Padova, via Anelli, il ‘muro’ e il cantiere durante il coronavirus
di Umberto Baldo
Io credo che ogni padovano, a meno che non sia un adolescente, quando imbocca via Anelli da via Grassi o da Viale Venezia sia portato naturalmente a girare la testa per fissare lo sguardo su un gruppo di palazzine ora nascoste da una selva di impalcature.
E’ quasi una sorta di riflesso condizionato, che ogni volta risveglia ricordi e provoca una sensazione di stupore. Già, perché basta chiudere gli occhi per un attimo per rivivere l’atmosfera che si respirava passando in quella strada solo qualche decennio fa.
Un pezzo di città estraneo alla Padova città d’arte, che assomigliava alla periferia di una città africana, che faceva da catalizzatore per ogni sorta di sbandati e in cui regnava la più totale illegalità.
Duecentoottantasei appartamenti di circa 30 metri quadri ciascuno, nati per ospitare principalmente studenti universitari, calati in una zona di centri commerciali, negozi e grandi magazzini.
Un pezzo di Padova talmente degradato che ancora adesso, passandoci davanti, sembra di rivedere un pezzo di umanità sbandata, con risse quotidiane che spesso si trasformavano in scontri armati, vere e proprie guerriglie, in cui si affrontavano etnie, religioni, tribù diverse, che le forze dell’ordine faticavano a sedare. Un pezzo di città che portò Padova al centro dell’attenzione internazionale, ma non la Padova di Giotto e di Sant’Antonio, non quella delle mura o delle piazze, bensì quella del Bronx e del suo muro.
In quel 2006, dopo che il Sindaco di allora Flavio Zanonato, con un atto di coraggio visto la sua appartenenza politica, decise di erigere una barriera di lamiera alta tre metri e lunga novanta, per rendere più difficile lo spaccio in quella che era diventata la capitale nordestina della droga, Padova catalizzò le attenzioni del mondo.
Se ne parlò ovunque, e quasi sempre in toni denigratori per la città. Non si contarono i talk show, ne parlò ampiamente anche la stampa internazionale, compresi BBC e Guardian. Sul New York Times si parlò addirittura di “Muro di Berlino di Padova”.
Il povero Zanonato si attirò gli strali di tutta “gauche caviar” italica, ma tenne duro sulla sua decisione, perché gli intellettuali da salotto stigmatizzavano la barriera di lamiera, ma non dicevano che il complesso residenziale “Serenissima” di via Anelli fu forse il più clamoroso fallimento politico e sociale legato all’immigrazione, nonché una scelta obbligata di fronte ad una situazione che si era lentamente ma inesorabilmente incancrenita.
Tutto questo riaffiora alla mente passando oggi per via Anelli, assieme alle immagini del presente, in cui le ruspe e le gru hanno sostituito i bivacchi all’aperto, i mercatini “etnici” con le merci sulle coperte per terra, i ristoranti negli appartamenti, le palazzine senza finestre e le fogne a cielo aperto, il via vai ininterrotto di pusher e drogati.
La buona notizia è che nemmeno il coronavirus ha fermato il cantiere di via Anelli, e la tabella di marcia della demolizione verrà rispettata, con la bonifica della palazzina al numero civico 25, quella che ospitava la moschea Rahma entro il 28 maggio, e la successiva demolizione nelle due settimane successive, e di seguito la bonifica ed abbattimento dei civici 29, 13 e 15 entro Ferragosto.
Sarà poi la volta del famigerato “muro di Zanonato”, ed a quel punto l’area sarà pronta per la consegna al Demanio dello Stato, che vi costruirà la nuova Questura di Padova.
C’è una sorta di contrappasso nel fatto che dove prima regnavano droga e violenza sorgerà la sede della Polizia di Stato, ma sarà il momento in cui la storia di via Anelli verrà gettata alle spalle, e quello che fu il Bronx restituito alla città.
Ma inevitabilmente ancora per molti anni il padovano che transiterà davanti alla nuova Questura, chiudendo gli occhi rivivrà per qualche attimo quella che rimane una ferita nella memoria collettiva di Padova, e il simbolo dell’integrazione fallita. Umberto Baldo