I “nodi gordiani” del Presidente del Consiglio
Se Giorgia Meloni sperava di poter fare la prossima campagna elettorale per le europee non dico tranquilla, ma almeno dovendosi difendere solo dagli attacchi delle opposizioni, ha fatto male i suoi calcoli.
Ve l’ho già scritto più volte che le insidie maggiori le arriveranno da Matteo Salvini, che prendendo la rincorsa lunga sta già tirando fuori tutto il classico armamentario sovranista e populista, ovviamente alla ricerca del consenso perduto.
In fondo è una sorta di inversione dei ruoli, rispetto a quando il Capitano, sia pur con molti distinguo, subiva il suo sostegno al governo Draghi e la conseguente emorragia di voti, mentre Giorgia Meloni, vera leader dell’ opposizione, era libera di interpretare baldanzosamente il ruolo di alfiere del sentiment populista (ricordate il “toglieremo le accise”, e il “blocco navale subito” tanto per citare un paio di amenità), con quel diffuso scetticismo nei confronti dell’Europa, quell’insofferenza alle regole comunitarie, quell’ostilità verso i migranti.
Questo è sicuramente il primo vero cruccio della premier, il timore che alla sua destra si costituisca un blocco elettoral-ideologico (ispirato da Salvini ma cui aderiscano anche tutti gli scontenti vicini ad Alemanno, e non solo) che evochi le stesse parole d’ordine, gli stessi miti, le stesse simbologie, e faccia le stesse fantasmagoriche promesse su cui Lei ha costruito la sua scalata a Palazzo Chigi.
Le cose sarebbero sicuramente diverse se il bilancio di questo suo primo anno di governo fosse positivo, se potesse sciorinare una serie di successi e di problemi “risolti”, ma purtroppo per Lei e per noi, l’inflazione asfissiante, il Pil in flessione, l’invasione dei migranti, la manovra senza soldi, l’ha costretta a diventare una campionessa del “calcio della lattina”.
Datemi atto che vi ho sempre detto che il problema delle migrazioni, anche se i leader europei non lo diranno mai chiaramente, è il “principale tema” su cui si giocheranno i risultati elettorali e quindi gli equilibri di quasi tutti i Paesi, e anche se la premier in qualche modo è riuscita a far si che la Rai, le Tv, i giornali, minimizzino o trascurino il problema, con Lampedusa al collasso, con migliaia di migranti dentro l’hotspot, con oltre 140mila arrivi (il doppio dello scorso anno), con un’emergenza di fatto anche se non conclamata , era inevitabile che il leader della Lega, come un leone che sente l’odore del sangue, si avventasse sulla questione.
Il dato di fatto è che, al di là di antiche parole d’ordine ormai desuete perché impraticabili come il mitico blocco navale, di una ridda di grida manzoniane come le pene per arrestare gli scafisti sull’ intero orbe terracqueo, di entusiastici e ingiustificati proclami su un supposto “cambio di paradigma in Europa” provocato dall’Italia, delle fanfare per un accordo con la Tunisia per bloccare le partenze (sic!), delle promessa di un piano Mattei per l’Africa non si sa bene con quali soldi, su questo problema Giorgia Meloni si presenta all’elettorato, soprattutto quello che ci ha creduto e l’ha votata, con risultati fallimentari.
E non abbiamo ancora visto deflagrare i problemi che arriveranno dell’accoglienza sui territori, perché i Presidenti di Regione ed i Sindaci, ormai per buona parte di centrodestra, cresciuti in Fratelli d’Italia o nella Lega a “pane-e-caccia-al-migrante”, eletti anche sulla promessa di sbarrare le porte agli “invasori”, fanno fatica ad accettare masse di disperati recapitate all’alba dai pullman del Viminale (cominciano a lagnarsi anche quelli di sinistra a onor del vero!).
Ma tornando ai “calci della lattina”, prassi comunque politicamente poco produttiva per qualsiasi governo, i rinvii e le non soluzioni rischiano di trasformarsi in veri e propri “nodi gordiani” se praticati a livello internazionale.
