Soffia ancora forte il vento del 25 settembre!
Dovessi riassumere in poche parole il risultato delle elezioni regionali di Lazio e Lombardia non avrei alcun dubbio: “Soffia un vento di destra in Italia!”
Si potrà poi discutere se a spirare sia un vento di centro-destra o di destra-destra, ma si tratta di discorsi per politologi, di sofismi che poco incidono sulla realtà di questa tornata elettorale, che si traduce in “la destra di governo vince sia a Roma che a Milano”.
Ma a ben guardare i risultati ci dicono che la destra non ha solo vinto, ma stravinto, mettendo in cassaforte due Regioni che da sole rappresentano più di un quarto di tutto l’elettorato nazionale, e che sono di fatto fra le locomotive d’Italia.
Non mi soffermerò troppo sui numeri, anche perché sia Fontana che Rocca hanno superato entrambi il 50% dei suffragi, ma una cifra impressiona veramente, quella degli elettori che hanno scelto di disertare le urne.
Un vero record, visto che si tratta di circa il 60% dell’elettorato, e a mio modesto parere con un astensionismo di questa portata in realtà perdono tutti.
Spero che i nostri Demostene facciano qualche riflessione, e magari anche un piccolo esame di coscienza al riguardo, perché il progressivo allontanarsi degli italiani, e soprattutto dei giovani, dalla politica e dal voto, è un fenomeno preoccupante per il futuro della nostra democrazia.
Per il resto è evidente che la luna di miele di Giorgia Meloni con gli italiani non sembra ancora finita, ed i voti che Fratelli d’Italia ha incassato sia in Lombardia che in Lazio ne sono la testimonianza più chiara e inconfutabile.
Certo la sua soddisfazione sarà stata sicuramente disturbata dal fatto che c’è da spiegare alla Casa Bianca e a mezzo Occidente che uno dei suoi due partner, forse influenzato dai sondaggi e dalla speranza di intercettare qualche voto in più, si è dichiaratamente palesato come fan di Putin, con argomenti a un millimetro da Russia Unita.
Ma, sempre restando al centro destra, il sostanziale mantenimento degli equilibri interni, senza in particolare il temuto crollo della Lega in Lombardia, rafforza la Premier, mettendola al riparo da possibili eccessive fibrillazioni da parte degli alleati.
Per quanto riguarda il Terzo Polo, che si pensava potesse rappresentare una sorpresa in Lombardia, credo che le parole scritte da Carlo Calenda su un Twitter “a caldo” siano emblematiche: “La scelta degli elettori è stata chiara e inequivocabile: vince la destra ovunque. Il centro e la sinistra non sono mai stati in partita, neanche uniti, neanche nell’ipotetico formato del campo largo. Letizia Moratti è stata coraggiosa e si è spesa moltissimo, ma fuori…”.
Concetti chiari, impietosi, che tradotti in analisi politica significano che siamo ancora ben lontani dalla formazione di un’area liberal-centrista nel nostro Paese.
Mi auguro che questo mancato successo non si traduca in un abbandono della “partita”, ma resta il fatto che l’elettorato è ancora molto polarizzato, e quindi condizionato dall’esprimere il cosiddetto “voto utile”, non trascurando poi lo sport nazionale del “salire sul carro del vincitore”.
E arriviamo all’opposizione di governo.
Credo che anche per i maggiorenti del Pd e del M5Stelle i risultati non siano stati una sorpresa, in quanto tutto indicava che fosse scontato che il Centrodestra avrebbe vinto sia in Lombardia che in Lazio.
Va bene che in Lombardia la sfida sembrava al limite dell’impossibile (non c’è stato quell’effetto sperato di volontà di cambiamento dopo la gestione della pandemia del Covid e le polemiche sulla sanità), ma anche il Lazio finora governato dalla sinistra è stato perduto, andando ad aggiungersi alle Regioni appannaggio dal centro destra, che sono adesso 15 contro le 5 guidate dalla “gauche”.
Ma quel che più conta è che la sinistra ha perso con l’aggravante che i voti di Pd, M5S e Terzo Polo non sarebbero bastati per vincere neppure sommandoli.
E va anche rilevato che ad affondare il Pd è stata sicuramente anche la bassa affluenza, e così l’astensione, tradizionale scialuppa di salvataggio del centrosinistra, forte di un elettorato più fidelizzato, stavolta non ha aiutato.
E questo potrebbe voler dire che forse anche gli elettori di sinistra si sono stancati di votare, decidendo che è meglio non andare alle urne, se poi non serve per vincere e amministrare, ma solo per aiutare i capi corrente a regolare i conti fra loro.
Ma il vero dato politico che su cui il Pd dovrà riflettere a fondo è che entrambi i modelli scelti, il modello Lombardia con l’alleanza preferenziale col M5S, ed il modello Lazio con l’intesa solo con il Terzo Polo, sono risultati entrambi perdenti.
Unico risultato positivo per i Dem è che il Movimento 5 Stelle ha fallito il sorpasso sperato sul Pd, che ha mantenuto le proprie posizioni, e ciò vuol dire che Conte non solo non è in grado di ridisegnare il futuro della sinistra a sua immagine, ma che prima o poi dovrà fare i conti con i Dem ed il loro peso.
Non suonerei però le campane a morto per il partito dell’”Avvocato del Popolo”, perché tradizionalmente il M5S non va particolarmente bene nelle amministrative, e poi perché non si votava nelle regioni meridionali, dove incassa più consensi.
Sempre restando al Pd mi sembra che un elemento a mio avviso da non trascurare sia quello di aver dovuto affrontare la campagna elettorale senza leadership, diviso, senza una proposta di governo, ed in piena bagarre pre-congressuale.
Al riguardo bisognerà vedere se il risultato elettorale, come credo, favorirà Stefano Bonaccini nella sua corsa alla Segreteria, e ciò perché gli elettori sembrano aver dato ragione alla sua linea di “vocazione maggioritaria”, con il Pd inteso come perno della futura coalizione che dovrà sfidare la destra alle prossime politiche (quindi senza alcuna subalternità al M5S).
Ma le politiche sono ancora tanto, ma tanto lontane, e se al momento per Giorgia Meloni continua la luna di miele, per il Pd la traversata del deserto è appena cominciata.
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