“Ale e i lupi”: il nuovo libro per bambini di Daniele Zovi ci porta alla scoperta degli animali del bosco
Non è una favola, ma il
racconto di una scoperta: Daniele Zovi torna in libreria con “Ale e i lupi”, il
secondo libro per bambini con le fantastiche illustrazioni di Giulia Tomai. Dopo
“Ale e Rovere”, lo scrittore e divulgatore, esperto di foreste e animali
selvatici, ci porta a scoprire, con uno stile chiaro e piacevole, l’importanza
della struttura familiare nei lupi, della vita di gruppo, e del rispetto dei
ruoli e della gerarchia all’interno del branco.
Nativo di Roana, Daniele Zovi è laureato in Scienze Forestali a Padova e ha
fatto della natura la sua vita. Per quarant’anni ha prestato servizio nel Corpo
Forestale dello Stato, prima come ufficiale e poi come dirigente. È autore di
diversi trattati sul tema, tra cui “Alberi sapienti. Antiche foreste” e “Italia
selvatica”; nonché di numerosi articoli su riviste scientifiche e documentari
storico-naturalistici. Con “Ale e i lupi” sveste i panni di saggista per tornare
a rivolgersi ai più giovani.
Andiamo a conoscere il mondo segreto dei lupi con lo scrittore altopianese.
Che cosa ci insegna “Ale e i
lupi”?
«Con
“Ale e i lupi” ho voluto raccontare una mia esperienza diretta. Sulle colline
bolognesi ho avuto la possibilità di osservare i lupi da una certa distanza e quindi
immagino che Alessandra e suo fratello Francesco vadano a trovare i nonni in
collina e riescano poi a vedere, sempre da lontano con il binocolo, prima i
lupetti e poi anche gli adulti che alla sera tornano dalla caccia e portano il
cibo ai piccoli. Ho raccontato di come
il branco sia di fatto una famiglia organizzata con delle gerarchie. In questo
gruppo familiare viene anche accettata una lupa che perde una gamba per un atto
di bracconaggio. In seguito a una fucilata, la lupa rimane con tre gambe eppure
viene accolta nel branco, all’interno del quale svolge un servizio importante:
si occupa di portare il cibo ai piccoli e di farli giocare. Questi sono temi molto
reali, io studio i lupi da trent’anni e li ho visti in molte parti d’Italia,
oltre che in Veneto. La lupa a tre gambe non l’ho vista di persona, ma un
collega in Appenino ne ha potuto constatare la presenza. Ho l’abitudine, dopo
avere scritto queste storie, di farle leggere alla maestra di mio figlio, che adesso
va all’Università. È molto brava e ha letto il libro ai suoi alunni di terza e
quarta elementare: la storia non solo è piaciuta, ma ha funzionato bene perché,
a partire dalla famiglia di lupi, ha potuto trarre molte riflessioni per i
bambini sulla vita in famiglia e l’importanza del rispetto delle gerarchie. Ho
voluto poi trattare un tema che spesso viene evitato, ovvero il fatto che i
lupi si nutrono di altri animali, in questo caso di un capriolo. Si evita di
parlare ai bambini della morte, ma io ritengo che la morte sia un passaggio
fondamentale della vita e che faccia parte integrante di questo nostro essere
al mondo. I carnivori sono obbligati a mangiare gli erbivori: non c’è
un’alternativa. Bisogna imparare ad essere, anche con i bambini, molto
realistici e a non edulcorare sempre quello che avviene nella natura».
I bambini sono più bravi degli
adulti ad ascoltare la natura e a rispettarla?
«Sì,
secondo una leggenda re Salomone possedeva un anello che gli permetteva di
parlare con tutti gli animali. Io credo che i bambini abbiano questo anello, anche
se poi crescendo perdono questa capacità. Da adulti torniamo però ben
volentieri ad occuparci di natura: c’è un sentimento crescente di interesse per
gli ambiti naturali e con la pandemia, questo bisogno di tornare ad
attraversare spazi naturali, si è anche accentuato».
Da saggista a scrittore per
bambini: quanto è importante che i più piccoli riscoprano il contatto con il
mondo naturale e imparino a conoscerlo?
«Credo
questo sia fondamentale per molti motivi. Di sicuro il rispetto e l’amore
nascono dalla conoscenza: è molto difficile amare una cosa che non si conosce.
L’esperienza diretta è il modo migliore per conoscere la natura e si riesce a
fare solo uscendo dai nostri ambiti cittadini. Andare per boschi e per pascoli
è una cosa semplice, priva di mediazione. Tutti i nostri territori, intorno
alle città o un po’ più lontani dai centri urbani, in collina e in montagna,
sono liberi al transito: basta avere un paio di scarpe discrete, una giacca a
vento nello zaino e poi andare. Quello che io consiglio è proprio di compiere
questi atti semplici: andare a camminare, attraversare i boschi, ma anche
fermarsi e sedersi sotto ad un albero, appoggiare la schiena al tronco e magari
chiudere gli occhi. Può sembrare una banalità, ma se chiudo gli occhi attivo
gli altri sensi: sento di più i profumi e l’aria che mi sfiora la pelle, con il
tatto percepisco l’umidità della terra. Mi accorgo che a occhi chiusi sento
anche i rumori: il vento che passa tra le foglie, il canto degli uccelli, il
calpestio di qualche animale. Succede sempre qualcosa. Questi approcci molto
semplici li facciamo troppo poco e penso che sia opportuno farli di più».
