19 Aprile 2021 - 9.41

Italia, la peggiore… Dove abbiamo sbagliato?

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di Alessandro Cammarano

“Riapertura”: la parola magica, quella che tutti aspettavano è stata pronunciata da Mario Draghi in conferenza stampa. Si è dunque passati dalla linea dura delle scorse settimane, presentata sempre con la terrificante locuzione “in via prudenziale” cara al ministro della Salute al “rischio ragionato” del Presidente del Consiglio che, da buon economista, valuta piuttosto correttamente il rapporto costi-benefici. Si riparte – “con juicio” come diceva il Ferrer di manzoniana memoria – ma si riparte, sperando che la gente non faccia carne di porco dell’allentamento delle misure festeggiando con lanci di mascherine e abbracci vari anche al chiuso.

Come non essere felici di tutto ciò? Si potrà cenare al ristorante, magari con un felpone che ci protegga dal freddo di questo aprile strano, ma ci si potrà aiutare con l’alcol. Tra poco sarà possibile anche tornare in palestra e, udite udite, anche a teatro e al cinema, il tutto sempre con la testa sulle spalle, si spera.

Resta il fatto che qualcosa, dati alla mano, abbiamo sbagliato nella gestione dell’emergenza pandemica, soprattutto nella seconda ondata, che forse se non si fosse dato il “liberi tutti” la scorsa estate sarebbe stata meno violenta. Siccome con i “se” e con i “ma” la storia non si fa conviene analizzare i dati.

Stando ad oggi la Germania – che per la cronaca è ai piedi di Dio per contagi e diffusione nonostante i confinamenti siano ancor più duri che qui da noi – presenta un numero di contagi pari a 3,13 milioni mentre in Italia siamo a 3,84 milioni; da tenere in conto anche il fatto che i tedeschi sono circa 20 milioni in più degli italiani.

Quello che sconvolge è il numero dei decessi: da noi 116.000, in Germania 79.894, ovvero – a fare due conti a spanne – una differenza del 40%.
La Spagna – fatte le debite proporzioni – presenta più o meno la nostra situazione, ma avendo adottato misure di contenimento assai più blande e con un sistema sanitario assai più collassato del nostro.

La domanda sorge spontanea, come avrebbe detto il professor Pazzaglia: “Se in Spagna i teatri e i cinema sono sempre rimasti aperti e al ristorante e al bar si poteva prendere la cerveza del pomeriggio e mangiarsi una paella la sera, allora perché noi tutti chiusi siamo morti in misura più o meno identica?”.

Proseguendo con le comparazioni si incontra la Francia: numero di abitanti simile a quello italiano, 5,22 milioni di casi – vale a dire un numero esorbitante, quasi il doppio del nostro, ma si tenga conto che le scuole sono sempre rimaste aperte – e 100.000 morti. A conti fatti i numeri ci danno sempre torto.

Assai meglio se la cava il Regno Unito, che grazie al tanto vituperato vaccino AstraZeneca – che adesso non si chiama più così ma tant’è – sta procedendo spedito all’immunizzazione della popolazione che lunedì scorso ha cominciato a riaprire un po’ tutto, pur sempre con la minaccia di serrare di nuovo a fronte di comportamenti irresponsabili. Israele è fuori concorso.

E qui si torna alla domanda che non ha risposta: dove stiamo sbagliando? Perché se con la paralisi pressoché totale del paese abbiamo un bilancio di vittime agghiacciante anche a fronte di un sistema sanitario che sostanzialmente tiene allora veramente non si capisce nulla.

Forse vale la pena di concentrarsi sul futuro, o meglio sulle prossime settimane, cercando di riprendere con gradualità e intelligenza una vita quanto più possibile normale, sperando che un gran numero di persone possa essere vaccinata rapidamente; per quel che mi riguarda ho prenotato un tavolo per due, rigorosamente all’esterno, il prossimo 26 aprile al mio ristorante preferito.

Alessandro Cammarano

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