Covid, l’epidemiologo Vespignani: “Ci aspettano 5-6 mesi molto duri, il lockdown si deve evitare”
“Ci aspettano 5-6 mesi molto duri, ma il lockdown si può e si deve evitare”: lo afferma l’epidemiologo Alessandro Vespignani, direttore del Laboratory for the modeling of biological and Socio-technical Systems alla Northeastern University di Boston, intervistato dal Corriere della Sera oggi. L’esperto ha dichiarato che “non è un certo una sorpresa” che il virus abbia ripreso a correre subito dopo l’estate. “Lo sapevamo tutti che l’epidemia avrebbe ripreso forza in autunno, con la riapertura delle scuole, la ripresa delle attività e così via. Ora serve sangue freddo e giocare d’anticipo contro il virus, direi ‘a zona’ per usare un’espressione calcistica. Innanzitutto le misure prese dal governo vanno poi declinate a livello territoriale. Il Covid va stanato regione per regione, città per città, quartiere per quartiere. Occorrono restrizioni mirate, non servono le misure a tappeto. E più che al numero dei positivi in generale, dobbiamo guardare alla situazione negli ospedali, alla saturazione dei posti nelle terapie intensive”.
Secondo Vespignani “Il lockdown non è inevitabile”. Non solo, l’esperto ritiene che “Se ci si dovesse arrivare, qualcuno dovrà assumersene le responsabilità politiche e morali”. Sulle misure adottate di recente dal governo, tra cui una raccomandazione a non organizzare cene con più di 6 persone, l’epidemiologo dichiara che c’è un “problema di comunicazione”. “Immagino che il governo abbia adottato quelle misure sulla base di dati scientifici. Però ora le deve spiegare e rispiegare ai cittadini. Non ho avuto modo di vedere tutte le carte, ma restiamo sull’esempio degli invitati a casa”.
“Immagino che il Comitato tecnico-scientifico abbia raccolto segnali importanti che il Coronavirus si trasmette nei contatti con persone estranee al nucleo famigliare, identificato, per stare larghi, con una media di sei persone – continua l’esperto – Però tutto questo ragionamento va spiegato, altrimenti nessuno capisce l’importanza della misura. Un altro caso: perché il calcetto no e lo sport delle associazioni giovanili sì? Probabilmente perché il calcetto è praticato da milioni di persone, mentre le associazioni giovanili forse coinvolgono 3-400 mila ragazzi e ragazze e quindi sono più controllabili”. “Abbiamo perso molto tempo a discutere sul virus. Non possiamo fare finta di niente e neanche aspettare, sperando che la situazione migliori da sola. Non succederà. Dobbiamo tornare a essere uniti. I numeri di oggi non sono confrontabili con quelli di marzo, ma abbiamo davanti almeno 5-6 mesi durissimi”.