Pablito: l’ultimo urlo a Vicenza, la sua città!
In questo ultimo scorcio del 2020, che probabilmente sarà ricordato come l’anno della prima pandemia mondiale, due eventi luttuosi hanno colpito non solo il mondo del “pallone”, ma tutti noi.
Dopo Diego Armando Maradona, che fu la leggenda del calcio, ora Paolo Rossi, che ha fatto sognare una generazione di italiani con il mitico Mondiale vinto in Spagna nel 1982.
Un destino beffardo ha voluto, a pochi giorni di distanza, accumunare nella morte i due vincitori dei mondiali del 1982 e del 1986, due campioni leggendari che hanno scritto pagine memorabili del “gioco più bello del mondo”, il numero 10 argentino, ed il numero 20 italiano.
Pablito, soprannome datogli dall’allora cronista sportivo del Gazzettino Giorgio Lago, se n’è andato in silenzio, com’era nel suo carattere di toscano sorridente e bonario, lontano dal cliché che vuole i figli di quella terra di guelfi e ghibellini come polemici e vernacolari.
Ogni volta che una persona ci lascia, specialmente se si tratta di un grande dello sport, la tentazione è quella di ripercorrere passo passo tutte le tappe della sua carriera. E’ una cosa naturale, e questo hanno fatto tutti i giornali, i media, i social, con decine e decine di commenti di coloro, soprattutto colleghi, che hanno diviso con lui glorie ed amarezze.
Ma per ricordare Paolo Rossi non occorre a mio avviso allinearsi allo “stile Wikipedia”, bensì concentrarsi sui momenti che hanno veramente dato una svolta alla sua vita di campione.
E secondo me i due momenti che hanno segnato la sua vicenda umana e professionale sono legati a due località, Vicenza e Madrid, con i loro stadi, il “Romeo Menti” ed il Santiago Bernabeu.
Tutto il resto è storia, è gloria calcistica: gli Scudetti, le Coppe Nazionali, le Coppe Continentali, il Pallone d’oro.
Non è sicuramente un caso che Pablito abbia voluto che la propria vicenda terrena, il suo ultimo “urlo”, si chiuda a Vicenza, la città dove tutto aveva avuto inizio.
Stiamo parlando di anni ormai lontani, che solo chi ha più di mezzo secolo sulle spalle può ricordare nitidamente. Siamo nell’anno 1976/77, ed il Lanerossi Vicenza da una stagione gioca in serie B. Presidente è Giuseppe Farina, che per dodici anni guidò la squadra berica, ottenendo salvezze miracolose.
Farina è uno che pensa alla grande. Sa che la Vicenza calcistica vuole nomi nuovi per risalire, e lui chiama come allenatore un 50enne emiliano che era appena retrocesso in serie C con il Piacenza. Il suo nome è Giovan Battista Fabbri, Gibì, o “Brusalerba” per gli amici. Con Gibì arrivano cinque giocatori, apparentemente non di primo piano, fra cui un ventenne scartato dalla Juve, Paolo Rossi.
Il gioco imposto dall’allenatore piace ai vicentini, perchè si tratta di un modulo raffinato e moderno. Alla fine del campionato 51 punti, con 18 vittorie, 15 pareggi e solo 5 sconfitte. Il Lanerossi Vicenza è promosso in serie A, e Paolo Rossi vince la classifica cannonieri con 21 gol.
Rossi diventa improvvisamente un pezzo pregiato del calciomercato, ma Farina lo convince a rimanere a Vicenza per la Seria A.
Dopo un inizio di stagione non dei migliori, Fabbri impone un cambio di modulo, ed è la svolta. Galli, Faloppa, Carrera, Paolo Rossi, Lelj, Prestanti, Filippi, Salvi, Marangon, Guidetti, Cerilli, cominciano a macinare vittorie e punti, ed il campionato finisce con il Vicenza al secondo posto dopo la Juve, qualificandosi anche per la Coppa Uefa. Paolo Rossi è capocannoniere con 24 reti.
Quell’anno nei bar di tutta Italia non si parlava d’altro della “favola Vicenza”, di quella “provinciale” che metteva in riga le grandi di sempre, di quel Lanerossi Vicenza così brillante e frizzante da essere chiamato “Real”.
