Cosa ci insegna la tragedia di Saman
Non passa giorno senza che le cronache riportino notizie di “femminicidi”, ed in generale di violenze sulle donne.La morte è il prezzo più alto che una donna si trova a pagare quando ha a che fare con la violenza maschile, ma i primi campanelli di allarme sono lo stalking e le aggressioni verbali e psicologiche, per continuare con i soprusi fisici o sessuali.In questo clima di violenza diffusa sulle donne, l’omicidio, almeno così sembrano pensarla gli inquirenti anche se il corpo non è ancora stato trovato, della giovane pakistana Saman Abbas, potrebbe passare come uno dei tanti, né il primo né purtroppo l’ultimo. Ma non è così, per tutta una serie di ragioni.Innanzi tutto per come è maturato, in quanto per la più parte i femminicidi sono reati d’impeto, perpetrati in un momento di rabbia o delirio di onnipotenza del maschio, mentre Saman è stata uccisa a sangue freddo, con la complicità dell’intera famiglia, un delitto deciso e pianificato in un ambito di fanatismo pseudo religioso.Non ripercorrerò qui passo passo gli eventi che hanno portato al tragico epilogo. E’ quasi un mese che i media ne parlano, ma per chi non abbia seguito la vicenda, basti dire che la colpa di Saman era semplicemente quella di essersi opposta ad un matrimonio combinato, di avere detto no ad un matrimonio senza amore con un cugino residente in Pakistan. Un’onta da lavare col sangue, secondo costumi lontani anni luce dalla nostra cultura, ma, è bene ricordarlo, costumi e pratiche che nulla hanno a che fare con il Corano e con l’Islam.L’altro motivo per cui la morte di Saman non può essere liquidata “voltando pagina” è il fatto che mette in discussione l’annoso problema della integrazione degli immigrati nel nostro Paese. Saman era una diciottenne, che nei mesi in cui era stata assegnata ad una casa famiglia a Bologna, per sottrarla alle violenze ed ai soprusi dei genitori, aveva postato su Instagram dei video in cui si definiva “Italian girl”, e dove girava sotto i portici con jeans strappati e scarpe da ginnastica, senza il velo. Una ragazza che si sentiva a tutti gli effetti italiana, che sicuramente aveva aderito ai nostri valori, al nostro modello civile e culturale, ma che si trovava suo malgrado a vivere “fra due mondi”.Il suo, quello di una immigrata di seconda generazione, che voleva vivere una vita analoga a quella delle sue coetanee italiane, ed il mondo dei suoi genitori e dei suoi parenti, legato ai valori culturali della terra d’origine, sovente incompatibili, in special modo per ciò che attiene la condizione femminile, con quelli di una società occidentale avanzata.La “colpa” di Saman è stata solo quella di essersi trovata, suo malgrado, in mezzo a questo scontro fra due culture inconciliabili, di avere fatto una scelta netta rifiutando un matrimonio deciso dai suoi genitori, e questa scelta l’ha pagata con la vita. Ma a questo punto le nostre Istituzioni, noi stessi, non possiamo eludere la domanda: ma noi cosa abbiamo fatto per salvare Saman?Cosa facciamo per salvare le tante altre Saman che nella nostra Italia, per ignoranza delle leggi o per paura, non hanno la forza di ribellarsi ai propri parenti, e che si sottomettono in silenzio ai diktat della propria famiglia e di presunti principi religiosi?Quanti altri casi di violenza e omicidio siamo disposti a tollerare in nome di un peloso politically correct? Un politically correct che, spiace dirlo, interessa in particolare il mondo della sinistra, anche perchè da destra certi fenomeni di mancata integrazione sono visti come la conferma che bisogna chiudere le frontiere. Mi sono chiesto, e non solo io; come mai i rappresentanti del Pd e di Leu, di solito in prima linea nei talk show a difendere le donne vittime di soprusi, e qualsiasi fenomeno che assomigli anche lontanamente al razzismo, quando si trovano di fronte a casi come quello di Saman improvvisamente perdono la favella? Come mai le pasionarie, le nostre femministe in servizio quasi permanente, sempre molto coinvolte per i casi di qualche aspirante attrice molestata da registi o produttori, non sono scese in piazza per protestare per l’omicidio di Saman, e contro l’ennesimo caso di cancellazione della dignità umana di una donna in nome del fanatismo religioso? Perché si condannano con grande veemenza e grande fermezza femminicidi e violenze quando riguardano donne italiane, mentre quando coinvolgono ragazze straniere come Saman sembrano battaglie di serie B?Molti osservatori pensano che la sinistra tema che i lati più imbarazzanti della cultura islamica, e tra questi il trattamento riservato alle donne, compromettano il progetto politico di diventare i rappresentanti elettorali di quel mondo, quando prima o poi il diritto di voto verrà esteso anche agli immigrati.Troverei piuttosto cinico un disegno politico del genere, qualora rispondesse alla realtà.Come pure trovo ipocrita l’indignazione che esplode ogni volta che una donna viene uccisa, violentata o semplicemente vessata, se poi non si ha il coraggio di denunciare la barbarie di certe forme di fanatismo religioso che quotidianamente vengono perpetrate in certe comunità del nostro Paese.E nel silenzio dei vertici dei Partiti di sinistra, si lascia che parlare sia Marwa Mahmoud, consigliera comunale musulmana del Pd a Reggio Emilia, che giorni fa ha lanciato un appello ai piani alti del partito. “Da parte nostra c’è timore a intervenire su questi temi, (…), si ha anche paura di essere additati come razzisti nonché facilmente strumentalizzati”. Insomma, dice Mahmoud “si è tergiversato e si è preferito agire con forme di paternalismo, assistenzialismo, accoglienza rispetto ai migranti. Che ci stanno, ma non basta. Perché poi tutto il resto diventa tabù. Parliamone e mettiamoci la faccia”.Ritengo che non ci si possa bloccare per la paura di sembrare razzisti, per il timore di sembrare discriminatori nei confronti di un’altra cultura!Se sarà provato che Saman è stata veramente uccisa dallo zio, su istigazione dei genitori, per aver semplicemente chiesto di poter vivere la sua vita secondo i principi ed i valori della suo nuovo “Paese”, bisogna avere il coraggio di urlare che in Italia non c’è spazio per culture che fanno strame dei diritti delle donne, considerate quasi alla stregua di animali.E quell’ “italian girl”, con cui orgogliosamente si definiva Saman nei video che postava su Instagram, deve restare per sempre un macigno sulle nostre coscienze.