Al di là dell’immaginario
collettivo, come descriverebbe il lupo in realtà?
«Noi
siamo inevitabilmente circondati da una foresta di simboli: l’uomo ne ha bisogno,
se non li ha solitamente li costruisce. Facciamo un po’ fatica a liberarcene,
per certi aspetti siamo rimasti al Medioevo dove sono cominciate a nascere
queste immagini. Gli animali selvatici non venivano mai descritti per com’erano,
ma per come serviva che fossero: c’era bisogno di usare questi animali come
simboli e quindi il lupo è stato il prescelto in assoluto per rappresentare il
male. Dal Medioevo in poi, nelle prediche dei preti, il lupo è il demonio, noi
siamo le pecorelle e il prete è il buon pastore che ci difende dal lupo. Questa
predica è stata ripetuta un’infinità di volte fino ai giorni nostri, quindi è
difficile che la nostra percezione del lupo sia libera da questo timbro
d’infamia. In realtà non perdo mai
l’occasione di ricordare che negli ultimi 150 anni in tutta Europa non si sono
registrati attacchi del lupo sull’uomo. E questo è un dato scientifico e
statistico. Possiamo dire altrettanto del migliore amico dell’uomo? Ogni anno
muoiono nel mondo 25.000 persone ammazzate da cani rinselvatichiti. Altri
vengono feriti o ammazzati da vacche e da cavalli. Il lupo, e anche lo squalo,
fanno pochissimi danni. Ovviamente il lupo è un predatore e un carnivoro e, se
trova prede facili, le preda. Da questo punto di vista dobbiamo imparare a
tutelare i nostri animali, sia i vitelli che le pecore, dagli attacchi del
lupo. Dobbiamo tutelare anche i nostri cani, perché il lupo difende il proprio
territorio, che considera la sua casa, dall’intrusione di animali che gli
assomigliano. Tutti i cani del mondo hanno un unico progenitore che è proprio
il lupo: dal chihuahua all’alano. Se un cane attraversa un territorio abitato
dai lupi deve stare attento perché potrebbe essere azzannato».
Il lupo ha fatto ormai ritorno
nel Vicentino da qualche anno. È possibile una convivenza pacifica con l’uomo?
«Ci
tengo a sottolineare un aspetto che qualche volta viene dimenticato o taciuto.
Nelle nostre montagne abbiamo assistito ad un aumento clamoroso degli erbivori.
Quando ero ragazzo, ma anche da adulto, non sono mai riuscito a vedere un cervo
nell’Altopiano di Asiago semplicemente perché non ce n’erano. Erano stati
sterminati dall’uomo. Ho visto una foto in bianco e nero scattata nel 1940, in
cui alcuni cacciatori si sono fatti riprendere davanti a quattro camosci
ammazzati. Questi sono stati gli ultimi camosci dell’Altopiano. Per intenderci,
è più cattivo Cappuccetto rosso del lupo. L’aumento della superficie forestale
in Italia, che negli ultimi cento anni è raddoppiata, e l’applicazione di una
nuova legge che difende questi animali selvatici hanno fatto sì che gli ungulati,
come il cervo, il capriolo, il camoscio e il cinghiale, siano aumentati moltissimo.
Sull’Altopiano di Asiago siamo passati da zero a 1200 cervi censiti dalla Provincia,
a 600 camosci e tantissimi caprioli. Nella foresta del Cansiglio siamo passati da
zero a 3000 cervi, con gravi conseguenze per la foresta. Questi cervi si nutrono
infatti delle plantule di faggio, le brucano e azzerano la rinnovazione
naturale del bosco. L’abbiamo visto anche in Trentino a Paneveggio, dove l’abete
bianco e il sorbo degli uccellatori sono spariti perché mangiati dai cervi. Il
ritorno del lupo va visto come un regolatore degli equilibri naturali. Da una
parte il lupo preda questi erbivori e ne riduce il numero, dall’altra comunque
li fa correre in modo che si spostino e stiano più attenti. Prima dell’arrivo
del lupo, non avevano nessun nemico se non il cacciatore che ha svolto una
funzione positiva da questo punto di vista. Dopodiché è evidente che non tutti
sono d’accordo con me, è una polemica costantemente aperta: il pastore che
subisce un danno al suo gregge e l’allevatore che vede ammazzata una sua vacca
o un vitello si arrabbia e soffre. Io sarei come lui, ma è per questo che dobbiamo
tornar a tutelare i nostri animali allevati e amici, come il cane, così come
hanno fatto i nostri predecessori un paio di secoli fa. Rispetto a loro,
possiamo servirci anche di recinti elettrici alimentati da pannelli solari. I
recinti elettrici e un cane da guardiania come il maremmano, che nasce e cresce
all’interno del gregge, sono sufficienti per difendere il gregge. Ho conosciuto
pastori sul Grappa che avevano questi cani e non avevano subito nessun danno. Nelle
colline emiliane, a Forlì, ho incontrato allevatori di vacche allo stato
semibrado che avevano subito dei danni ai vitelli appena nati. Hanno cominciato
a far partorire le vacche in stalla e le hanno portate fuori insieme ai vitelli
un mese dopo: questo è bastato per risolvere il problema. Da allora non hanno
più avuto danni perché, quando avverte l’arrivo del lupo, il branco di vacche
si mette in cerchio e al suo interno protegge i vitelli. Se i lupi si
avvicinano alle vacche, si prendono dei bei calci».