Esecuzioni capitali in Iran. Non possiamo più far finta di niente!
Credo che neppure Kafka avrebbe immaginato che il regime degli Ayatollah potesse occupare un seggio nella Commissione dell’Onu che mira a promuovere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile (sic!).
Parrebbe quasi uno scherzo, e ci sarebbe da ridere se non fosse tutto vero.
Già perché all’Organizzazione delle Nazioni Unite, fra le tante commissioni e sotto-commissioni attive, c’è né una che si occupa appunto dello status delle donne, e nella quale proprio quest’anno la Repubblica Islamica dell’Iran è entrata per svolgere il previsto mandato quadriennale.
Di positivo c’è che mercoledì prossimo, 14 dicembre, su forte spinta degli Stati Uniti, i 54 membri del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite voteranno per estromettere o meno l’Iran dalla predetta Commissione, e sarà interessante vedere come si atteggeranno e voteranno certi Stati.
Spero ardentemente che mercoledì nessun Governo si tiri indietro, o si nasconda dietro le ipocrisie degli affari mascherati da diplomazia, anche perché si tratterebbe della seconda pesante decisione contro il Regime islamico nel giro di un mese.
Infatti la scorsa settimana il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha votato per attivare un’indagine indipendente sulle violente repressioni del governo iraniano contro le proteste scaturite nel Paese dopo la morte della giovane Mahsa Amini mentre si trovava in custodia di polizia.
Mi sono già occupato più volte, anche su Tviweb, delle vicende iraniane e della vera e propria “rivoluzione” che da settembre vede un popolo in lotta contro un regime oscurantista e sanguinario.
E continuerò a farlo perché, pur nella consapevolezza di non avere alcun peso reale, il solo fatto di coinvolgere qualcuno che ha la pazienza di leggermi spero sia utile per tenere viva l’attenzione su un problema che non possiamo esorcizzare, perché ci riguarda come donne e uomini che hanno la fortuna di vivere in uno Stato democratico.
Perché ormai in Iran siamo arrivati ad una vera e propria escalation delle violenza repressiva, con le esecuzioni capitali diventate pratica quotidiana.
Ed in piena linea con il terrore che un regime in evidente difficoltà vuole infondere nelle ragazze e nei ragazzi che manifestano per le strade, e nei loro padri che scioperano, si inserisce l’impiccagione di Mohsen Shekari, un 23enne colpevole di aver partecipato ad un blocco stradale ed al ferimento di un membro delle milizia paramilitare Basij, uno dei bracci armati del regime, legata al corpo di élite dei Guardiani della Rivoluzione.
Il processo che ha portato alla morte di Shekari è stato una farsa, così come tutti gli altri processi contro gli oppositori che si celebrano in Iran.
Dopo aver subito torture e pestaggi in una delle carceri del regime, senza fornire alcuna informazione alla famiglia, durante l’interrogatorio non hai il diritto a un avvocato: ti massacrano psicologicamente e fisicamente.
Poi, finisci nelle mani di quello che viene chiamato il Tribunale rivoluzionario, lì ti viene affidato un avvocato-fantoccio, e la tua condanna è segnata.
Come Masha Haminipasserà alla storia come le prima vittima di questa rivoluzione di popolo, così Mohsen Shekariper essere stato il primo dissidente impiccato di questa repressione.
Ma quello che mi colpisce, e che a mio avviso dovrebbe farci tutti urlare per l’indignazione, è la motivazione della condanna capitale: “INIMICIZIA CONTRO DIO”.
Si avete letto bene “Inimicizia contro Dio”, come se gli aguzzini di regime fossero in diritto contatto con la divinità, e ne fossero interpreti e portavoce.
Ho già avuto modo di scrivere che nel corso della storia tutti i regimi che in qualche modo si sono sentiti investiti da Dio si sono lasciati andare ad ogni sorta di nefandezza, ed il rogo di Giordano Bruno dovrebbe essere sempre un monito anche per noi.
Ma sono passati secoli, e le nostre società, pur con tutte le loro pecche, almeno sono riuscite a distinguere fra Dio e Cesare, fra politica e religione, riducendo al minimo le interferenze reciproche.
L’assassinio di regime di Mohsen, vale a dire l’emersione di quello che finora le milizie compivano nel segreto delle celle del carcere di Evin, rappresenta probabilmente un punto di non ritorno fra due mondi che non si parlano e non si capiscono più.
Da un lato i ragazzi, che non intendono più vivere in una società dominata e soffocata da un clero pervasivo e soffocante, dall’altra gli Ayatollah che in nome di una interpretazione medioevale dell’Islam non hanno intenzione né di concedere aperture e riforme, né tanto meno di uscire di scena.
E che la lotta si sia incentrata sull’ hijab non è casuale, perché è stato il regime teocratico a metterlo al centro della propria ideologia, con il chiaro messaggio di perpetuazione della sottomissione e del controllo delle donne.
Come pure è chiaro il messaggio testimoniato dei medici che curano i manifestanti feriti, secondo cui le forze di sicurezza iraniane adesso sparano con fucili a pallini mirando a seconda del genere; alla schiena, alle gambe ed ai glutei nel caso degli uomini, mentre le donne vengono ferite nelle parti simbolo della loro femminilità, il seno e le parti intime.
Ecco perché questo è il momento di far sentire la nostra vicinanza al popolo iraniano in lotta.
Perché coloro che manifestano a rischio della vita hanno bisogno di sapere di non essere soli, come vorrebbe far loro credere il regime, e le notizie filtrano nonostante tutti i tentativi del regime di bloccare le reti di comunicazione ed i social.
Non a caso i grandi avvocati dei diritti umani dell’Iran, donne straordinarie come il premio Nobel Shirin Ebadi o Nasrin Sotoudeh, che hanno provato anch’esse il carcere di Evin, chiedono alle redazioni dei giornali occidentali una sola cosa, di scrivere le storie degli arrestati, perché tenendo alta l’attenzione si può salvare la loro vita.
Poi credo sia arrivato il momento che i nostri Governi facciano sentire forte la loro voce di condanna per le violenze e le repressioni di persone inermi; che venga sospeso ogni accordo con il regime teocratico, nucleare compreso; che venga inasprito l’embargo economico-commerciale; che vengano sanzionati i membri della struttura di potere della Repubblica islamica in Iran come è stato fatto per gli oligarchi russi; che siano attivate le procedure giudiziarie internazionali per procedere nei confronti di coloro che si macchiano di crimini contro l’umanità.
E non si abbia paura, se del caso, di richiamare gli ambasciatori.
E’ tempo che anche il Parlamento italiano prenda una posizione netta, come hanno fatto ad esempio i parlamenti francese ed olandese, approvando una risoluzione di condanna del regime, ed in cui i pasdaran vengano dichiarati un gruppo terroristico.
Quindi il messaggio che deve passare anche fra noi è quello che non si può restare inerti, silenti, indifferenti di fronte a questa storica drammatica lotta di popolo.
Perché se la comunità internazionale non risponderà al grido che proviene dalle strade e dalle piazze iraniane, Khamenei ed i suoi scagnozzi si sentiranno liberi di procedere “nel nome di Dio” con il terrore, le violenze, gli stupri, e le esecuzioni di massa.