Così ad esempio invece di porre in Europa il tema in tempo utile, magari anche in modo veramente ruvido, qualche “genio della strategia politica” ha avuto la brillante idea di intrecciare il tema dei migranti con il Mes ed il Patto di stabilità.
L’idea era sicuramente quella di “mettere l’Europa con le spalle al muro”, imponendole una trattativa “complessiva” su tutti questi temi assieme, sfruttando le tempistiche, e cercando così di far prevalere gli interessi “daaaa Naaaaazzzzzione”.
Risultato?
Gli strateghi italici per quanto riguarda il problema delle migrazioni non hanno calcolato che la campagna elettorale vale per tutti, e che avendo Macron e Scholz il loro bel da fare con i Salvini e le Meloni che hanno in casa (Marine Le Pen e AfD), figuriamoci che interesse possono avere a farsi spedire dall’Italia un congruo numero di sbarcati (che da noi sono per la quasi totalità giovani donne e uomini in cerca di fortuna, non rifugiati o perseguitati politici).
Per quanto attiene il Mes ormai abbiamo superato la soglia del ridicolo, e relativamente al Patto di Stabilità adesso l’Italia deve sperare che si possa trovare un accordo prima di fine anno, perché diversamente, con il ritorno alle regole precedenti (sospese per la pandemia), per noi si aprirebbero scenari terrificanti.
Nonostante i calci alla lattina, fatalmente i nodi stanno venendo tutti al pettine.
E così, sia pure informalmente, ma credetemi piuttosto chiaramente, da Bruxelles stanno chiedendo alla Meloni alcune risposte.
Innanzi tutti se Roma intenda ratificare il Mes, e fornendo pure una data precisa.
E’ evidente che una risposta negativa sarebbe interpretata dei leader europei come un atto chiaramente ostile nei confronti della Ue.
Si chiede poi a Meloni di far sapere già nelle prossime settimane, e non dopo il voto, come da lei desiderato, se Fratelli d’Italia intenda o meno partecipare al bis di Ursula von der Leyen (assieme a Ppe e ai Socialisti europei).
Un prendere o lasciare, una decisione senza alternative, visto che il Partito Popolare Europeo sembra aver abbandonato il progetto di un patto con i Conservatori.
Capite che non è una scelta da poco.
Perché dicendo “si” si entrerebbe nell’Europa che conta e che decide; mentre dicendo “no” l’Italia si consegnerebbe ad una fragorosa irrilevanza, oltre a tutto su posizioni anti-sistema.
Mi auguro che il messaggio insito nella scelta della Von del Leyen di affidare a Mario Draghi il piano sulla competitività dell’industria Ue sia stato ben compreso a Roma e a Palazzo Chigi.
E immagino che questa decisione della Commissione abbia un po’ spiazzato la maggioranza, perché ha lanciato un segnale inequivocabile: “se c’è qualcuno in cui crediamo, si chiama proprio Draghi”.
Come abbiamo visto si tratta di una situazione piuttosto fluida, ma anche piuttosto difficile da interpretare, e da gestire, da parte della nostra premier.
Che non so quanto riuscirà ancora a barcamenarsi fra la voglia di entrare nell’Europa che conta, e quella di restare allineata a personaggi come Viktor Orbàn o Santiago Abascal.
Pensare di continuare a fare due parti in commedia è solo una pia illusione, perché gli altri non sono stupidi, e stanno andando al “vedo”.
In altre parole Giorgia Meloni si trova di fronte ad un bivio, e per l’Italia il tempo delle ambiguità è agli sgoccioli; il problema è che da quello che deciderà dipenderà anche il futuro nostro, e soprattutto quello dei nostri ragazzi.
Chiudo con questa osservazione. Dati gli attuali chiari di luna, con un bilancio pubblico su cui peseranno per anni gli effetti del Superbonus di Conte, e quindi con una cronica scarsità di risorse, posizioni politiche ambigue potrebbero scatenare i mercati contro i nostri Btp; e non sarebbe il primo governo italiano a cadere sotto i colpi dello spread.