Ho letto “Il mondo al contrario” del generale Vannacci. Ve lo racconto
Umberto Baldo
Ho aspettato a parlarvi di quello che è diventato “il libro dello scandalo” per il semplice motivo che riferirvene per sentito dire, o sulla base delle osservazioni di altri, o di frasi estrapolate, non lo ritenevo corretto.
L’ho letto, ma non l’ho comprato. Me lo sono fatto prestare da un amico che è riuscito ad averlo, ma ho dovuto leggerlo in fretta e furia perché me l’ha dato sub condicione di restituzione dopo soli cinque giorni (quindi si è trattato di una lettura magari frettolosa e non meditata, ma pur sempre una lettura, e non di un sentito dire)
Prima di parlarvi del Vannacci pensiero credo sia opportuno fare alcune premesse.
In primis che quando si legge un libro lo si filtra attraverso la propria mente, la propria cultura, la propria etica, la propria sensibilità anche le proprie idee politiche, ed in definitiva la percezione che se ne ricava varia sicuramente da persona a persona.
E così se un lettore ha idee di sinistra o comunque progressiste troverà inaccettabili i passaggi in cui il Generale parla dei gay, citando gli svariati epiteti piuttosto denigratori con cui fino a qualche anno venivano definiti gli omosessuali, come pure quando parla dei tratti somatici di Paola Enogu, che secondo lui non rappresentano l’italianità.
Diverso può essere il giudizio sugli stessi temi di chi ha invece idee di destra.
Questo per dire che, nella per forza breve descrizione dei contenuti di un tomo di oltre 300 pagine, quello che leggerete di seguito è il frutto della mia percezione, filtrata come accennavo dai miei valori culturali e politici, per quanto mi sia sforzato di essere il più possibile super partes.
Detta in altre parole, un altro lettore potrebbe raccontarvelo in maniera del tutto diversa.
Ciò non toglie che io mi sia fatta un’idea precisa sia relativamente ai temi trattati, che al successo che “Il mondo al contrario” sta avendo.
Oggi vi esporrò i contenuti, ma gli effetti politici ve li racconterò domani in un altro pezzo.
Qualcosa però ve lo voglio dire subito; il libro di Vannacci non è scritto male, anche se forse è un po’ troppo lungo, non è certamente un capolavoro letterario e non passerà alla storia come una pietra miliare dell’italico pensiero.
Ma ha una sua dignità, e spiega perfettamente quale sia la visione del generale Vannacci della società, della politica, delle scelte locali e globali su ambiente, energia, multiculturalismo, tasse, sicurezza, emergenza abitativa, urbanistica, difesa, famiglia, sessualità e perfino animalismo.
Passo quindi a riassumervi (giocoforza in estrema sintesi) quelli che a me paiono i principali contenuti del libro, divisi per argomenti:
Normalità: secondo l’autore la società attuale vede la presenza di minoranze organizzate che stanno sovvertendo quanto fino a qualche decennio fa era considerata la “normalità”. Questo attacco alla normalità dovrebbe essere contrastato a suo avviso solo ricorrendo al “buonsenso”, il cui concetto non è però ben spiegato ed approfondito, anche se si percepisce debba ispirarsi ai valori trasmessici dagli antenati.
Immigrazione: Vannacci afferma che l’identità di un popolo deriva da un patrimonio comune di tradizioni militari, culturali, linguistiche e religiose. Di conseguenza il multiculturalismo, in quanto portatore di valori estranei, rischia di intaccare la coesione e la stabilità di un popolo. Non si tratta di una questione “etnica” bensì culturale, per cui gli immigrati devono adeguarsi alla cultura degli italiani.
E’ in questa capitolo che si trova il passaggio su Paola Enogu “….anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai giorni nostri”.
Dal mio punto di vista, capisco che qualcuno voglia leggere queste parole come un messaggio razzista, ma stando al testo letterale il Generale ha semplicemente detto una verità per me inconfutabile, quella che storicamente il prototipo somatico dell’italiano non presenta certamente la pelle nera.
