PILLOLA DI ECONOMIA – Nel loro piccolo anche gli Svizzeri si incazzano
Dal Codice di Hammurabi al Codice Giustinianeo l’aspirazione dell’uomo è sempre stata quella di dotarsi di leggi chiare, senza le quali non è possibile il consorzio civile.
Con il passare dei secoli si arrivò anche ad esigere che le norme fossero giuste ed uguali per tutti, e questi principi sacrosanti si diffusero in Europa sulle baionette della Rivoluzione Francese.
Parto da queste che al giorno d’oggi potrebbe sembrare ovvietà, perché nei salvataggi della Silicon Valley Bank (SVB) e di Credit Suisse, sia gli Usa che la Confederazione Elvetica hanno palesemente violato, o quanto meno derogato, alle regole.
E così nel salvataggio della SVB il Governo degli Stati Uniti nella persona del Segretario al Tesoro, ed ex presidente della Fed Janet Yellen, ha garantito anche i non pochi depositi della SVB superiori ai 250 mila euro, che per legge sarebbe il limite massimo rimborsabile ai correntisti, e a domanda ha risposto che la misura non varrà per qualsiasi Banca, ma solo per quelle appunto di “interesse sistemico”, quale l’istituto in questione, giova ricordarlo, non era.
Certo il rischio del contagio della corsa agli sportelli c’era tutto, ma ciò non toglie che i miliardari clienti della SBV avranno indietro tutti i loro soldi, mentre l’agricoltore o l’allevatore del Mid West, se la sua banca fallisse, avrà al massimo i previsti 250mila dollari.
In Svizzera le Autorità hanno invece deciso che, nel salvataggio (ma loro definiscono il termine acquisizione) di Credit Suisse gli azionisti avranno 0,76 Franchi svizzeri ad azione, mentre i titolari dei cosiddetti CoCo bond, (tecnicamente Additional Tier 1 – AT1) non vedranno il becco di un quattrino, in quanto questi titoli sono stati “azzerati”.
Per chi non ha dimestichezza con la denominazione Additional Tier 1 basti dire in poche parole che si tratta di obbligazioni “progettate” per imporre perdite permanenti agli obbligazionisti, o per essere convertite in azioni, qualora i coefficienti patrimoniali di una banca scendano al di sotto di un livello predeterminato.
Certo chi compra gli AT1 (alias obbligazioni subordinate) dovrebbe conoscere la rischiosità tipica di questa tipologia di titoli, ma anche in Svizzera, come nella Ue, vigeva (almeno fino a domenica notte) la regola che in caso di crisi di una Banca a subire le perdite siano prima gli azionisti, e poi appunto gli obbligazionisti subordinati.
E allora? Come noto, pensare male è peccato, ma viene il forte sospetto che in questo caso le azioni si siano “pesate”, e poiché a detenerle erano anche i Sauditi ed i Qatarini, si sia preferito non dare loro un eccessivo dispiacere.
Da queste palesi violazioni normative si evincono un paio di “cosettine”.
Primo che stiamo assistendo al fatto oggettivo che le Banche “too big to fail” sono ormai parte del sistema degli Stati, che sono costretti ad intervenire con i soldi dei contribuenti qualunque nefandezza compiano gli Amministratori.
C’è poi la questione delle regole appunto.
Caduto in desuetudine il cosiddetto “bail-in” (che i politici non reggono con i cittadini elettori), nel caso di crisi di una Banca per gli Stati e le Autorità deputate la strada praticabile si trasforma sempre più in un sentiero impervio, stretto fra il bailout (uso dei soldi pubblici come fu fatto in Mps), o in alternativa far pagare il conto ad azionisti, obbligazionisti e anche correntisti (bail-in).
Questa volta, come accennato, si è scelto di calpestare ogni regola, creando così due pericolosi precedenti , oltre che ovviamente tremori ed incertezze nei mercati, che hanno capito che in emergenza i contratti e le norme possono diventare rapidamente carta straccia.
Ricorderete che giovedì scorso, commentando la crisi della Banca elvetica nel pezzo “Lo tsunami Credit Suisse in parole semplici”, avevo scritto “ieri ho scorso i siti delle principali testate giornalistiche straniere e, forse non ci crederete, quelle che parlavano meno, addirittura non parlavano affatto, del crollo di Credit Suisse erano proprio quelle svizzere”.
Le cose sono cambiate, e adesso sulle stesse testate ieri mattina si leggevano titoli come «L’acquisizione della vergogna», «scandalo storico», «giornata disastrosa».
In pratica la stampa non le ha mandate a dire riguardo all’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS
Tanto per fare qualche esempio il Corriere del Ticino sottolineava che ancora una volta, come in un sequel di un film già visto quindici anni fa, l’intervento decisivo è quello della mano pubblica. Nell’editoriale, Credit Suisse veniva descritto come un «rottame radioattivo» che avrebbe potuto causare danni peggiori se lasciato alle intemperie del mercato.
La Regione, sempre restando nel Ticino, citando il Fabio Concato di «Domenica bestiale”, evidenziava come la stessa Banca (Credit Suisse) che finanziò opere ciclopiche, tra le quali la galleria del San Gottardo, un secolo e mezzo dopo si è rovinata trafficando con gestori di hedge fund. Dubbi venivano poi sollevati sul fatto che una tale situazione, nonostante tutte le garanzie del caso, non si possa ripetere.
Pierre Veya, capo della rubrica economica del Tribune de Genève e 24 Heures scriveva nel suo editoriale: “È uno spreco sociale, economico e una vergogna politica per dei dirigenti troppo lenti ad agire. Troppi errori, tergiversazioni, mezze verità e goffaggine hanno avuto la meglio su un istituto leggendario, che ha perso la sola qualità non negoziabile per una banca: la fiducia. Risultato: la Svizzera si ritrova oggi più piccola e torna a una sorta di normalità bancaria. Non è la fine della storia, relativizziamo, ma uno schiaffo al suo orgoglio”.
Blick, rincarando la dose, scriveva: «La Svizzera ha dormito ben troppo a lungo mentre Credit Suisse scivolava a occhi aperti verso la rovina». Il quotidiano si sorprendeva poi che le Autorità, ma anche le altre Banche, non abbiano reagito prima, forzando i protagonisti di questa debacle a inventarsi una soluzione di emergenza.
Le testate di lingua tedesca del gruppo Tamedia parlavano di uno «scandalo storico, in cui Confederazione, Finma e BNS si sono fatti schiacciare i piedi da UBS. Quest’ultima raccoglie tutti i benefici mentre clienti e collaboratori pagano il prezzo. Le misure prese dalla Confederazione gravano poi con un rischio di 9 miliardi sulle spalle dei contribuenti”.
Durissima infine la Neue Zürcher Zeitung, secondo cui bisogna attendersi «effetti collaterali», e proseguiva così parlando di un giorno nero per la piazza finanziaria elvetica e i suoi numerosi impiegati: “La Svizzera si è certamente sbarazzata di una banca zombie, ma si risveglia oggi con una banca mostro. Mostro perché il bilancio totale di UBS è ormai quasi due volte più grande della performance economica della Svizzera”.
Tutto questo mostra che nella ”Terra dei Cantoni” i nervi sono a fior di pelle, ma pure che “nel loro piccolo anche gli svizzeri si incazzano”.
Umberto Baldo