9 Novembre 2022 - 9.38

PILLOLA DI ECONOMIA – Finirà la parola “gratis” nei social media?

di Umberto Baldo

L’attuale congiuntura economica, con un’inflazione che costringe le Banche Centrali ad una corsa all’aumento dei tassi, di fatto mette la pietra tombale su un decennio in cui ci si era illusi che il denaro fosse sempre disponibile a costo nullo.

Ciò costringerà banche, aziende, e tutti noi a prendere atto che l’epoca dei tassi a zero è finita, e modificare di conseguenza il nostro agire.

Ma c’è un altro settore, che ormai è diventato connaturale al nostro stile di vita, che a mio avviso inevitabilmente dovrà porre fine ad un assunto su cui finora si è retto, e che si riassume in una sola parola: “gratis”.

Mi riferisco all’economia digitale, ed alla crisi che sta colpendo i principali social media, quelli che frequentiamo abitualmente ogni santo giorno.

Il primo segnale pesante lo si è avuto lo scorso 30 giugno quando Mark Zuckerberg, il padre padrone del Gruppo Meta di cui fanno parte Facebook, Instagram e Whatsapp, incontrando via social i 77mila dipendenti, invece di magnificare come fa solitamente il futuro  dell’economia digitale pronunciò queste parole: “Stiamo attraversando il periodo più difficile della nostra storia, dobbiamo prepararci a fare di più con meno risorse e le vostre prestazioni saranno misurate diversamente, gli obiettivi sono diventati più difficili e so che molti di voi sceglieranno di andarsene, per me questa auto selezione va bene, realisticamente parlando, molti di voi non dovrebbero essere qui oggi…”

Capite bene che in realtà di licenziamenti di massa si stava parlando, che secondo il Wall Strett Journal potrebbero essere imminenti. 

Ma almeno Zuckerberg ha avuto il coraggio di metterci la faccia mentre annunciava ai collaboratori che per molti di loro il rapporto di lavoro con Meta stava per finire.

L’altro miliardario della tecnologia, Elon Musk, dopo aver comprato in modo avventuroso Twitter (dopo mesi di go and stop fino all’acquisto definitivo) per 44 miliardi di dollari, quando si è accorto che a prevalere nei bilanci erano le perdite, ha pensato bene di spedire a 3700 dipendenti (uno su due) una mail in cui si comunicava loro il licenziamento. 

In questa e-mail l’azienda ha giustificato la riduzione massiva dei posti di lavoro  dicendo che era “purtroppo necessario per garantire il successo dell’azienda in futuro”. 

Da segnalare che nel giorno in cui sono arrivate queste e-mail ai dipendenti, a titolo di precauzioni di sicurezza, per frenare il rischio di potenziali azioni di protesta, gli uffici di Twitter sono rimasti  chiusi, e tutti i badge di accesso sono stati disattivati.

Sono indubbiamente due situazioni aziendali diverse, ma legate da un fil rouge, che come accennavo prima segnala una generale crisi del sistema su cui ha funzionato in questi anni l’economia digitale; appunto quello del “tutto gratis”.

Non dite di no; fino ad ora abbiamo dato per scontato che Internet ed il Web  fossero a costo zero.

Gratis i siti, gratis i servizi di posta elettronica, gratis i motori di ricerca, gratis Wikipedia, gratis i social media, e forse ci siamo illusi che quella fosse la regola, e che le cose sarebbero rimaste sempre così.

Ma già da qualche tempo abbiamo potuto accorgerci che qualcosa stava cambiando; per limitarci ad un solo esempio i giornali.  

A poco a poco, una dopo l’altra, tutte le testate, sia italiane che straniere, hanno chiuso l’accesso gratuito agli articoli, e se vuoi leggere un pezzo adesso devi avere un abbonamento, magari a prezzi contenuti, ma lo devi avere. 

A dire la verità qualcuno la domanda di come queste aziende gigantesche potessero offrire i servizi gratuitamente se l’era posta; e aveva concluso che  “se un servizio che utilizzi è gratis, vuol dire che il prodotto sei tu”.

Ed in effetti fino ad ora è stato così, nel senso che nell’economia digitale il prezzo nascosto era in primo luogo la nostra attenzione, i nostri “clic”, che consentivano la nostra profilazione, e la conseguente vendita dei nostri dati agli inserzionisti.

Ci siamo accorti tutti che ogni qual volta ricerchiamo un qualsiasi prodotto in Rete, successivamente ci arrivano messaggi di aziende che ci offrono quello o prodotti analoghi. 

Molti si sono poi chiesti quali potessero essere i costi sociali derivanti da questi Network, in termini di qualità dell’informazione, di diffusione di notizie false o finalizzate a condizionare il nostro pensiero; con le indubbie ricadute che ciò comporta per le nostre democrazie.

E che questo problema ci sia e sia serio lo dimostra il fatto che addirittura l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Volker Turk ha esortato con una lettera aperta il nuovo proprietario di Twitter Elon Musk a garantire che il rispetto dei diritti umani  (sic!) sia al centro del social network.

Ebbene, questo modello del “tutto gratis” è evidente che sta avendo i giorni contati.

Abbiamo già toccato con mano che nel caso dei libri, dei dischi, dei film, delle partite di calcio, i diritti di autore hanno finito per favorire la nascita di piattaforme come Spotify, Netflix, Dazn, che stanno in piedi grazie ad un mix di abbonamenti e pubblicità.

E nel caso dei dati personali, che abbiamo visto essere il business vero dei social media, i pubblici poteri hanno cominciato a porre paletti e regole sempre più stringenti, come ad esempio il Digital Service Act dell’Unione Europea, finalizzati a rendere sempre meno profittevole il tenerci on line.

Ecco perché dobbiamo fatalmente abituarci all’idea che nel futuro l’accesso a Twitter, Whatsapp, You Tube, Facebook, Tik Tok ecc. avrà un costo.

Certo il processo non sarà breve, perché le aziende dovranno cercare nuovi equilibri per non perdere i propri utenti, e quasi sicuramente passerà all’inizio attraverso l’offerta di contenuti più esclusivi a pagamento, ma la strada sarà inevitabilmente quella.

In fondo cosa ha fatto Elon Musk appena si è reso conto che Twitter era in perdita?  

Oltre a lasciare a casa metà  dei dipendenti, ha lanciato un servizio in abbonamento da 8 dollari al mese, che include il segno di spunta blu assegnato agli account verificati.

Più chiaro di così!

Umberto Baldo

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