15 Marzo 2021 - 22.22

Lavoro e crisi, Donazzan: “Mercato del lavoro bloccato”

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Nel mese di febbraio si è registrato in Veneto un saldo occupazionale positivo per circa 6.900 posizioni di lavoro dipendente, un risultato tuttavia inferiore a quello del 2020 (+8.200), che già denotava un deciso rallentamento rispetto all’anno precedente (+11.851 nel 2019). Il saldo annualizzato continua, quindi, lentamente a peggiorare e al 28 febbraio 2021 fa segnare 14.300 posizioni lavorative in meno rispetto a un anno prima, confermando le difficoltà del mercato del lavoro veneto anche in questo inizio di anno. Sono i dati riportati dall’ultima edizione della “Bussola” di Veneto Lavoro, in riferimento al mese di febbraio di quest’anno.

Le assunzioni, il cui andamento risulta particolarmente significativo per cogliere le tendenze del mercato del lavoro in questa fase di difficile raffronto con il passato, risultano nell’ultimo mese 30.030, in calo di oltre il 27% rispetto alle due annualità precedenti. Riduzione marcata anche per le cessazioni (-34%), soprattutto per quanto riguarda i licenziamenti collettivi (-78%), quelli per motivi economici individuali (-68%) e quelli legati alla fine dei rapporti a termine (-32%), logica conseguenza delle mancate attivazioni dei mesi scorsi con questa tipologia contrattuale. Le più penalizzate sul versante delle assunzioni risultano essere le donne (-32%), gli italiani (-28%) e i giovani (-28%).

Il nuovo anno si conferma, dunque, carico di insidie, anche in virtù di una recrudescenza dell’emergenza sanitaria, riacutizzata dal diffondersi del virus e delle sue varianti, e da un contesto economico che rischia nuovamente di aggravarsi a causa delle nuove chiusure, soprattutto nei settori già colpiti. Se le attività che ruotano attorno agli sport invernali vedono ormai definitivamente compromessa l’annata, grosse difficoltà continuano a interessare le attività culturali, in senso lato, la ricettività e la ristorazione, il trasporto aereo, il commercio e il turismo.

Tra gennaio e febbraio, infatti, la flessione della domanda di lavoro si è concentrata principalmente nei servizi turistici (-69%) e nel commercio (-32%), ma non ha risparmiato neppure i settori industriali, a dimostrazione del fatto che il blocco del turnover determinato dal divieto di licenziamento continua a mantenere ingessato il mercato del lavoro. La stagionalità tipica del periodo spinge invece l’agricoltura, che contiene la flessione delle assunzioni al -4,4% e mostra un saldo analogo a quello degli anni precedenti (+11.571 posizioni lavorative).

A livello territoriale, il saldo di gennaio e febbraio è positivo in tutte le province, come usuale in questo periodo dell’anno, ma quasi ovunque inferiore a quello del 2020. In compenso, la domanda di lavoro si conferma in calo, con le province ad alta propensione turistica a farne maggiormente le spese: Venezia vede le assunzioni dimezzarsi rispetto all’analogo periodo dello scorso anno, mentre Verona registra un calo del 25%, così come Padova. Variazioni più contenute a Vicenza (-22%), Treviso (-18%) e Rovigo (-13%). Unica eccezione Belluno, che, seppure su volumi complessivi assai modesti, vede un saldo superiore a quello del 2020 (+753 contro +133) e un lievissimo rialzo delle assunzioni (+1,2%).

La dinamica di febbraio è stata lievemente positiva per il tempo indeterminato (+900 posizioni lavorative), ancora protetto da cassa integrazione e divieto di licenziamento, nonostante prosegua ancora la flessione delle assunzioni (-26%), e per il tempo determinato (+6.300). I contratti a termine, sia stagionali che non, sono quelli su cui nell’ultimo anno si è scaricato tutto il peso delle diverse fasi di lockdown, e a febbraio continuano a mostrare una forte flessione delle assunzioni (-28%). Appena negativo l’apprendistato (-330). Male anche il lavoro somministrato che a inizio 2021 ha fatto registrare una flessione del -24% rispetto a gennaio 2020, un mese in cui la pandemia ancora non aveva inciso, con poco più di 10.000 attivazioni rispetto alle 13.300 dell’anno precedente.

“I dati sono più che preoccupanti, e sostanzialmente ci restituiscono la fotografia di un mercato del lavoro bloccato ed in arretramento – afferma l’Assessore Regionale al Lavoro del Veneto Elena Donazzan -. I contratti che potremmo definire ‘di accesso’ quali il tempo determinato e la somministrazione segnano dati inquietanti; il saldo positivo tra cessazioni e nuove entrate è invece anestetizzato dal blocco dei licenziamenti”.

“Stiamo lavorando da mesi con le rappresentanze datoriali e dei lavoratori per prepararci ad affrontare l’onda d’urto dei potenziali disoccupati causati dalla riduzione della capacità delle nostre imprese di far fronte ai propri dipendenti – continua Donazzan – e, quando sarà, dallo sblocco dei licenziamenti stiamo intensificando il confronto, con tavoli settoriali volti ad analizzare nel dettaglio le varie situazioni: un lavoro che ci sarà utile per programmare al meglio le risorse delle politiche attive e gli strumenti di accompagnamento”.

“Certo, l’impressione è di arginare con le sole mani una esondazione di gravi proporzioni, ma la coesione sociale del Veneto, e soprattutto il confronto continuativo con le parti sociali, ci aiuterà a superare questo difficile momento” conclude l’Assessore regionale.

Un’analisi dettagliata sull’andamento della disoccupazione in periodo di Covid-19 – contenuta nell’approfondimento statistico di Veneto Lavoro “I disoccupati amministrativi dei Centri per l’impiego” – denota come la pandemia abbia condizionato anche i flussi di ingresso in stato di disoccupazione. Nel 2020 ai Centri per l’impiego della Regione sono state presentate 118 mila dichiarazioni di immediata disponibilità (Did), il 17% in meno rispetto alle 143 mila del 2019. Diminuiscono soprattutto gli inoccupati (-36%), ovvero soggetti alla ricerca del primo impiego, e aumenta la quota delle donne sul totale (dal 55% al 57%). Tale andamento è il risultato di più cause: i lockdown, con le conseguenti difficoltà di spostamento e le chiusure degli uffici pubblici; l’effetto di scoraggiamento, sempre rilevabile nei periodi di crisi economica, che riduce la propensione alla ricerca attiva del lavoro; le misure messe in atto al fine di salvaguardare i posti di lavoro, che hanno irrigidito i flussi complessivi di entrata e uscita dal mercato del lavoro. Nei primi due mesi del 2021 la tendenza non è cambiata: -19,4% rispetto al 2020, con le donne che rappresentano il 54% del totale, gli stranieri che mantengono la loro presenza attorno al 26% e i giovani che vedono aumentare la propria quota sul totale dei nuovi ingressi (48%).

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