Da allora per Rossi si aprirono le porte del “grande calcio”, delle squadre titolate, quelle con cui si vincevano scudetti e coppe, fino ad arrivare all’apoteosi del Santiago Bernabeu, in cui Pablito divenne l’eroe del Mundial.
Solo chi ha potuto assistere in diretta a quelle partite del Mundial 1982 può ricordare quelle emozioni, i suoi gol, che assieme a quelli di Tardelli ed Altobelli, fecero alzare in piedi il Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Senza togliere nulla ai suoi compagni, quello fu il mondiale di Rossi, che divenne “Pablito por siempre”.
E non è un caso se ieri Globoesporte, giornale brasiliano, ha ricordato Paolo Rossi, l’uomo che uccise il “sogno verdeoro”, con questo titolo: “E’ morto Paolo Rossi, l’uomo che fece fuori il Brasile dal Mondiale ’82. E che abbiamo sempre rispettato. Addio al boia del Brasile”.
E a testimonianza del vuoto che Rossi lascia nel mondo del calcio, la Uefa ha voluto che tutte le partite di Europa League iniziassero con un minuto di silenzio in ricordo del fuoriclasse italiano.
Tornando alla tristezza dell’oggi, questa mattina l’addio a Pablito sarà celebrato nel Duomo di Vicenza, a testimonianza di quello stretto legame, di quell’amore che legavano Rossi alla nostra città.
Un legame che si è saldato negli anni, tanto che amava raccontare: “Andavo in giro per il mondo e tutti pensavano fossi di Vicenza”. Lui, toscano di Prato, ma vicentino nel cuore, che negli anni ‘90 accettò di lanciare nel mondo l’immagine turistica della città, con il Teatro Olimpico e lui che suonava il violino.
Una città che lo ha riconosciuto come “suo” attribuendogli la cittadinanza onoraria lo scorso febbraio, e che ha proclamato il lutto cittadino, con le bandiere a mezz’asta nei palazzi comunali.
Ieri Pablito è arrivato da Siena, ed è stato accolto in forma privata allo Stadio Menti dai dirigenti e dalla squadra del Lanerossi Vicenza, per poi ricevere l’omaggio dei tifosi.
Oggi la cerimonia e l’addio della città.
E poi c’è il Paolo Rossi privato, quello che ha cercato in tutti i modi di resistere all’attacco del male.
La moglie Federica Cappelletti, parlando degli ultimi attimi di vita del campione ha detto: “Nel momento in cui stava morendo e non se ne voleva andare, io l’ho abbracciato forte e gli ho detto Paolo, adesso vai, hai sofferto troppo. Staccati, lascia questo corpo e vai. Io crescerò le bambine e porterò avanti i nostri progetti. Tu hai fatto anche troppo e quindi si è addormentato in quel momento». E ha poi aggiunto: «Non è facile riassumere in poche parole tutto quello che è stato Paolo. Una persona unica, piena di ottimismo anche nei momenti più difficili, una persona grande ma allo stesso tempo semplice. Una persona che mi ha insegnato tanti valori belli e li ha insegnati alle nostre figlie. Io dico che dopo Paolo Rossi si sopravvive. Quindi cercherò di fare questo. Lui era una persona che sapeva parlare allo stesso modo con i capi di Stato ma anche con le persone che incontravamo al supermercato. Questo era Paolo e questa la sua grandezza. Preferisco pensare che sia un arrivederci. Fare a meno di lui è veramente tanto. Ma dovrò farlo, gliel’ho promesso. Riporteremo Paolo in Toscana. Faremo la cerimonia e una camera ardente a Vicenza che era la sua città adottiva. Poi lo farò cremare in accordo con il figlio perché me lo voglio tenere sempre vicino”.
Innumerevoli in queste ore le testimonianze di affetto e di cordoglio, soprattutto di coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo personalmente.
Fra tutte mi ha colpito quella di un commosso Fabio Capello, che dagli studi di Sky Sport24 ha espresso questo pensiero dolcissimo: “Paolo, state giocando? Vi state allenando bene tu e Diego? Allenatevi bene perché quando arriverò io vi farò correre”.
Così piace anche a me immaginare un Pablito che in cielo palleggia assieme a Maradona e a tutti gli altri campioni del calcio che li hanno preceduti.
Un Pablito con la maglia bianco rossa del Lanerossi Vicenza, di quella squadra di provincia che per un anno seppe trasformare in una “Grande” del calcio italiano.
Umberto Baldo