Le temibili antiche professoresse dei licei vicentini
di Alessandro Cammarano
Sarebbe necessaria la penna di Sthephen King, col supporto morale di quella di Edgar Alla Poe, per descrivere l’abisso di terrore misto ad ansia crescente che provoca il solo rievocare alcune figure che popolarono Vicenza fino a non molti anni fa: le professoresse di liceo.
Conosciute e temute le rappresentanti di questa categoria, alle quali le Eumenidi facevano le pulizie a casa, resero insonni le notti di legioni di poveri studenti.
Afrodite non era stata generosa con le legionarie dell’istruzione superiore, quasi a volerle rendere immediatamente riconoscibili nella loro spietatezza; inoltre gli Dei le vollero sorelle e nubili, come le Parche, padrone del destino di intere classi.
Il trio più celebre e di gran lunga il più temibile aveva residenza in pieno centro storico, presidiando una posizione strategica, quasi a voler esercitare un controllo costante sulle strutture scolastiche, le più prestigiose in città, anche al di fuori dell’orario scolastico.
Erano la versione horror delle tre adorabili fatine della Bella Addormentata nel bosco: altezza intorno al metro e cinquanta, gambe che in confronto quelle dei cavalieri Unni non avrebbero sfigurato al Moulin Rouge, baffi incolti, abbigliamento stile “Cassonetto-Humana” con una certa predilezione per golfini e giacchine all’uncinetto.
Al loro solo apparire la temperatura calava di parecchi gradi, le classi – anche sul finire dell’anno scolastico – si trasformavano in ghiacciaie.
Intendiamoci, le Tre Sorelle – che scritta così rimandano direttamente alle Tre Madri consacrate al cinema da Dario Argento – erano pozzi di scienza, padroneggiavano il Latino come Quintiliano e in Greco avrebbero potuto dare lezioni a Sofocle; il fatto è che pretendevano lo stesso dagli allievi, anche da quelli che affollavano la loro casa in estenuanti pomeriggi di ripetizioni.
Non frequentavano nessuno se non loro stesse, non un caffè al bar, men che meno una pizza: le si ricorda però impegnate, al supermercato, in dotte dispute filologiche sulla freschezza di un gambo di sedano o ancora dedite a disquisire intorno all’intensità di vermiglio di un pomodoro.
Un’altra celeberrima coppia di sorelle professoresse ricordava le gru coronate: altissime, esili al limite del diafano, perfette nei loro tubini di Roberta di Camerino, miopissime e portatrici di sensazionali acconciature a cofana e probabilmente responsabili in misura rilevante del buco nell’ozono causa abuso di lacca, probabilmente elaborata secondo una formula dedicata solo a loro da laboratori sovietici in Siberia.
Una più accomodante, quasi gregaria della germana dominante che insegnava una lingua straniera; dell’altra si racconta che, uscita da scuola si imbatté in una scritta, redatta da un’ignoto studente nell’idioma oggetto delle sue lezioni, non esattamente glorificante. Senza battere ciglio la prof-gru estrasse una matita dalla borsetta e corresse l’errore di grammatica che il Pasquino di turno aveva commesso. Standing ovation.
Meraviglioso anche il trio, ricchissimo di famiglia, che risiedeva in Corso Palladio. Inflessibili ma non crudeli, famose per le toilettes stravaganti, le pellicce fantasiose e i cappelli d’antan. Oggi le si definirebbe paladine del vintage. Svampitissime e con nomi di pura fantasia, scovati dai genitori in chissà quale romanzo d’appendice, hanno fatto comunque tremare intere cucciolate studentesche.
Una delle tre fece amare la lingua francese al sottoscritto, a suon di urli; però, se adesso leggo Rimbaud e Camus in originale lo devo a lei e ai suoi sbalzi d’umore, nonché ai compiti classificati con sibillini “Pas bien” e “Pas mal”, a mo’ di profezia della Sibilla Cumana.
Chiude la carrellata l’ultima, stranamente priva di colleghe-sorelle, alla quale alcuni liceali buontemponi fecero analizzare, durante un’esercitazione di laboratorio, delle briciole di Oro Saiwa. Dopo approfonditi esami, provette e reagenti, la docente determinò che si trattava di silicio della Valle della Morte; magari aveva anche ragione, chissà.
Ci mancano queste figure: adesso, scusate lo sfogo, le nuove leve dell’insegnamento si fanno chiamare “Prof”e il più delle volte hanno il carisma di un foglio di carta velina; quelle di una volta erano pestifere, ma ce le ricordiamo ancora.