4 Marzo 2021 - 10.52

Ondate COVID: le scuole aperte sul banco degli imputati

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di Stefano Diceopoli

A questo punto mi sorge spontanea la domanda: ma ha veramente senso parlare di “ondate”?
Perchè voler a tutti i costi spaccare il capello in quattro, cercando di studiare l’andamento della curva dei contagi, quando è evidente che l’ondata è unica, è sempre quella che ci sommerge da oltre un anno?
Certo anche la comunicazione ha le sue esigenze, ma bizantineggiare su picchi, plateau, e quant’altro la geometria ci suggerisce, a mio avviso ha sempre meno senso.
Certo abbiamo visto allentamenti del contagio nei mesi estivi, certo adesso sono arrivate varianti più contagiose del virus, ma credo che, “tirata una riga”, l’unica regola inconfutabile sia quella che ci dice che ad ogni periodo di allentamento delle prescrizioni e dei divieti (chiamatela zona gialla se volete), con conseguente apertura di bar, ristoranti, scuole, ne segue un altro di recrudescenza della pandemia.
Lo abbiamo visto in modo evidente la scorsa estate. Nonostante il caldo che favorisce il distanziamento e la vita all’aria aperta, sono bastare le “movide sarde” a rilanciare il Covid-19 alla grande.
Se questo è vero, e non occorre essere degli scienziati per constatarlo, la cosiddetta “terza ondata”, quella che sembra stia per abbattersi su di noi, è la matematica riprova che dove si sono aperte le scuole a gennaio, la curva dei contagi ha ricominciato a salire inesorabilmente fin da subito, e dove invece, come in Veneto, gli studenti sono rientrati con un mese di ritardo, c’è stato un periodo di relativa tregua, rotta appunto dal momento in cui è ricominciata la didattica in presenza.
Sia chiaro che nessuno vuole criminalizzare la scuola, ci mancherebbe, e può anche essere che le aule, come molti sostengono, siano luoghi sicuri, anche se io al riguardo nutro seri dubbi, ma resta il fatto che l’attività didattica in presenza muove milioni di persone, fra studenti, genitori, insegnanti e personale ausiliario, e mobilità vuol dire necessariamente come minimo mezzi pubblici affollati e assembramenti.
Proprio le condizioni che il virus preferisce per fare il suo sporco lavoro!
Se poi aggiungiamo che le cosiddette varianti, inglese, sudafricana, brasiliana, oltre a quelle che ancora non conosciamo, ma che certamente ci sono, sono particolarmente infettive per i giovani (diversamente dal virus dell’anno scorso), l’equazione del contagio è presto scritta: mezzo pubblico -aula scolastica – ritorno a casa = genitori e nonni infettati -quarantena se va bene – ospedale se va meno bene – carro funebre per chi è sfortunato.
E pazienza per il prof. Galli che quando, a ragion veduta, due o tre settimane fa metteva in guardia sulla ripresa del contagio si è preso del menagramo, oltre che i rimbrotti della Direzione del suo Ospedale, ma se nei giorni scorsi il suo collega prof. Matteo Bassetti, che si è sempre caratterizzato fra le “colombe”, ha dichiarato: “Temo che questa terza ondata farà male, e dobbiamo avere molta pazienza per tutto il mese di marzo, correre con le vaccinazioni e sperare che le misure di contrasto ci aiutino a ridurre il contribuito di vittime”, ritengo ci sia veramente da preoccuparsi.
In quel “farà male” sta tutta l’angoscia di uno scienziato che lavora in corsia, e si misura con la fatica quotidiana del personale sanitario.
E la politica?
Il nuovo Dpcm, quello che ci accompagnerà fino a dopo Pasqua, ha fissato le regole che in zona rossa le scuole di ogni ordine e grado dovranno rimanere chiuse. Ma le scuole si potranno chiudere anche in quelle Regioni che supereranno il limite di 250 persone positive al Covid ogni 100mila abitanti su base settimanale. Ma in questo caso la decisione spetterà ai Governatori.
Scusate la malignità, ma con questa scelta mi sembra che il Governo, a parte le zone rosse, abbia optato per l’ “autonomia regionale”, nel senso che ha lasciato la patata bollente delle chiusure in mano a Zaia, Bonaccini e compagni.
La realtà come sempre è più avanti delle decisioni politiche, e basta guardare le mappe dell’Italia sui media per rendersi conto che il giallo è un colore che sta spegnendosi, sostituito rapidamente dall’arancione con forte tendenza al rosso.
Intere provincie, da Como a Bologna, da Modena a Pordenone, solo per citarne alcune, sono già zone rosse, e molte Regioni, Friuli e Piemonte hanno deciso la serrata delle scuole nelle ultime ore. E l’Emilia sembra già sulla stessa strada, viste le parole di Bonaccini : “Al di là di quello che avverrà con le decisioni nazionali, non possiamo aspettare, perché il ministero registra dati più vecchi di almeno una settimana. Serve una risposta o rischiamo di essere travolti, dobbiamo prendere decisioni sofferte».
E il Veneto?
Il Veneto è ancora “tecnicamente” zona gialla, almeno fino a lunedì prossimo, e giuridicamente Luca Zaia non può chiudere le scuole, perché ci sono direttive ministeriali che impediscono di agire a livello regionale in assenza di determinati parametri.
Ma come la pensa veramente lo ha detto mercoledì in conferenza stampa. Riferendosi al Dpcm ha infatti dichiarato: “Io avrei agito diversamente sulla scuola, io avrei chiuso, ovviamente con congedi parentali e bonus baby sitter. I dati si stanno muovendo. Lo si vede dai focolai scolastici, e mi dispiace dire ancora una volta che avevo ragione. Chiudere le scuole è sempre una sconfitta, chi protesta per la chiusura delle scuole ha ragione da vendere, ma noi davanti alla pandemia dobbiamo sempre essere obiettivi. L’ho detto al Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: era opportuno un fermo prudenziale. Se chiudi le scuole in zona rossa vuol dire che chiudi la stalla quando i buoi sono scappati perchè tu hai già la sanità e gli ospedali che boccheggiano”.
Credo che il nostro Presidente abbia ragioni da vendere, anche quando contesta il parametro dei 250 positivi ogni 100.000 abitanti senza ulteriori specificazioni, proprio quel parametro che consente alla singola Regione la chiusura delle scuole.
Sono ancora d’accordo con Zaia quando comunica la sua decisione di testare la diffusione del virus nei singoli paesi veneti, ma mi premetto di dissentire circa la sua idea di chiudere le scuole in maniera “chirurgica” nei comuni che presentano maggiori contagi.
Forse non ho capito bene, e se del caso chiedo venia in anticipo, ma francamente non comprendo caro Presidente che senso avrebbe chiudere le scuole a macchia di leopardo, oggi una qua, domani un’altra là, visto che lei stesso ha individuato nella mobilità indotta dall’attività scolastica la principale causa della crescita dei contagi.
Lo sappiamo tutti, caro Presidente, che soprattutto le scuole superiori non sono presenti in ogni paese, e che di conseguenza ogni classe è composta da ragazzi provenienti da svariati Comuni del territorio, con tutto ciò che ne consegue in termini di spostamenti.
In certe situazioni, caro Presidente, le vie di mezzo sono, per dirla alla veneta “taconi pexo del sbrego”.
Meglio quindi un taglio netto, uno stop generalizzato, per concentrarsi sulla campagna vaccinale, che a questo punto rimane l’unica luce in fondo al tunnel.
Stefano Diceopoli

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