15 Maggio 2022 - 10.06

Mancano camerieri in Veneto (e non solo): ecco perché il turismo rischia il flop

A.A.A. camerieri cercansi. Ma anche lavapiatti, aiuto chef, commis di sala, receptionist. Si tratta di un grido di allarme lanciato dagli operatori del turismo e della ristorazione di tutta Italia. Non si tratta di un fenomeno totalmente nuovo, ma che, complice il passato biennio della pandemia, quest’anno sta assumendo dimensioni drammatiche., Non passa giorno che non si leggano interviste di titolari di pizzerie o ristoranti costretti a non aprire a pranzo o a cena per impossibilità di offrire il servizio alla clientela. E che la situazione sia pesante lo dimostra anche il fatto che a marzo l’assessore al lavoro del Veneto Elena Donazzan annunciava di voler mettere intorno ad un tavolo le parti sociali per fare il punto della situazione della carenza di personale che non riguarda più figure legate alla stagionalità, ma gli organici delle aziende della ristorazione e dell’accoglienza in tutta la nostra Regione.
Il paradosso è che a fronte di queste difficoltà di trovare alcune figure professionali, il dato relativo alla disoccupazione resta ancora fra i più alti d’Europa.
Perchè questa contraddizione?
Non è facile trovare il bandolo che spieghi bene questo deficit di mano d’opera, che sta assumendo sempre più un carattere strutturale.
Alcuni puntano sull’indisponibilità dei giovani a svolgere lavori faticosi, che prevedono la presenza anche di sabato e domenica, e orari di lavoro piuttosto lunghi.
Altri puntano il dito sul basso livello degli stipendi, che rendono concorrenziali i sussidi pubblici.
Altri ancora se la prendono con il disallineamento tra competenze delle persone acquisite a scuola, e le richieste delle imprese.
In realtà credo siano molteplici le cause che concorrono a questo fenomeno.
Ma non c’è dubbio che lo Stato ci abbia messo del suo.
In questa logica il Reddito di cittadinanza è solo un tassello che si aggiunge a un sistema che di per se stesso, a partire dall’alto costo del lavoro, disincentiva quello regolare e finisce per spingere verso il sommerso.
La verità che tutti i nostri sussidi, dalla cassa integrazione all’indennità di disoccupazione, sono strutturati come alternativi all’occupazione.
In altri Paesi, invece, c’è un forte impegno delle agenzie pubbliche nella riqualificazione e reinserimento al lavoro, ed il sussidio è solo uno strumento di sostegno in questo percorso virtuoso.
Come volete che possa funzionare un sistema in cui l’Inps eroga un assegno che è di fatto incompatibile con il lavoro, mentre le politiche attive, ammesso che si facciano, restano di competenza di altri Enti?
Il tutto senza alcuna condizionalità, e soprattutto senza controlli!
E’ evidente che così in questi anni si è finito per favorire solo il lavoro nero o irregolare, che convenivano sia al disoccupato titolare di sussidio, sia al datore di lavoro.
Certo questo giochino ha funzionato finchè c’erano comunque lavoratori disponibili a mettersi a fare le pizze, a cucinare, a servire ai tavoli.
Adesso che le persone questi lavori li rifiutano, o si accetta un forte ridimensionamento della nostra industria turistica, oppure bisogna ripensare il sistema.
Ma per questo serve qualcosa di più degli appelli sui giornali degli imprenditori, o dei proclami in parlamento dei nostri politici!

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