26 Febbraio 2021 - 9.51

Gli oceani ci sentono: l’inquinamento acustico minaccia la vita marina

di Anna Roscini

Le onde del mare che si infrangono sugli scogli: quante volte ci siamo fatti trasportare da questo suono rilassante e rassicurante. Non solo in superficie, nel profondo degli oceani esiste un vero e proprio paesaggio sonoro, suoni che molte specie marine usano per orientarsi, comunicare, scappare dai pericoli, trovare la via di casa. Negli ultimi anni, sempre più, le rumorose attività umane hanno messo a repentaglio questo delicato equilibrio. Sonor, navi, motori, trivelle, sondaggi sismici, piattaforme: l’inquinamento acustico ha varie origini, ma gli stessi effetti negativi sulla fauna marina. A confermarlo è “The soundscape of the Anthropocene ocean”, uno degli studi più importanti mai realizzati nel campo e pubblicato recentemente sulla rivista Science. Un team di venticinque scienziati guidati da Carlos Duarte, docente presso la King Abdullah University in Arabia Saudita, ha passato in rassegna migliaia di articoli scientifici riguardanti proprio l’impatto dell’inquinamento acustico sull’ecosistema marino. Secondo il 90% degli studi, i rumori provocati dall’uomo hanno un impatto negativo sulla vita dei mammiferi marini, mentre l’80% conferma che a risentirne sarebbero anche pesci e invertebrati. Il suono, purtroppo, si propaga nell’acqua più velocemente e più in profondità di quanto non faccia nell’aria. Il rumore, proveniente da infrastrutture energetiche, indagini sismiche, piattaforme petrolifere, esercitazioni militari, ma anche dalle navi e dai sonar, può arrivare a compromettere la capacità uditiva di alcune specie e a provocare cambiamenti comportamentali e fisiologici in altre. I suoni del mare sono fondamentali per la sopravvivenza di numerose creature: delfini e balene comunicano a grandi distanze proprio tramite i suoni che permettono loro di orientarsi e di evitare i pericoli, mentre i pesci pagliaccio riescono a ritrovare la via di casa, grazie al suono prodotto dalle onde contro la barriera corallina. Questi piccoli pesci, nella prima fase della loro vita, vengono trascinati in forma di larve nell’oceano aperto. Quando i rumori causati dalle attività umane coprono i suoni della barriera corallina, i pesci pagliaccio non riescono a ritrovare il proprio habitat.
Alcuni animali marini si sono adattati più di altri all’inquinamento acustico: è il caso delle balene, che hanno imparato ad allontanarsi dalle rotte di navigazione più trafficate. Non si può dire lo stesso di altre creature: i cetrioli di mare, per esempio, si muovono troppo lentamente per sfuggire ai rumori più assordanti. C’è poi chi sceglie di andarsene per sempre: nella Columbia Britannica, dopo che le foche erano state allontanate dagli allevamenti di salmoni con dei dispositivi sonori progettati per infastidirle, anche la popolazione di orche, che le cacciava, era diminuita in modo significativo. Si tratta, per fortuna, di una storia a lieto fine: dopo che i dispositivi sono stati rimossi, le foche e le orche sono ritornate.    
I rumori degli uomini rimangono tuttavia un fattore di forte stress per gli animali marini, ma non è troppo tardi per invertire la rotta: durante il lockdown, l’inquinamento acustico negli oceani si è ridotto di circa il 20% e alcuni grandi mammiferi marini sono tornati a popolare zone vicino alle coste. Con il fermo delle attività, la salute degli oceani è subito migliorata. Molte soluzioni all’inquinamento acustico, in realtà, esistono già: basterebbe rallentare la velocità delle navi cargo e modificare alcune rotte di navigazione, sostituire le eliche più rumorose, adottare tecnologie insonorizzanti e isolanti. È tempo di ascoltare l’oceano e abbassare il volume delle nostre attività.

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