29 Giugno 2022 - 10.15

Siccità e crisi idrica. Gli altri dissalano il mare, e noi razioniamo l’acqua

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Di Umberto Baldo

Ormai siamo alle novene, a qualche vescovo che benedice i campi riarsi del sole, ed i cieli azzurri, invocando la pioggia.
Pratiche che, ad essere buoni, potevano andare bene nel medioevo, ma non in un’epoca come la nostra in cui ci sono le tecnologie per risolvere il problema.
Che i cambiamenti climatici stiano progressivamente riducendo le precipitazioni annuali, piovose e nevose, determinando sempre più di frequente le cosiddette “emergenze siccità”, e desertificando ampie estensioni di territorio italiano, credo nessuno lo possa negare.
Penso si possa quindi affermare che il problema della siccità non sia più un’emergenza bensì un dato di fatto, ormai sempre più incombente anno dopo anno.
Secondo voi cosa dovrebbe fare una classe politica lungimirante in queste condizioni?
Cercare di affrontare il problema in un’ottica di lungo periodo, e per quanto possibile definitiva.
Questo suggerirebbe la logica.
Ma la logica in Bonuslandia è merce rara, ed infatti i nostri Demostene sono bravissimi e rapidissimi nel dichiarare le emergenze quasi fossero fatalità; ma in questo caso non si tratta di una fatalità.
Eppure le tecnologie per evitare la desertificazione del suolo agricolo, l’inaridimento dei corsi d’acqua, lo svuotamento dei bacini, ed il cosiddetto cuneo salino, ovvero la risalita di acqua salata dalle foci dei fiumi verso monte (che soprattutto tra Adige e Po è diventata inarrestabile) c’è eccome, e si chiama desalinizzazione dell’acqua marina.
Guardate che non stiamo parlando di Star Wars o di Dune, bensì di impianti che altri Stati più avveduti stanno usando da anni, procurandosi così a costi abbastanza contenuti acqua potabile in grande quantità.
Lo so bene che la mente corre ad Israele, i cui impianti di Ashkelon, Palmahim, Hadera, Soreq, Ashdod, in breve tempo hanno coperto circa il 35 per cento del fabbisogno di acqua potabile, con la prospettiva di arrivare al 70 per cento entro il 2050. Per di più Israele non solo desalinizza, ma ricicla anche l’85 per cento delle acque reflue.
Ma anche il Giappone e le Monarchie del Golfo ricavano alte percentuali di acqua potabile da impianti di desalinizzazione.
Ma senza andare troppo lontano, basta guardare ad occidente, verso la Spagna.
Non so perchè noi italiani abbiamo una sorta di inspiegabile complesso di superiorità nei confronti del Paese iberico, ma basta visitarlo per rendersi conto che in quasi tutti i campi sono molto più avanti di noi (tipo ad esempio il numero di rigassificatori).
Fra questi sicuramente il problema idrico, visto che la Spagna infatti si pone in Europa come il paese ad aver investito di più nelle tecnologie per ottenere acqua dolce dal mare. Parliamo naturalmente dei desalinizzatori o dissalatori, di cui la Spagna è l’unico paese europeo a fare un uso massiccio.
E la riprova è che in questi giorni nel delta del Po, a Porto Tolle, per far fronte al cuneo salino è entrato in funzione un desalinizzatore mobile affittato, pensate un po’, proprio dalla Spagna.
Quindi le tecnologie ci sono, gli impianti di desalinizzazione si sono molto evoluti dal loro esordio, e oggi con l’utilizzo della tecnologia a osmosi inversa si riescono a ridurre sensibilmente gli impatti ambientali, che inevitabilmente ci sono ogni qual volta l’uomo interviene nella natura.
Parlando di schei, un impianto di desalinizzazione costa circa 15 milioni di euro, e costi annui di gestione di 500mila euro; sono costi alti ma non proibitivi, e poi vanno messi in relazioni a quelli derivanti dai danni prodotti dalla siccità.
Possibile che questa soluzione non sia venuta in mente a nessuno dei nostri demiurghi romani?
Invece no! Ci hanno pensato, ed il risultato lo potere leggere sulla Gazzetta Ufficiale, all’art. 12 della Legge n.134 del 10.6.2022 recante: “Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell’economia circolare”.
Cosa dispone questo art.12?
Che gli impianti di desalizzazione sono ammissibili soltanto: a) in situazioni di comprovata carenza idrica e in mancanza di fonti idrico-potabili alternative economicamente sostenibili; b) qualora sia dimostrato che siano stati effettuati gli opportuni interventi per ridurre significativamente le perdite della rete degli acquedotti e per la razionalizzazione dell’uso della risorsa idrica prevista dalla pianificazione di settore; c) nei casi in cui gli impianti siano previsti nei piani di settore in materia di acque e in particolare nel piano d’ambito anche sulla base di un’analisi costi benefici”.
Comunque la si legga si tratta di un bello stop ai dissalatori di acqua marina, ribadito dal severissimo comma 1 dell’articolo: “Al fine di tutelare l’ambiente marino e costiero, tutti gli impianti di desalinizzazione sono sottoposti a preventiva valutazione di impatto ambientale, di cui alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
E si specifica inoltre che gli scarichi degli impianti di desalinizzazione sono autorizzati in conformità alla disciplina degli scarichi di cui alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro della transizione ecologica sono definiti, per gli scarichi di tali impianti, criteri specifici ad integrazione di quanto riportato nell’allegato 5 alla parte terza del citato decreto legislativo n. 152 del 2006”.
Vi è venuto il mal di testa, o avete le vertigini?
Al di là del consueto linguaggio da Azzeccarbugli tipico della burocrazia italica, tradotto in parole semplici ciò significa che la concessione delle autorizzazioni dei desalinizzatori è stata sottratta alle Regioni per demandarla ad un’ apposita Commissione Ministeriale, il che si traduce in tempi doppi o tripli rispetto all’iter medio attuale (si andrà dai 3 ai 5 anni se non di più).
Insomma, in base alle nuove normative (di pochi giorni fa, avete notato?) le autorizzazioni necessarie sono paragonabili a quelle di una centrale nucleare, e la burocrazia romana da un lato, e gli inevitabili Comitati spontanei del “No desalinizzatore” dall’altra, renderanno di fatto l’installazione di questi impianti un’Odissea.
Con il paradosso che a Cipro, che sta dotandosi celermente di desalinizzatori, nella progettazione, ingegnerizzazione e messa in opera di questi impianti, c’è la firma di una impresa italiana.
Scrivo da tempo che con questa classe dirigente il nostro Paese non ha futuro, e vi confesso che talvolta pensando ai bizantinismi della politica romana mi viene da urlare “fermate il mondo, voglio scendere”.
Umberto Baldo

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