13 Settembre 2023 - 9.21

Se non sei italiano puoi picchiare tua moglie. E se i tuo avi ammettevano il cannibalismo, te la puoi anche mangiare

Neanche a farlo apposta, ieri vi avevo intrattenuto sulle problematiche del femminismo, concludendo che forse per le donne non è ancora il caso di abbassare la guardia, ed oggi mi tocca ritornare sull’argomento per commentare un fatto di cronaca che mi ha fatto letteralmente sobbalzare sulla sedia.

Innanzi tutto i fatti.

E chi li può raccontare meglio della vittima? 

Che  ricorda che il matrimonio con l’imputato («a cui sono stata “venduta” per 5.000 euro», puntualizza) non è stato altro che il frutto di una decisione dei suoi zii, a cui lei si era opposta sin da subito. La donna viveva in Italia dall’età di quattro anni e, nonostante il matrimonio fosse avvenuto in Bangladesh, è qui che la coppia ha scelto di stabilirsi. «Da subito mi ha costretta a stare in casa. (…) Potevo solo uscire quando c’erano serate con le mogli degli altri ed ero costretta a indossare abiti islamici. Non potevo dire nulla, oppormi a queste situazioni, altrimenti ricevevo urla, insulti e botte. (…) Così con le botte, gli insulti, e il ricordo di essere in gabbia mi ha costretta a sottostare alla condizione di schiava per anni. Nel 2019 ho trovato il coraggio di denunciare dopo anni di totale annullamento, con la costante minaccia di essere portata definitivamente in Bangladesh”.

E’ essenziale sottolineare che la signora in questione, pur essendo nata in Bangladesh, vive in Italia dall’età di quattro anni, e ha la cittadinanza italiana. 

Riassumendo, una cittadina italiana, venduta dagli zii per 5000 euro per celebrare un matrimonio combinato, viene picchiata, umiliata e maltrattata abitualmente dal marito bengalese, recupera il coraggio di denunciarlo (come viene caldamente invocato dalle nostre Istituzioni), e alla fine trova un PM che chiede l’assoluzione dell’ex coniuge violento.

Ma non perché non si sia accertata la veridicità dei fatti denunciati, ma per queste motivazioni: “…i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputatosono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine”.

In estrema sintesi il caso è stato inquadrato come un “reato culturalmente orientato”.

Fortunatamente per la Signora, ma io dico anche per il nostro Ordinamento giuridico e per l’immagine del Paese, il GIP si è opposto alla richiesta di assoluzione, ordinando l’imputazione coatta per lo straniero perché: “Sussistono senz’altro elementi idonei a sostenere efficacemente l’accusa in giudizio nei confronti dell’ex marito”.

Credo vado osservato anche che, dalla denuncia presentata nel 2019 alla richiesta di assoluzione (negata), sono trascorsi ben 4 anni.  

E poi tutti a meravigliarci se nelle more della giustizia qualche maschio finisce per uccidere la donna! 

Come andrà il processo lo vedremo, e se del caso ve ne darò conto.

Ma il problema vero, sollevato da questa richiesta di assoluzione da parte del PM, è che così si  rischiano di vanificare decenni di lotta per l’affermazione e la difesa dei diritti delle donne. 

Io mi chiedo dove sia andato a finire il principio della territorialità del diritto, regolato dall’art. 6 del codice penale: “Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana….”.

Più chiaro di così!

Quindi diventa per me del tutto inaccettabile l’interpretazione secondo cui certi comportamenti devianti sono giustificabili perché frutto dell’impianto culturale dell’imputato, maturato fuori dall’Italia.

Detta in altre parole, in Italia non deve essere neppure concepibile che una donna venga picchiata o resa schiava perché “per cultura” il marito pensa che ciò sia normale, neanche se questo intreccia il tema del rispetto della cultura di origine di persone straniere o migranti.

Diversamente, ammettendo che un uomo possa picchiare la moglie perché la sua cultura lo ammette, se un’altra cultura ammettesse la lapidazione o il cannibalismo, cosa si fa, lasciamo che l’ammazzi a pietrate o se la mangi?

E pensare che proprio il Tribunale di Brescia in una recente sentenza ha respinto la teoria dei “reati culturalmente orientati”, condannando un padre islamico violento nei confronti delle figlie femmine così motivando: “I soggetti provenienti da uno Stato estero devono verificare la liceità dei propri comportamenti e la compatibilità con la legge che regola l’ordinamento italiano. L’unitarietà di quest’ultimo non consente, pur all’interno di una società multietnica quale quella attuale, la parcellizzazione in singole nicchie, impermeabili tra loro e tali da dar vita ad enclavi di impunità”.

In queste parole dei giudici bresciani c’è tutto.

Vale a dire che bisogna far capire fin dall’inizio a coloro che arrivano in Italia che si devono adeguare alle nostre leggi, con le buone ovviamente, ma con le cattive con chi non dovesse sentirci.

Provate ad andare in Arabia Saudita ad ubriacarvi, e provate a dire al giudice islamico che la “cultura italica” è anche cultura del vino.  

Pensate che vi assolverebbe?

Ci siamo sempre considerati il “Paese faro del diritto”.

Ma cosa ci sta succedendo?  Stiamo trasformandoci in un Ordinamento in cui, in nome del buonismo e del multiculturalismo, ci limitiamo a prendere atto delle diversità culturali (sic!), senza punire gli atti di violenza ai danni delle donne?

La voglio dire senza giri di parole.

Qualunque straniero che per qualsiasi motivo entri o si stabilisca in Italia deve dimenticare le tradizioni culturali ed il diritto del proprio Paese di origine, perché entro i nostri confini valgono solo le leggi votate dal Parlamento italiano. 

Non ti va bene?  Vuoi continuare con le tue tradizioni, anche se queste confliggono con le regole italiche?

Nessuno problema!  Te ne vai fuori dai c……., e se non lo fai ti accompagniamo con piacere, e forzatamente, alla frontiera.

Sia chiaro che sono conscio che l’Italia ha bisogno di immigrazione, ma se vogliamo che alla fine coloro che entrano e si stabiliscono definitivamente siano italiani, e non marocchini, indiani, gabonesi, nigeriani ecc. dobbiamo essere chiari, e soprattutto rigidi, nel pretendere il rispetto delle nostre leggi.

In poche parole il messaggio deve essere questo: nessuno ti impedirà di mangiare il cous cous e di pregare in moschea, ma sicuramente ti verrà  impedito di picchiare e seviziare moglie e figlie.

Umberto Baldo

PS: proprio ieri pomeriggio la Procura di Brescia si è dissociata dal suo stesso Pubblico ministero. In una nota, firmata dal procuratore Francesco Prete, si legge che “la Procura ripudia qualunque forma di relativismo giuridico, non ammette scriminanti estranee alla nostra legge ed è sempre stata fermissima nel perseguire la violenza, morale e materiale, di chiunque, a prescindere da qualsiasi riferimento “culturale” nei confronti delle donne”. 

A mio avviso mai una dissociazione fu più opportuna.

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