PASSAGGIO A NORD – Storie di orsi: M49 alla scoperta delle Piccole Dolomiti
Gioca con la neve, si abbuffa
di miele, si scola una bottiglia di olio d’oliva. Papillon, meglio conosciuto
come M49, si è svegliato dal letargo, non senza clamore. L’orso, che lo scorso
luglio era stato catturato dai forestali trentini per poi fuggire superando la
recinzione elettrificata, ha ripreso il suo cammino lasciando tracce
inequivocabili del suo passaggio, anche nel vicentino.
Ne parliamo insieme allo scrittore e naturalista Giancarlo Ferron.
Di recente un orso è stato
avvistato sul Carega, chi è M49 e qual è la sua storia?
«É
un orso classificato come problematico dalle autorità trentine perché
responsabile di parecchi danni agli animali allevati. Per questo motivo ne è
stata disposta la cattura, cosa che è avvenuta nel 2019. Dopo di che l’orso M49
è stato messo in un apposito recinto a prova di orso ma da lì è riuscito a
scappare. Da quel giorno ci sono segnalazioni di avvistamenti di varia
provenienza ma trapelano poche notizie ufficiali circa il destino dell’animale.
Sicuramente gli apparati tecnici trentini lo stanno monitorando ma
ufficialmente non si sa nulla di più. In ogni caso ci tengo a sottolineare che
si tratta di un orso dannoso ma in nessun modo pericoloso per l’uomo».
Parliamo di conservazione e
tutela degli animali selvatici: nel nostro paese gli orsi sono animali
protetti?
«Gli
orsi sono più che protetti, sono particolarmente protetti, infatti rientrano
fra le specie della cosiddetta lista rossa, ovvero specie a rischio estinzione.
Dobbiamo ricordare che l’orso bruno è ancora presentenel nostro paese
solo grazie a un progetto di reintroduzione realizzato nella provincia
trentina; nel resto dell’arco alpino l’orso non c’è, se non occasionalmente con
soggetti di passaggio; che comunque sono orsi provenienti dalla popolazione
trentina, oppure orsi sloveni che vanno verso quest’ultima».
Ogni orso sicuramente avrà il
suo carattere. Come vivono questi animali?
«Mentre
per altre specie è generalmente più difficile definire caratteristiche
comportamentali individuali, per l’orso si può dire invece che ogni soggetto ha
un suo carattere. In primo luogo perché è formatodalla madre, la quale
esercita le sue cure parentali che possono durare fino a due anni di età;
quindi certe abitudini le eredita dalla madre. In secondo luogo perché l’orso è
un animale intelligente e piuttosto longevo; ciò significa che è in grado di
imparare dalla sua esperienza di vita e specializzarsi, può cioè adottare
comportamenti solo suoi e di nessun altro. Se, per esempio, un soggetto trova
casualmente del cibo fra i rifiuti domestici, molto facilmente sarà portato ad
avvicinarsi spesso ai cassonetti per rovistare al loro interno. Magari tutti
gli altri orsi non lo fanno ma lui ha capito che i rifiuti di origine antropica
possonoessere una fonte di cibo e quindi ne approfitta. É talmente
intelligente che, con la maturità, può anche cambiare idea. Ne è un esempio il
celeberrimo M4 che tutti ricordano: un orso che nell’estate 2014si è
reso responsabile di molti danni ai bovini dell’altopiano di Asiago. Era
dannoso come, se non più, dell’attuale M49. Questo orso sparì improvvisamente
con il letargo e non si fece più vedere nel vicentino.Ricomparve la
primavera successiva in Friuli e lì adottò un comportamento assolutamente
diverso: era dannoso per le arnie ma predava raramente animali domestici. Da
quanto mi risulta è ancora in vita e solo saltuariamente reca danno alle
attività dell’uomo; quindi ha messo la testa a posto, è diventato adulto».
I numeri difficilmente ci fanno
provare empatia come le parole. Perché agli orsi non si danno nomi veri?
«Chi
gestisce e studia scientificamente le popolazioni animali ha bisogno di sigle
per classificare l’individuo in maniera schematica e precisa per avere un certo
ordine nella raccolta dei dati. La sigla è quindi una necessità. Nulla vieta
poi che la stampa o i cittadini attribuiscano nomignoli a un certo individuo,
lo ha fatto anche il nostro Ministro dell’ambiente con M49».
Un’orsa, in particolare, è
protagonista di uno dei tuoi libri. Di cosa parla “Hanno ucciso l’orsa” e quale
messaggio vuole trasmettere?
«Il
libro tratta di un fatto di cronaca reale, ovvero dell’uccisione istituzionale
di un’orsa, ritenuta potenzialmente pericolosa per l’uomo, avvenuta nell’agosto
del 2017. In questo libro ho cercato di dare voce, in prima persona, a tutti i
protagonisti della faccenda, soprattutto all’orsa che in genere non viene
interpellata da nessuno. I messaggi del
libro si concentrano sul fatto che prima di giudicare sarebbe utilesentire
tutte le campane e conoscere la situazione. In secondo luogo sull’idea che la
specie umana convive quotidianamente con pericoli come l’inquinamento, rapine,
omicidi (oggi anche con il corona virus) e potrebbe convivere anche con la
presenza dell’orso solo adottando atteggiamenti intelligenti. Per quanto
riguarda i danni causati dall’orso sono ben noti i sistemi di difesa degli
animali allevati, come recinti elettrificati e il ricovero notturno del
bestiame più esposto a eventuali attacchi. È necessario entrare nell’ordine
delle idee che bisogna metterli in atto questi sistemi, perché non ci sono
alternative, soprattutto alla luce del fatto che le tecniche difensive sono le
stesse adottate per difendere il bestiame dal lupo. Forse in futuro l’orso non
sarà una presenza costante nel vicentino ma il lupo sicuramente sì e con questo
si dovrà imparare a conviverci. Ormai ritengo che, con quello che sta
succedendo in queste ultime settimane, tutti siamo d’accordo sul fatto che la
perdita di biodiversità non può continuare con questi ritmi e,
conseguentemente, che non si può più pensare di risolvere le cose imbracciando
un fucile a pallettoni».