25 Settembre 2018 - 14.50

ECONOMIA – 2008-2018, dieci anni dalla crisi: il mondo corre, l’Italia cammina

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Sono ormai trascorsi dieci anni dall’inizio della crisi, e più precisamente da quel 15 settembre 2008 in cui ci fu la bancarotta di Lehman Brothers, una delle banche d’affari più grandi del mondo, o meglio un colosso dai piedi d’argilla, crack che successivamente ebbe un effetto domino assai devastante con pesanti effetti nel mondo occidentale ma non solo.

A onor di cronaca Lehman Brothers fu la classica goccia che fece traboccare un vaso ormai pieno oltre misura, perché la vera crisi iniziò un anno prima, nell’estate del 2017, negli Stati Uniti con il problema dei mutui subprime e degli hedge fund, con all’origine una bolla speculativa che permetteva agli americani di comprarsi casa o qualsiasi altro bene di consumo senza prestare nessun tipo di garanzia, creando a società finanziarie dei fatturati e degli attivi spaventosi, privi purtroppo però di solide fondamenta.

Di fatto ognuno poteva indebitarsi, anche oltre il lecito. Quando la bolla scoppiò, a rimetterci per questo insensato modo di operare che portò le persone a non realizzare quello che stava accadendo, furono i dipendenti di Lehman Brother, licenziati in massa nel momento in cui la banca dichiarò fallimento sommersa da oltre 613 miliardi di dollari di debito.

Ma non solo, circa un milione di famiglie americane si trovarono la casa sequestrata nel momento in cui il credito fu velocemente chiuso. A cascata il mercato di Wall Street fu assalito dal panico trascinando nel baratro, come da consuetudine, anche altri mercati finanziari.

Senz’altro fu la crisi peggiore del dopo guerra in poi. Il mondo in questi dieci anni di crisi è cambiato moltissimo, a volte si è mosso alla velocità della luce, come è normale succeda nei periodi di nuove fasi storiche. L’Italia non è rimasta ferma, ma non ha brillato di luce propria, se gli altri correvano la nostra nazione camminava.

Un semplice confronto con la Germania ci fa capire che strada da fare c’è ne sarebbe molta. Nel 2009 Germania ed Italia persero rispettivamente il 5,6% ed il 5,5% del PIL. Nel 2010 recuperarono la prima il 4,00% e la seconda solo il 1,7%. Due risultati molto diversi e distanti.

Nel 2014 la Germania crebbe del 1,6% mentre l’Italia scese dello 0.3% e così per differenza anche gli anni successivi.

Poi per non farsi mancare nulla nel 2011 in Europa esplose anche la crisi del debito sovrano. Si verificò sostanzialmente un rialzo eccessivo dei tassi d’interesse sui Titoli di Stato, dovuto principalmente ad una notevole ed eccessiva mobilità dei capitali, unitamente alla speculazione. In pochi giorni tutti imparammo un nuovo termine, Spread.

Una crescita del PIL praticamente inesistente, l’enorme debito pubblico, la scarsa credibilità della nostra classe politica, portarono gli investitori internazionali ad avere molti dubbi circa il bilancio pubblico italiano, e disposti quindi ad acquistare titoli del debito italiano solo in presenza di tassi d’interesse elevati che compensassero l’elevato rischio dell’investimento.

Da lì a poco il sistema bancario andò in difficoltà producendo nel breve una stretta del credito ( credit crunch ) che si tradusse in una contrazione significativa dei finanziamenti concessi al settore privato, ma non solo. Tutto questo portò inevitabilmente ad una crisi di fiducia e ad un ribasso generalizzato delle borse europee, con Milano a fare da apripista, affossata dai titoli bancari che registrarono ribassi spaventosi. Di lì a poco come ben sappiamo intervenne Draghi e la BCE per mezzo del Q.E., ma questa è storia recente.

Forse non siamo ancora completamente usciti dalla crisi, nella speranza che non ne arrivi un’altra magari anche peggiore. Dagli errori senz’altro si può imparare, c’è una ripresa tangibile ma allo stesso tempo ci sono ancora troppi e preoccupanti squilibri nella crescita.

La fine del Q.E. potrebbe essere il nuovo tsunami, a breve quindi scopriremo in realtà se la ripresa economica è in grado di viaggiare con le proprie forze oppure no.

 

FABIO ROSSI.

 

 

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