Scuola – Mascherine e autobus: un colpo al cerchio e uno alla botte
di Stefano Diceopoli
Alla fine, dopo estenuanti trattative, Governo, Regioni, Province e Comuni hanno trovato l’ accordo sulle misure per consentire l’apertura “in sicurezza” delle scuole, in particolare su trasporti e uso delle mascherine.
Già la sottolineatura “in sicurezza” suscita qualche perplessità, perché nel corso della pandemia abbiamo constatato più volte come misure spacciate per “sicure” alla prova dei fatti qualche limite lo hanno dimostrato.
Forse saranno rigurgiti inconsci di centralismo statalista, ma francamente non mi sono ancora abituato all’idea che la salute possa essere oggetto di trattativa politica.
E che si sia trattato di una “trattativa vera” non c’è alcun dubbio.
Lo testimoniamo le voci filtrate alla fine della giornata quando una fonte di Governo avrebbe chiosato: “Sigliamo l’intesa perché la priorità è far ripartire la scuola, ma rischiamo di dover fare come con le discoteche…”.
E lo conferma anche il tono quasi “trionfalistico” delle dichiarazioni dell’Assessore all’Istruzione del Veneto Laura Donazzan: “Sull’utilizzo delle mascherine in classe alla fine è prevalso il buon senso. Da subito, insieme al Presidente della Regione Veneto, avevamo detto che sarebbe stato sbagliato imporre le mascherine per ore in classe a bambini e ragazzi in fase di crescita. Non solo sotto l’aspetto della salute dello studente, ma anche sotto l’aspetto della didattica la mascherina è incompatibile con la comunicazione tra docente e studente, e non contribuisce affatto a creare un clima di empatia in classe”.
Caspita assessore, pensavamo che la preoccupazione fosse la salute di ragazzi e personale scolastico, non l’empatia, che per chi non lo ricordasse indica la ”Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro”.
Diciamo subito che le due misure su cui si è discusso e trattato, trasporto locale e uso della mascherina, pur facendo parte del problema complessivo, hanno una valenza profondamente diversa.
L’accordo su treni e pullman riempiti all’80% rappresenta il punto di incontro fra l’esigenza degli esperti che chiedevano rigore e quella dei Governatori alle prese con le carenze di mezzi.
E’ evidente che un compromesso era inevitabile, visto che è impossibile aumentare d’emblée i mezzi a disposizione (per avere un pullman ci vogliono molti mesi dal momento dell’ordinazione), e tenere duro sul riempimento al 50% avrebbe voluto dire lasciare a terra molti ragazzi.
Resta il fatto che, come sempre succede in Italia, l’importante è fissare una norma per scaricare la responsabilità su qualcuno, perché non ho capito bene, ma sarà sicuramente colpa mia, chi dovrà controllare quell’80%, e voglio vedere quale autista in una giornata di freddo, pioggia o neve, avrà l’animo di fare la conta del numero dei passeggeri, lasciando adolescenti sul ciglio di una strada.
Per non dire che il trasporto costa, e viaggiare con i mezzi semi vuoti sarebbe stato incompatibile non solo per la regolarità del servizio, ma anche per i bilanci delle aziende pubbliche.
Gli scuolabus potranno invece andare a pieno carico per percorsi inferiori ai 15 minuti. Anche qui sarà interessante vedere cosa succederà quando un autobus infilerà una fila di semafori rossi o si troverà in una coda inaspettata. L’autista farà scendere i ragazzi allo scadere del minuto numero 15?
Diverso è il discorso delle mascherine, il cui uso o non uso obbligatorio non avrebbe certo avuto ripercussioni sui conti pubblici.
L’uso di questi presidi si inserisce a pieno titolo nel complesso delle prescrizioni anti contagio, ma con una valenza particolare, perché fin dall’inizio dell’epidemia la mascherina è stata indicata dalle Autorità sanitarie e politiche come lo strumento principe per contrastare la diffusione del Covid-19.
E non è che le cose siano cambiate, anzi.
Si continua ad insistere sull’obbligo di indossare la mascherina nei luoghi pubblici ed in ogni occasione di assembramento. Si è addirittura arrivati ad imporne l’uso fra le 18 e le 6 del mattino.
Ed in qualunque Paese del mondo la prima misura che viene decisa in caso di aumento dei contagi è l’obbligo di indossare la mascherina anche all’aperto.
Nel bene e nel male, magari con qualche difficoltà da parte dei contrari che non mancano mai, la mascherina è entrata nell’uso quotidiano degli italiani, grazie anche alla rigorosità con cui i gestori di bar, punti vendita, esercizi commerciali, pretendono il rispetto delle regole.
Ormai tutti sappiamo che quando entriamo in un ambiente chiuso dobbiamo metterci la mascherina, e la cosa non sembra disturbarci più di tanto.
Certo la mascherina non è il massimo del confort, specie con in caldo, fa sudare, toglie un po’ il respiro, ma siccome ci hanno ripetuto fino allo sfinimento che è il principale strumento per non infettarci a vicenda l’abbiamo accettata.
Date queste premesse, considerando che le aule scolastiche sono luoghi chiusi ci si sarebbe aspettati che anche gli studenti, esclusi i più piccoli, fossero obbligati a portare la mascherina.
E questo sembrava l’orientamento prevalente fino a qualche giorno fa.
Ma è chiaro che su questo punto si è aperto a livello politico uno scontro all’ultimo sangue, con la Ministra Azzolina, a quanto si è saputo, schierata con coloro che erano contrari, ad esempio la Donazzan.
Lungi da me l’intenzione di accusare il Comitato Tecnico Scientifico di “cerchiobottismo”; forse sbaglierò ma mi sembrava di avere capito che gli esperti fossero orientati per l’uso delle mascherine anche nella aule.
Fatto sta che, dopo i tira e molla, dopo la “trattattiva” è uscita una nota che stabilisce (testuali parole) che: “Nella scuola primaria, per favorire l’apprendimento e lo sviluppo relazionale, la mascherina può essere rimossa in condizione di staticità con il rispetto della distanza di almeno un metro e l’assenza di situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione (ad esempio il canto)”.
“Nella scuola secondaria, anche considerando una trasmissibilità analoga a quella degli adulti, la mascherina può essere rimossa in condizione di staticità con il rispetto della distanza di almeno un metro, l’assenza di situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione (es. canto) e in situazione epidemiologica di bassa circolazione virale come definita dalla autorità sanitaria“.
Celiando un po’ osservo che i nostri esperti immaginano che nelle scuole il “canto” sia un’attività prevalente, altrimenti non si spiegherebbero quei ripetuti riferimenti all’attività canora.
In parole povere l’ipotesi ventilata da alcuni esperti di rendere la mascherina obbligatoria in ogni momento alle scuole medie ed alle superiori non si è concretizzata.
Ma, ma sempre nell’ottica dello scaricabarile, pardon individuazione della responsabilità, il CTS ha previsto che: ”il dato epidemiologico, le conoscenze scientifiche e le implicazioni organizzative riscontrate, potranno determinare una modifica delle raccomandazioni proposte, anche in relazione ai differenti trend epidemiologici locali, dall’autorità sanitaria che potrà prevedere l’obbligo della mascherina anche in situazioni statiche con il rispetto del distanziamento per un determinato periodo, all’interno di una strategia di scalabilità delle misure di prevenzione e controllo bilanciate con le esigenze della continuità ed efficacia dei percorsi formativi”.
Al di là del linguaggio burocratico, tanto caro alla nostra classe dirigente, vuol dire semplicemente che qualora in una certa località ci sia un incremento dei contagi, l’Ussl competente potrà imporre l’uso della mascherina anche nelle aule quando gli studenti sono seduti nei banchi.
A questo punto viene spontanea qualche domanda.
Visto che quegli stessi ragazzi quando entrano in un negozio, in un bar o nell’autobus debbono mettersi la mascherina, non sarebbe stato opportuno mantenere quest’obbligo anche nelle aule? Almeno in una prima fase di prova, per vedere, come diceva una canzone, l’ “effetto che fa”.
Non si corre così il rischio di creare un po’ di confusione nella testa dei nostri ragazzi?
E ancora, ha senso mettere a rischio i ragazzi ed i loro familiari per questioni di lotta politica?
Che senso ha imporci l’uso di questi presidi se poi il virus ce lo possono portare a casa i nostri figli e nipoti, visto che le aule scolastiche sono da sempre bombe di diffusione virale?
Non era meglio per una volta guardare cosa fanno gli altri?
Per rimanere a Stati a noi vicini, in Francia, dove le scuole sono state riaperte il 1 settembre, si è stabilito l’obbligo di indossare le mascherine per insegnanti e studenti di età superiore agli 11 anni.
E Pedro Sanchez ha raggiunto un accordo con le Comunità autonome spagnole che prevede la mascherina obbligatoria a partire dai sei anni.
Francamente non ci aspettavamo, almeno stando alle parole dell’Assessore Donazzan, che Luca Zaia, da sempre strenuo sostenitore dell’uso delle mascherine, si iscrivesse al partito del “liberi tutti” nelle aule scolastiche.
Ovviamente ci auguriamo che vada tutto bene, che le scuole non si trasformino in focolai del Covid-19, e che non si debba ricorrere a chiusure forzate.
Ma permetteteci di dire che fare un periodo di “rodaggio” sarebbe stato opportuno. Anche per rafforzare nei nostri ragazzi l’idea che la pandemia non è passata, e che ci aspettano ancora lunghi mesi in cui non è consentito abbassare la guardia.