Omicidio di Monte Berico, l’ombra irrisolta del terzo killer
di Alessandro Ambrosini
Quando il 23 Luglio 1982 arrivò all’Ansa di Milano il messaggio vergato Ludwig, gli inquirenti non si scomposero più di tanto. Era una conferma che si aspettavano da un momento all’altro.
Solo tre giorni prima, in una strada nelle vicinanze del santuario di Monte Berico, a Vicenza, vennero massacrati due frati dell’ordine dei Servi di Maria. L’ennesimo atto brutale, l’ennesima prova di folle ferocia che si scatenava su persone inermi, su volti presi a caso.
Non potevano esserci moventi per quell’omicidio che scosse l’Italia ancora inebriata dalla vittoria del Mondiale di calcio spagnolo. Eppure quel 20 Luglio, dei giovani spinti da una irrefrenabile sete di irrazionale violenza e motivazione pseudo-ideologica, colpirono ripetutamente alla testa padre Mario Lovato e padre Giovanni Pigato con una mazza di ferro e un martello.
Era stata una giornata calda, tipica di quell’estate vicentina umida e appiccicaticcia. Il tramonto portava con sé quella luce e quella temperatura che invogliava a fare una camminata tra i saliscendi delle viuzze che circondano il Santuario. I due frati avevano lasciato nella loro stanza un terzo fratello che doveva accompagnarli, come sempre. Chiusi nella concentrazione delle loro preghiere non si erano accorti che, alle loro spalle erano comparse due persone con passo spedito. Bloccarono i due fratelli dei Servi di Maria ed iniziarono a colpirli in testa con ferocia. Con accanimento. Con folle ira. Quell’ira che non lascerà scampo ai due settantenni. Lovato troverà la morte sul selciato mentre Pigato finirà di respirare all’ospedale San Bortolo dopo una folle corsa per salvarlo. L’autopsia reciterà: il decesso per entrambi è avvenuto per arresto cardiocircolatorio conseguente al gravissimo trauma provocato da un corpo contundente. La causa della morte per Mario Lovato fu lo sfondamento cranico con fuoriuscita di materia celebrale, per Giovanni Pigato l’affondamento della scatola cranica con conseguente coma profondo.
Azione rapida, letale, precisa. Nessun intoppo per gli individui che hanno portato a termine la loro “missione” di morte. Erano due o tre? Non si è mai riusciti a definire con sicurezza questo particolare. Testimonianze discordanti parlano di due persone, altre tre. Quello che risulterà certo è che quei giovani erano stati notati più volte in zona, anche se Monte Berico è tappa obbligatoria per moltissimi vicentini e i riscontri sono difficili.
Sul luogo del delitto rimangono a terra le armi usate per il duplice omicidio, dei sacchetti di plastica contenenti due sciarpe e un’accetta che risulterà inutilizzata. E’ proprio questo particolare a far pensare che, insieme a Wolfang Abel e a Marco Furlan ci fosse una terza persona. Una terza persona per quel terzo frate rimasto, fortunatamente, nei suoi alloggi.
Le armi usate sono un chiaro messaggio di sfida. Non sono arnesi anonimi, sono di marca Upex. Lo stesso brand marchiato sulla scure che uccise il 20 Dicembre dell’81 Alice Maria Baretta, una prostituta che “lavorava” a Campo Marzio, a Vicenza.
Non hanno molti dubbi gli inquirenti sulla matrice del duplice efferato omicidio. Ma in questi casi la prudenza è sempre molta. Purtroppo i serial killer, questa è la categoria in cui si possono inserire Abel e Furlan, hanno un potere di emulazione notevolissimo su altri soggetti particolarmente sensibili a questo tipo di gesta criminali.
Tre giorni dopo la conferma con il comunicato all’Ansa che recitava: Ludwig dopo il rogo di S.Giorgio a Verona ha colpito di nuovo a Vicenza sul Monte Berico.
Scrissero: “Siamo gli ultimi eredi del nazismo.
Il fine della nostra vita è la morte di coloro che tradiscono il vero Dio. Gli autoadesivi che alleghiamo combaciano esattamente con quelli applicati sui manici degli strumenti usati per uccidere. Gott mit uns”.
Tutto combaciava ormai, non c’erano dubbi. Il particolare degli adesivi, non riferito alla stampa, era la prova certa che la mano che aveva scritto quel messaggio di rivendicazione era anche quella che aveva tolto la vita ai due frati.
Vicenza veniva colpita per la seconda volta da Ludwig e dal suo delirio di onnipotenza. Ma chi si nasconde dietro a quelle lettere in runico e a quell’aquila con svastica, ancora è un mistero. La Mobile vicentina non riesce a trovare validi collegamenti, qualche pista che possa illuminare le indagini. Ci vorranno ancora altri anni e altri morti per scoprire e capire chi è e perché.
Oggi, nel luogo del duplice omicidio non rimane solo la lapide che ricorda quel tragico giorno. Nell’aria aleggiano ancora dei quesiti, forse cancellati dal tempo o forse solo in attesa di un segnale che riesca a diradare, definitivamente, quelle nebbie rimaste latenti sul nome di un presunto terzo elemento o su chi fiancheggiò Abel e Furlan.