevanti riguardano il mondo del lavoro, le reti familiari, sempre meno solidali a causa della tendenza all’individualizzazione della vita sociale, e la crescita del rischio vulnerabilità tra una popolazione sempre più ampia e meno attrezzata per contrastarlo. 

Il tutto aggravato da una crescente instabilità sul piano politico-istituzionale, che certamente non contribuisce a migliorare una situazione economico-sociale già molto complessa.

Ne consegue, a mio avviso, che i tradizionali sistemi di protezione sociale appaiono  incapaci di adattarsi a questi mutamenti.

Lo Stato è sempre meno in grado di rispondere ai bisogni di una società in continua trasformazione, da una parte per via della struttura rigida e gerarchica che lo contraddistingue e, dall’altra, per l’insufficienza di risorse economiche adeguate. 

E’ sotto gli occhi di tutti noi un aumento della domanda di beni e servizi sociali dovuta all’affermarsi di sempre nuovi bisogni che conseguono all’invecchiamento della popolazione, alla precarietà del lavoro (cassa integrazione), all’individualismo in un contesto globalizzato.

L’attuale modello diventa insostenibile anche alla luce della crescente vulnerabilità del ceto medio, sempre più esposto a rischi “inediti” fino a pochi anni fa (e tale precarizzazione del ceto medio lo si osserva in tutte le democrazie avanzate, Usa compresi). 

Io penso che, data questa situazione, i gruppi sociali che tradizionalmente più contribuivano con il loro lavoro allo sviluppo dell’intera società ed al mantenimento del welfare, in prospettiva non possano più svolgere il ruolo di finanziatori del sistema, il quale si trova paradossalmente a disporre di meno risorse, ma a dover sostenere sempre più cittadini in difficoltà.

Le conseguenze sono già da tempo evidenti nel settore sanitario, dove il “pubblico” non riesce a rispondere ai bisogni dei cittadini, che si vedono costretti a rivolgersi sempre più al “privato”. 

E sarà sempre peggio finché un malato oncologico si vedrà programmare una visita dopo un anno per mancanza di personale, o l’appuntamento per una terapia salvavita sia previsto a due anni.

La gente ha capito, mugugna, ma alla fine si adegua, anche se trovo indegno che la stessa visita, con lo stesso medico, nella stessa struttura sanitaria, se con il SSN venga fissata magari a sei mesi, e con i soldi in mano dopo tre o quattro giorni.

Ho scelto la Sanità come paradigma, non solo perché interessa un bene prezioso come la salute di ciascuno di noi, ma anche perché il contesto che si dovrà affrontare è già chiaro, ed è caratterizzato da una transizione demografica  che comporterà un incremento della domanda di cure a lungo termine, con un aumento delle malattie croniche e delle condizioni legate all’età avanzata, ed una maggiore necessità di risorse sanitarie, che metteranno a dura prova la sostenibilità dei servizi pubblici.

Badate bene che qui io ragiono in termini di mera sostenibilità economica, perché se ci si basa sull’aspetto “etico” del welfare (e parlando di povertà, sanità, disoccupazione è inevitabile) a mio avviso non se ne esce. 

E qui torniamo all’alluvione dei giorni scorsi.

Il Governo ha messo a disposizione 20 milioni per l’emergenza, in attesa della quantificazione dei danni (nel frattempo non mancheranno le inchieste giudiziarie con il solito scaricabarile delle responsabilità, ammesso che ce ne siano).

E dopo?  

E’ pensabile che con questi chiari di luna tutti i cittadini danneggiati possano essere indennizzati di tutto ciò che hanno perso?

E se invece di una sola zona il disastro avesse interessato l’intero territorio di due tre o più Regioni, cosa si fa?  Una bella “tassa di scopo” come si fece per il Belice? 

Se pensate che vi dia la soluzione vi sbagliate di grosso!

Primo perché non mi ritengo all’altezza, e poi perché forse una soluzione soddisfacente in realtà non c’è.

Io sono fermamente convinto che l’idea che lo Stato debba essere il risolutore di ultima istanza di tutti i nostri problemi, di tutte le nostre disgrazie, di tutte le nostre necessità, sia un’idea che fatalmente dovremo abbandonare (o almeno ridimensionare) di fronte all’evidente e crescente scarsità di risorse per far fronte a tutte le esigenze (e sicuramente genialate come il Superbonus 110% non sono certo da considerare welfare state).

Ma credo che questo approccio debba essere rivisto e ripensato non solo in Italia, ma in tutto il nostro Continente, perché diversamente “l’Europa di welfare potrebbe morire”.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA