PASSAGGIO A NORD – La Grande Rogazione di Asiago: una tradizione che unisce terra e cielo
di Anna Roscini
Storia
e tradizione, speranza e gratitudine, natura e comunità si incontrano per dare
vita ad un cammino di fede senza uguali: la Grande Rogazione di Asiago. Sabato
1 giugno si rinnova l’appuntamento con il “Giro del Mondo”, la processione
religiosa che da secoli, il giorno prima dell’Ascensione, si snoda, lungo un
percorso di 33 chilometri, per i sentieri, le strade sterrate e i verdi pascoli
dell’Altopiano di Asiago.
«Le rogazioni arrivano da molto lontano
– spiega Sergio Bonato, Presidente dell’Istituto di Cultura Cimbra di Roana -. Già nel Medioevo si svolgevano processioni
propiziatorie per invocare la protezione divina sui campi e sul raccolto e,
proprio a questi riti di primavera, si collegano le rogazioni cristiane con la
benedizione dei campi, ma anche con la preghiera contro la fame, le malattie e
la guerra. Nel caso di Asiago, ha
assunto anche un valore di ringraziamento da parte di chi riuscì a scampare alla
terribile pestilenza che nel 1631 colpì queste località montane. Il percorso
tocca tutti i confini del Comune, a testimonianza del forte legame della
comunità con il suo territorio. Si tratta di una caratteristica di origine
germanica, non presente nelle rogazioni cristiane». Un momento dunque di
grande spiritualità e suggestione, ma anche un’occasione di socialità e
incontro tra gli altopianesi e tutti coloro che vogliono partecipare, con
rispetto e discrezione, a questo antico rito.
Il “Giro del Mondo”
La processione parte alle sei del mattino dal duomo di Asiago. Litanie in
lingua latina si sovrappongono ad antiche melodie, conservate e tramandate nei
secoli per accompagnare i pellegrini nella marcia, insieme al tradizionale
canto di Pasqua in lingua cimbra e ad altri canti locali. Il corteo, preceduto
dallo stendardo rosso con la croce bianca e seguito da un sacerdote
benedicente, prosegue fino al Lazzaretto, dove viene celebrata la santa messa.
Qui, durante la peste, venivano portati i malati durante gli ultimi giorni di
vita per poi esservi seppelliti. Proprio in questo luogo, terminata la
celebrazione, la tradizione popolare oggi si intreccia con quella religiosa. Le
ragazze donano delle uova colorate, con i fiori e le erbe raccolte, ai ragazzi
da cui hanno ricevuto come pegno d’amore il “cuco”, il tradizionale fischietto
di terracotta, nel giorno di San Marco. «Il
rito delle uova è un rito universale – spiega Sergio Bonato -: l’uovo è simbolo della Pasqua, della
rigenerazione, della vita nuova. Anche il cuco è diffuso in molte parti del
mondo come simbolo di primavera. Entrambi i doni hanno anche un forte
collegamento con la sessualità: le uova rappresentano la fecondità femminile,
mentre il cuco quella maschile». Dopo un primo spuntino, si prosegue tra i
boschi di Kaberlaba, per raggiungere Camporovere per il pranzo al sacco. La
processione, sempre più numerosa, riprende intorno alle 14:30 verso il Monte
Katz. Dopo la faticosa salita, i pellegrini discendono e continuano a camminare
prima lungo la contrada Rigoni di Sotto, e, poi, fino al bosco di Gallio per
un’ultima sosta. A questo punto, come in una festa di primavera, molti uomini e
donne indossano corone di fiori e rametti di abete o larice. Al tramonto, dopo
13 ore di cammino, la processione volge al termine laddove era cominciata,
acclamata dal suono magico delle campane del Duomo.
Si conclude così “Dar Grooze Gankh umme z velt”, un percorso di unione e fede
che da secoli racconta, e rispetta, la storia di questi luoghi.