27 Maggio 2021 - 12.35

Tragedia del Mottarone: quando la legge non basta

di Umberto BALDO

Si possono fare tutte le leggi che si vuole, si può normare di tutto di più, ma di fronte a certi fatti ci si rende conto che serve a poco o nulla, quando da parte di qualcuno c’è la volontà di violarle, di calpestarle quelle regole.
Le norme sulle funivie ci sono, e sono molto rigorose, ma al Mottarone a nulla sono serviti il sistema di controlli più frequente, le norme più rigorose d’Europa, gli standard di sicurezza più rigidi.
Tutto si è infranto di fronte alla scelta criminale di tre persone che hanno manomesso consapevolmente i freni di emergenza dell’impianto. Sapevano cosa facevano, erano consapevoli che la funivia richiedeva una manutenzione radicale, quindi costosa, ma il loro obiettivo era evitare il blocco in caso di malfunzionamenti, sempre più frequenti nell’ultimo mese.
Così sono morte 14 persone, e prima o poi qualcuno dovrà spiegare all’unico sopravvissuto, un bambino di 5 anni di nome Eitan, salvatosi grazie all’estremo gesto d’amore del padre che lo ha protetto con il suo corpo, che in pochi secondo ha perso tutta la sua famiglia.
Queste persone, questo pezzo di mondo, non sono morte per un incidente imprevedibile, per una fatalità, per un destino avverso!
Sono morte per l’avidità di chi doveva garantire la loro sicurezza, per qualche migliaio di euro in più di incassi.
E questa avidità, questa ingordigia, sta alla base anche di un altro fatto di cronaca di cui abbiamo avuto notizia in questi giorni.
Mi riferisco ad un’azione contro l’ambiente, l’ecosistema, e la salute dei cittadini, perpetrata secondo gli inquirenti da alcune aziende specializzate nel trattamento di fanghi tossici.
Non è una novità che pratiche criminali di questo tipo siano piuttosto diffuse nel nostro Paese, ma forse nel nostro immaginario pensavamo che fossero un fenomeno tipico di quell’area fra Napoli e Caserta tristemente nota come “Terra dei fuochi”, o in altre zone del nostro Sud, come il foggiano.
Non è così, e i fatti di cui parliamo sono accaduti nella nostra pianura padana, a dimostrazione che si tratta ormai di un sistema criminale diffuso ormai in tutta Italia.
Ma precisamente di cosa parliamo?
Secondo quanto riferito dalle Autorità, di una società bresciana operante nel settore del recupero dei rifiuti, con stabilimenti in quel di Calcinato, Calvisano e Quinzano d’Oglio, che ritirava i fanghi prodotti da numerosi impianti pubblici e privati di depurazione delle acque reflue urbane e industriali, al fine di trattarli con un procedimento che ne garantisse l’igienizzazione, e la trasformazione in sostanze fertilizzanti.
Invece, per massimizzare i profitti, la ditta non sottoponeva i fanghi contaminati al trattamento previsto, e anzi aggiungeva ulteriori inquinanti come l’acido solforico derivante dal recupero di batterie esauste.
Poi questo mix letale per l’ambiente e per l’uomo veniva smaltito su terreni agricoli situati in diverse provincie del Nord Italia, tra cui Brescia, Mantova, Cremona, Milano, Pavia, Lodi, Como, Varese, Verona, Novara, Vercelli e Piacenza.
Non stiamo parlando di poca cosa eh!
Si stima si tratti di 150.000 tonnellate, equivalenti a 5.000 camion, di fanghi tossici contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e sostanze inquinanti, spacciati per fertilizzanti, e sversati su circa 3.000 ettari fra il gennaio 2018 ed agosto 2019.
Con un illecito profitto per gli inquinatori valutato in circa 12 milioni di euro.
Agli agricoltori proprietari dei fondi i “fertilizzanti tossici” venivano offerti gratis, come pure gratuita era l’aratura.
Debbo dirvi che ho qualche dubbio che gli agricoltori fossero del tutto ignari, anche perchè in base al detto veneto secondo cui “par gnente l’orbo no canta”, qualche domanda avrebbero dovuto porsela.
Tanto è vero che un coltivatore che ha rifiutato l’offerta ha dichiarato: “Difficile non sentire puzza di illecito; quando mai un estraneo ti regala qualcosa?”
E che fra i 15 indagati ci fosse la consapevolezza di mettere in atto comportamenti illeciti lo si ricava ad esempio da una inquietante intercettazione di un geologo che il 31 maggio 2019 diceva al telefono “Io ogni tanto ci penso, cioè, chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi”.
E parlando con un collega che gli dice che quello che stavano facendo “era per il bene dell’azienda”, risponde “Siamo talmente aziendalisti da non avere più pudore”.
Non so voi, ma io di fronte ad un tale cinismo rimango senza fiato!
Entrambe le vicende, quella del Mottarone, e questa dei fanghi inquinanti sono nelle mani della Magistratura, e la speranza è che a questi “gentiluomini”, se giudicati colpevoli, vengano comminate pene esemplari.
Anche se, dimenticando per un attimo Cesare Beccaria, mi verrebbe la voglia di propinate agli “inquinatori padani” una dieta a base di pop-corn fatti con il mais coltivato nei terreni dove hanno sversato i fanghi.
Riprendendo il discorso iniziale, ho affermato che il fil rouge che lega le due vicende è l’avidità, la sete di denaro, che questa società ha elevato a misura del successo di un individuo.
E questo porta ad un sommovimento nella gerarchia dei valori, mettendo il profitto davanti a tutto e tutti.
Dal punto di vista etico una scelta semplicemente ripugnante!
Ogni volta di fronte a queste tragedie ci abbandoniamo a profluvi di commenti sdegnati e buoni propositi per il futuro, dimenticando le tragedie precedenti. Dimenticando ad esempio che il non voler spendere il giusto in manutenzione, è stato alla base anche del crollo del Ponte Morandi, i cui cavi d’acciaio sono stati corrosi oltre che dall’umidità e dello scorrere del tempo, anche dall’avidità dei gestori dell’impianto.
Quella stessa avidità che abbiamo purtroppo dovuto constatare nelle risate di alcuni imprenditori dopo il terribile terremoto dell’Aquila, da loro visto non come una tragedia, bensì come un’opportunità di guadagno.
Non ci sarà futuro per questo nostro Paese se non riusciremo a riportare l’etica, l’onestà, il rigore, in tutte le sfere del nostro operare.
Diversamente ci sarà sempre qualcuno che si troverà, suo malgrado, a dover spiegare ad un piccolo Eitan perchè gli si è tolta così presto la felicità.
Umberto Baldo

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