Patria: da militare il generale non poteva che segnalare una sempre maggiore carenza di patriottismo, con un utilizzo sempre minore del termine “Patria” e dei simboli della stessa: la bandiera e l’inno nazionale.
Legittima difesa: a tal proposito Vannacci scrive, in estrema sintesi, che le leggi attuali sembrano fatte più per tutelare i delinquenti che le persone oneste e per bene. A dire la verità mi è sembrato che il Generale si muova sulla scia di coloro, e sono molti fra cui lo scrivente, che pensano che nel valutare la liceità di un atto difensivo ci si debba basare più che sui fatti oggettivi, quelli che appaiono al giudice, sui fattori soggettivi, cioè sulla sensazione di pericolo percepita dalla vittima di un atto criminoso.
Gender: Il generale parte affermando che l’omosessualità debba esser del tutto lecita, ma rimanere confinata nella sfera sessuale, senza debordare nella famiglia.
Ma a suscitare aspre polemiche sono stati i passaggi in cui l’autore si interroga sul carattere di “normalità” dell’omosessualità e del transgenderismo.
Certo la frase “Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!” forse poteva risparmiarsela o scriverla diversamente, me leggendo il libro si capisce chiaramente che Vannacci considera “normali” solo l’accoppiamento fra maschio e femmina, e la famiglia formata da un uomo e da una donna.
In realtà Vannacci non contesta le pratiche omosessuali e tanto meno i diritti di gay e lesbiche, incluse le unioni civili: contesta che si pretenda che questa possa definirsi “normalità”, alla pari con le unioni eterosessuali.
Questo mi è sembrato l’argomento forse più sentito dal generale, che si sofferma con dovizia di particolari sull’azione di quella che a suo avviso è la lobby gay (a suo avviso una piccola porzione della società, però sovra rappresentata) interessata a diffondere e a normalizzare le pratiche omosessuali, avendo come obiettivo il matrimonio e la genitorialità.
Ambientalismo: Nulla di stravolgente in questo capitolo, a mio avviso. Vannacci dimostra di credere al cambiamento climatico come conseguenza dell’azione umana, ma non ritiene che si stia andando verso un’apocalisse, e neppure che si debba contrastarlo con politiche di decrescita. Non è neppure contrario alla transizione energetica, anche se ritiene che per attuarla non servano particolari accelerazioni, bensì una certa gradualità, non escludendo l’utilizzo dell’energia nucleare.
Questi, ridotti in pillole, i contenuti del libro del generale Vannacci, che ha tenuto banco tutto agosto e che, siate certi, continuerà a sollevare polemiche anche nei mesi a venire.
Capisco che, leggendo il mio breve riassunto, qualcuno possa pensare: tutto qui?
E’ legittimo, e forse anche giusto, pensarlo, ma come sostengo da sempre i libri bisogna avere la pazienza di leggerli, di meditarli, di assimilarli.
Leggere i riassunti (come questo!), o magari solo le presentazioni o le recensioni, è comunque riduttivo, non solo perché non ci si fa un’idea precisa del testo nella sua completezza, ma soprattutto perché si rischia di essere vittime di manipolazioni o condizionamenti.
Dopo la lettura, a caldo mi sento di dire che gli attacchi, le critiche, le stroncature al libro di Vannacci mi sembrano il consueto tentativo di “demonizzazione” tout court per evitare di aprire un serio dibattito sui temi sollevati nel libro. Il Generale in sostanza esprime un pensiero conservatore, a mio avviso né razzista né omofobo, condiviso da moltissimi italiani, che è troppo facile e riduttivo bollare come “fascisti”.
E lo fa ben coscio di navigare fuori dal politically correct, tanto da dichiarare: “Vengo trattato da omofobo, da malato mentale, perché ho idee diverse dal pensiero unico, e mi si toglie la libertà di esprimere le mie opinioni. Ma io esco solo dal politicamente corretto, dico quel che molta gente pensa ma si guarda bene dall’esprimere”.
Come vi ho detto, domani ritornerò sul tema, per sviluppare un’analisi politica, che a mio avviso per certi aspetti è ancora più interessante del libro stesso.
Umberto Baldo