19 Giugno 2023 - 8.44

Il basto di Iroso, ultimo mulo alpino, è tornato a casa

Quando iniziai a collaborare con Tviweb, mi sembra ieri ma sono trascorsi ormai ben 5 anni (anvedi come passa er tempo! direbbero a Roma), scrissi una specie di “trilogia”; tre editoriali dedicati ad un mulo, ma non un mulo qualsiasi, bensì Iroso, l’ultimo mulo alpino, così schedato dalla nostra burocrazia:  Nome: Iroso – Anno di nascita:1979 – Reparto: Settimo reggimento “Belluno”, Brigata Cadore – Numero matricola: v212.

Per chi non avesse avuto modo di leggerli, vi ricordo che il primo, dal titolo “Lode al mulo Iroso, l’ultimo soldato alpino”, è del 14 gennaio 2019; il secondo titolato “Iroso l’ultimo mulo alpino è andato avanti” del 30 aprile 2019, e l’ultimo “Iroso è ormai leggenda” del 5 agosto 2019.

Non stupitevi se tutti e tre i pezzi citati sono firmati “Ulisse padovano”, ma all’epoca amavo talvolta scrivere sotto pseudonimo.  Un vezzo che poi ho abbandonato.

Vi confesso che ricordo ancora l’emozione con cui raccontai allora la storia di Iroso, anche perché ebbi la ventura a gennaio di commentare i festeggiamenti per i suoi 40 anni (una longevità da Highlander visto che l’età massima per un mulo si aggira sui 35 anni), per poi annunciarne la morte improvvisa ad aprile (gli alpini quando parlano dei loro morti dicono che “sono andati avanti”), e infine narrare l’epilogo culminato al calar del sole del 19 luglio 2019  a Vittorio Veneto, con la  deposizione delle sue ceneri alla base del Monumento alle Penne Nere, e ai loro muli, nell’area verde adiacente la Pieve di Sant’Andrea, fra le note della “canzone del Piave” e con gli onori ai caduti. 

Una piccola parte di Iroso, il suo zoccolo su cui era impresso il numero di matricola 212, è stato successivamente collocato, come fosse una vera “reliquia”, al Doss di Trento, al Museo storico delle truppe alpine dell’Ana Nazionale.

Ovviamente chi fosse interessato a rileggere la storia di Iroso raccontata nei tre editoriali citati, basta che acceda alla piattaforma di Tviweb, digitando i titoli. 

Francamente pensavo che la saga di Iroso fosse finita, e che di lui si sarebbe continuato a parlare solo nei raduni dei “veci” e dei “bocia”, alimentando così una leggenda che durerà almeno fino a quando esisteranno gli alpini. 

E invece sono qui a raccontarvi un ulteriore omaggio che le penne nere hanno voluto riservare al più noto dei loro muli, la cui storia nel 2019 ha fatto il giro della stampa nazionale.

L’attaccamento deriva dal fatto che questi animali hanno segnato la storia degli alpini, perché dove non arrivava il treno, dove non arrivava il camion, dove non arrivava il carro, dove non arrivava il cavallo, dove non arrivavano neppure i cingolati ed i fuoristrada, là arrivavano loro, i muli. 

Nel corso della prima Guerra Mondiale ne risultavano presenti,a fianco degli alpini, circa 520mila, su tutti i fronti. Ma migliaia, prima, avevano già accompagnato gli alpini nelle sanguinose campagne di Eritrea del 1887 e 1896.

Ma 65mila furono utilizzati  successivamente nella campagna di Grecia, e 25mila partirono per la Russia.  Dalle steppe russe ne tornò il 20%, e la loro presenza è stata immortalata da Giulio Bedeschi nelle sue “Centomila gavette di ghiaccio”, quando ricorda con affetto la presenza dei muli al loro fianco: “…avevamo centinaia di slitte trainate da muli, che soffrivano con noi e non avevano da mangiare che qualche sterpaglia che spuntava dalla neve. Povere bestie, erano coperte di ghiaccio e, rammento, la presenza di questi animali era qualcosa di rassicurante per tutti”.

E fra il 1944 e il 1945 a sostenere americani e britannici lungo l’Appennino c’erano 14.500 uomini, e ben 11.500 muli. 

Ancora nei primi anni 90 le cinque Brigate Alpine – Julia, Taurinense, Cadore, Orobica e Tridentina – avevano al loro servizio 700 muli. Ma era troppo costoso mantenerli; i tagli delle truppe alpine cominciarono proprio da loro. 

Iroso fu uno di questi muli che l’esercito mise in vendita all’asta nel 1993, dopo 120 anni di onorato servizio, perché ritenuti ormai inutili a fini militari, e fu salvato dal macello grazie all’intervento dell’alpino Antonio de Luca,  assieme ad altri suoi compagni: Dro, Goro, Fonso, Iso, Laio, Leo, Fina, Como, Grata, Gigio, Lara, Lucio e Melissa.

Con il passare degli anni, mentre gli altri 13 muli “andavano avanti” uno ad uno, Iroso continuò a resistere, diventando grazie alla sua inaspettata longevità l’emblema della vita laboriosa dell’alpino, e la “stella” del reparto dove era vissuto.

Tornando all’oggi, sabato 15 giugno 2023 è andata in scena l’ultima (forse!) rievocazione suggestiva della vicenda di Iroso.

Già perché la sezione di Vittorio Veneto degli Alpini, sentendo di avere un  debito morale con Belluno, ha deciso di organizzare il raduno annuale nella stessa caserma  dove Iroso era stato allevato, e con l’occasione di riportare a casa il suo basto.

E così, nel corso della cerimonia di sabato, Iroso ha fatto idealmente ritorno alla sua caserma natale, la caserma Salsa D’Angelo di Belluno, dove ha avuto luogo la celebrazione, mediante la consegna di uno dei suoibasti originalinelle mani del Comandante del 7° Reggimento Alpini, col. Andrea Carli, alla presenza di autorità Civili e Militari, Alpini in congedo, e ovviamente di un nutrito pubblico. 

Il basto di Iroso finirà esposto al museo di Villa Patt a Sedico, a ricordare quello che è stato l’ultimo testimone delle Salmerie degli alpini.

Non so se nel futuro avremo ancora modo di parlare di Iroso, le cui ceneri ormai riposano fra le verdi colline di Vittorio Veneto, ma sono certo che la sua storia e la sua immagine di “ultimo mulo” resteranno indelebili nel ricordo non solo dei “conduttori”, ma di tutte le penne nere, perché il mulo è un vero e  proprio simbolo dei valori alpini: la tempra e la fedeltà.

Umberto Baldo

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