12 Aprile 2023 - 10.04

I vecchi maestri e professori di Vicenza e la scuola di oggi (in cui l’alunno ha sempre ragione)

di Alessandro Cammarano

Non passa giorno che i mezzi d’informazione non riportino episodi di bullismo scolastico, ma se fino a qualche tempo fa questi avvenimenti riguardavano gli studenti – e già questo fa accapponare la pelle perché in talune situazioni hanno portato il bullizzato a compiere gesti irreparabili – adesso va prendendo sempre più piede l’atto d’intimidazione, non solo verbale, nei confronti dei docenti.

Emblematico quanto occorso il passato 25 ottobre in un istituto tecnico di Rovigo dove una professoressa è stata colpita al volto da una scarica di pallini di gomma esplosi dalla pistola ad aria compressa che un allievo aveva simpaticamente pensato di portare con sé – insieme alla merenda – giusto nel caso la docente si fosse presa qualche libertà di troppo nei suoi riguardi, tipo un’insufficienza.

Il ragazzo è stato denunciato, ma lo strascico polemico seguito ha fatto sì che il torto passasse di fatto dall’aggressore all’aggredito, accusando la docente di “scarsa empatia” nei confronti degli studenti.

Nel volgere di pochissimi anni si è ribaltato il comune sentire: chi scrive non è andato a scuola ai tempi del libro Cuore di deamicisiana memoria, anzi ha frequentato le lezioni dopo la grande riforma del 1974-74 – quella dei Decreti Delegati, per intenderci, che “liberarono” l’insegnamento dalla Riforma Gentile e da quella successiva del 1963 – ma è comunque cresciuto con un sacro terrore del corpo docente.

Se in passato dunque erano gli studenti temere il professore, adesso è il professore ad essere atterrito dagli studenti; anche perché se fino ad una ventina d’anni fa si tornava a casa con un brutto voto a quello si aggiungevano le gamelle di genitori, mentre invece adesso la famiglia reagisce ad un’insufficienza del pargolo con una denuncia al TAR e varie diffide al dirigente scolastico messe in atto anche tramite avvocato.

Si può dire “Che schifo”?

Nessuno si stupiva, Dickens insegna, se la maestra di tanto in tanto rifilava uno scappellotto all’asino di turno – certo gli eccessi sono sempre e comunque da stigmatizzare, in qualunque epoca e l’umiliazione non è un sistema educativo – e anzi talora i genitori ringraziavano per la severità mostrata verso i propri figli.

Sempre sulla scia dei ricordi, Vicenza – ma non credo che le altre città facciano differenza – annovera una serie di cerberi e virago che fecero piangere per anni classi intere ma ai quali, col senno di poi, siamo tutti grati.

Alla scuola elementare “Vittorino da Feltre” – meglio conosciuta come Piarda Fanton – si aggiravano maestre angeliche, come la mitica signorina Procopio, e maestri meravigliosi come Guido Azzolini ma ce n’erano alcuni che a noi piccoli sembravano usciti direttamente da qualche girone infernale.

Il maestro Rigon, occhio di bragia e chioma scarmigliata, insegnava ai remigini a scrivere con la penna col pennino da intingere nel calamaio: se si sbagliavano le aste o, in seguito, i riccioli delle corsive maiuscole, allora erano urla belluine e roteare d’occhi il tutto a spaventare il povero bimbetto che finiva con l’arabescarsi il grembiule con l’inchiostro Pelikan.
Risultato: alla fine della quinta elementare sapevamo tutti scrivere con bella grafia, altro che lo stampatello minuscolo di oggi.

Ai più riottosi nel comprendere la geometria pensava il maestro Foralosso che, per meglio spiegare il concetto di “diagonale” faceva percorrere quel segmento che unisce due vertici non consecutivi in un poligono con una serie di piccoli calci nel sedere da punto a punto. Il messaggio arrivava chiarissimo.

Alle medie ci si poteva imbattere nella meravigliosa Sernia Maria Piantella che insegnava francese alla “Leonardo da Vinci. Era spietata semplicemente perché amava la sua materia e dunque sin dal primo giorno neppure una parola in italiano, insufficienze anche per errori veniali, tanta conversazione. Se parlo e scrivo un francese più che discreto lo devo solo a lei; però dopo la prima lezione tornai a casa dicendo che avrei cambiato classe. I miei non ci cascarono, per fortuna, e adesso leggo Proust in originale.

Rimanendo sempre nell’ambito del francese indimenticabile l’episodio che riguarda la straordinaria professoressa Elena Righetto, che aveva cattedra allo Scientifico “Lioy”: l’episodio è parzialmente citato in un altro pezzo “amarcord”(https://www.tviweb.it/le-temibili-antiche-professoresse-dei-licei-vicentini/) ma qui lo raccontiamo meglio.

Uno studente evidentemente scontento di lei scrisse sul muro lato Lioy dell’allora sede della Banca d’Italia di Piazza San Lorenzo “Le professeur Righetto m’ammerde”: senza fare un plissé la prof estrasse dalla borsa una matita e corresse in “La professeur Righetto m’emmerde” sottolineando due volte il doppio errore. Se abbia riconosciuta la calligrafia e organizzata una rappresaglia non è dato sapere.

Severo ma giusto era l’impareggiabile Monsignor Antonio Frigo, che insegnava matematica e fisica al Liceo del Seminario Vescovile.

Partigiano – era stato torturato dai nazisti – identico al direttore d’orchestra von Karajan, lingua taglientissima era famoso per il suo “Io cammino su una linea retta, qualunque cosa io trovi ad intralciarmi la sposto”; in effetti se lo si sentiva arrivare era meglio scansarsi rapidamente o si finiva a gambe all’aria nelle aiuole del chiostro.

Il massimo del complimento era “’mbecille” ma non lasciava indietro nessuno; credo che si fosse trovato davanti uno dei bulletti di oggi o peggio i genitori del piccolo disagiato avrebbe loro risposto “ho resistito ai nazi, figurati se ho paura di voi”, facendo seguire il tutto da una salva di schiaffoni a mulinello.

Questa volta è proprio il caso dire “Bei tempi!”.

Alessandro Cammarano

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