Covid: democrazie e dittature a confronto
Oggi ritorno a parlare di Covid, ma state tranquilli, non intendo soffermarmi sull’efficacia dei vaccini, sulle mascherine, sul lavaggio delle mani, sui divieti, e su tutte le misure che dall’inizio della pandemia sono state messe in campo per contrastare diffusione e contagi.
Non è più “di moda”, e francamente non ci sono al momento segnali di allarme.
Non ho alcuna competenza per dire che si sia ormai passati dallo stato pandemico a quello endemico, ma credo basti osservare come si sia tornati di fatto ad una vita normale.
In realtà il motivo per cui riparlo del virus di Wuhan è collegato ad una notizia apparsa qualche giorno fa sul quotidiano sud coreano NK News, relativo alla Corea del Nord, che mi consente di ragionare insieme sul diverso approccio alla pandemia dei regimi autoritari rispetto a quelli democratici.
Guardando a posteriori, almeno all’inizio della pandemia i regimi autoritari si sono distinti per censura delle informazioni, operazioni di propaganda, abuso dei sistemi di sorveglianza e controllo sui cittadini, detenzioni arbitrarie, sparizioni di chi aveva coraggiosamente cercato di dire la verità.
Forse ce lo siamo dimenticato, ma nel 2020 in Cina oltre 5.000 persone furono arrestate per aver condiviso informazioni sul virus quando il governo cercava di insabbiare le notizie sui decessi per dare l’impressione di avere la situazione sotto controllo; l’Iran ha fermato e costretto a false confessioni nelle TV di Stato chi per primo aveva dato l’allarme della diffusione della malattia denunciandone le morti; inRussia il Governo, oltre ad aver nascosto il pericolo del virus alla popolazione, aveva arrestato un medico perché distribuiva mascherine alla popolazione più povera, e in Turchia diversi giornalisti furono indagati per aver parlato del virus in un modo non gradito ad Erdogan.
Niente di nuovo per carità!
L’ “Internazionale autocratica” quando ci sono cattive notizie da dare alla popolazione, di quelle giudicate in grado di intaccare l’immagine di “efficienza” di questi regimi, arresta e perseguita chi si arrischia a dire la verità.
Si tratta di metodi che ci sono noti perché costituiscono la normalità in quei Paesi, ma che a mio avviso dovrebbero fare riflettere quella galassia di No Vax che nelle nostre democrazie, da loro giudicate “illiberali”, per mesi e mesi hanno potuto manifestare ogni sabato contro i vaccini e l’obbligo vaccinale, contro lo Stato, contro la politica sanitaria del Governo, senza rischiare arresti o sparizioni.
D’altro canto abbiamo visto chiaramente come molti degli utenti e dei gruppi che durante la pandemia diffondevano fake news contro vaccini e Green pass, ad emergenza finita siano poi passati ad argomenti legati al conflitto in Ucraina schierandosi su posizioni filo russe, quasi sempre ispirate dall’ostilità contro gli Stati Uniti, l’Unione Europea ed il Governo italiano.
Alla fine è risultato palese che le differenze culturali, e degli assetti, rendono addirittura improponibile un confronto fra autocrazie e democrazie.
Nei paesi occidentali la trasparenza è un bene in sé, irrinunciabile. Serve, ovviamente, ai cittadini e a tutte le formazioni sociali, incluse le imprese, per valutare la conformità dell’azione governativa ai principi fondamentali e agli obiettivi dichiarati. Serve, almeno in una certa misura, anche a chi governa: un’amministrazione “opaca”, alla lunga, non garantisce nemmeno che le direttive dei Responsabili politici siano attuate.
La reazione cinese nella fase di inizio della pandemia, quasi sicuramente partita dalla regione di Wuhan, è stata invece emblematica: gli amministratori locali omisero di fornire informazioni essenziali sia ai propri cittadini, sia ai governanti nazionali per evitare d’indispettirli. Ammonirono e punirono i medici che cercavano di dare l’allarme. Ritardarono così l’acquisizione della consapevolezza della natura del problema e, con essa, l’adozione dei possibili rimedi.
Ma quel che è peggio, a mio avviso, è stata la reticenza, e le evidenti menzogne sul numero degli infetti e dei morti, con cui il Governo di Pechino ha fornito informazioni all’Organizzazione Mondiale della Sanità e alla comunità internazionale, contribuendo così ad una dirompente diffusione della pandemia, ed a una sua maggiore letalità.
Tornando alla notizia del giornale on line NK News, che sta alla base di queste mie considerazioni, il quotidiano sud coreano ha reso noto che le autorità della capitale nordcoreana Pyongyang, hanno ordinato un lockdown di cinque giorni a causa dell’aumento dei casi di una, pensate un po’, “malattia respiratoria non specificata”.
La notizia riferiva anche di persone, informate della chiusura imminente, intente a fare scorta di merci, come temendo che potesse prolungarsi oltre il periodo indicato (alla scadenza dei 5 giorni è invece arrivata la revoca).
L’ordine prevedeva che i residenti fossero tenuti a rimanere nelle loro case e dovessero sottoporsi a controlli di temperatura più volte al giorno, e non è chiaro se anche altre città siano state dichiarate in lockdown.
Evidentemente il Presidente Kim Jong-un immagina un resto del mondo fatto di scemi, perché voleva farci credere che disponeva il blocco della capitale Pyongyang, e di chissà cos’altro, per una “malattia respiratoria non specificata”.
Roba da “neurodeliri”, verrebbe da pensare!
E forse per rendere più credibile il blocco, nell’avviso delle autorità si affermava che tra le malattie attualmente diffuse nella capitale figura il raffreddore comune (sic!), mentre il Covid ovviamente non veniva neppure menzionato.
Non credo occorra aggiungere altro relativamente ad un regime secondo cui la pandemia da Covid in North Korea è ufficialmente iniziata solo a maggio 2022, che per ben due volte (maggio e agosto 2022) ha annunciato lo sradicamento definitivo del virus, oltre a non aver mai predisposto una campagna vaccinale, nonostante la Cina e L’OMS avessero offerto la fornitura di vaccini.
E’ un po’ il vezzo di tutti i regimi autoritari quello di nascondere le notizie relative alla salute della popolazione, e in particolare dei propri leader.
In fondo chi ha qualche anno sulle spalle ricorda certamente che Leonid Bresnev, e altri Segretari Generali del Pcus dell’Unione Sovietica, morirono di …. “raffreddore”.