21 Settembre 2023 - 9.35

20 settembre, una data dimenticata

Umberto Baldo

Ieri mattina per caso mi è capitato di rileggere questo passaggio di un noto discorso: “La storia ci dimostra che ovunque questa riunione ebbe luogo la civiltà sempre immediatamente cessò di progredire, anzi sempre indietreggiò: il più schifoso dispotismo si stabilì”.

La “riunione” in questione è quella fra potere temporale e potere religioso, ma non si tratta di parole pronunciate per commentare quello che da decenni accade nella Repubblica Islamica dell’Iran, anche se fotografano quella situazione alla perfezione.

No, a pronunciarle fu Camillo Benso conte di Cavour nella seduta parlamentare del 25 maggio 1861.

Per associazione di idee mi sono ricordato che era il 20 settembre, una data che probabilmente non dice quasi più nulla agli italiani di oggi.

Eppure segnò una tappa fondamentale nella storia d’Italia, e francamente pensavo (meglio, speravo) che i “patrioti” che oggi reggono le sorti del Paese, o “deaa Nazzziioooone” come amano dire, avrebbero proposto di risvegliarne e ripristinarne il ricordo.

Mah, magari potrebbero anche pensarci, ma al momento non si muove nulla.

Trovo strano che in un Paese che ricorda di continuo (a volte sembra addirittura che insegua), che celebra ricorrenze e anniversari spesso anche divisivi,  il 20 settembre, anniversario della “presa di Roma”, sia invece caduto nell’oblio.

Se si eccettua la sparuta pattuglia dei Radicali che in quel giorno, ogni anno, si radunano a Porta Pia, la famosa “breccia” non è più rievocata da nessuno.

Questa potrebbe anche essere considerata una cosa naturale, visto che da tempo nessuno mette più in dubbio la positività della fine del potere temporale del Papa sancita dalla “conquista” dell’Urbe.   E la stessa Chiesa cattolica, per bocca del cardinale dall’Acqua, nel 1970 ha riconosciuto che grazie al 20 settembre: “sollevata dal potere temporale,  la Chiesa ha potuto […] esplicare in modo più agile la sua missione di salvezza fra gli uomini”.

Eppure in quell’Italia di fine ottocento il 20 settembre divenne rapidamente una data molto sentita da tutta una parte del Paese, assumendo per molti il carattere di una “vera” festa nazionale già prima che nel 1895 divenisse giorno festivo per legge.

Per curiosità personale ha provato a chiedere ad una decina di studenti delle scuole superiori che conosco, se mi sapevano dire cosa ricordi appunto la data del 20 settembre 1870.

A parte che qualcuno di loro mi ha addirittura guardato con un’espressione che sembrava dire “Nonno ma ti sembra che possa sapere, e soprattutto mi interessi, conoscere cosa è accaduto un secolo e mezzo fa?”.

Solo uno mi ha detto “Mi dice qualcosa, ma al momento non ricordo!”, chiedendomi anche di rinfrescargli la memoria.

Poiché immagino che forse anche qualcuno di voi se lo sia dimenticato, ricordo che quel giorno, alle 9 del mattino, l’artiglieria dell’esercito italiano guidata dal generale Raffaele Cadorna aprì una breccia larga trenta metri nelle mura di Roma, a pochi passi da Porta Pia, dopo un cannoneggiamento durato quattro ore. 

Un battaglione di fanteria e uno di bersaglieri da quella breccia entrarono nella città, alle 10:35 lo Stato Pontificio dichiarò la propria resa, e le  bandiere bianche sventolarono sulla cupola di San Pietro e sulle mura di Castel Sant’Angelo. 

Fu la fine del Regno pontificio; Roma finalmente si unì all’Italia, diventandone la capitale.

Dal punto di vista strettamente militare nelle file dell’esercito italiano si contarono in totale 49 caduti, mentre i morti ed i feriti nei ranghi papalini furono 69. 

Come accennato, la dichiarazione di Roma capitale sancì la fine del potere temporale dei  Papi; Pio IX si ritrovò di fatto confinato entro le mura leonine, e si dichiarò prigioniero in Vaticano dando luogo a una lunga contesa diplomatica, la cosiddetta Questione Romana,  che si sarebbe protratta per 59 anni. 

Sempre Pio IX lanciò anche  anche il cosiddetto “Non expedit”, un duro documento di indirizzo nel quale invitava i cattolici italiani a non partecipare più alla vita politica.  

Il 20 settembre 1870 rappresentò uno degli ultimi capitoli di quello che viene definito il Risorgimento italiano, e venne celebrato rinominando in moltissime città italiane una via centrale appunto “via XX settembre” (con la data sempre scritta in numeri romani).

Una via, o una piazza, o una Contrà XX Settembre si trova in tutte le città del Veneto, e quando ci si riferisce al  Ministero dell’Economia e delle Finanze spesso  si parla del “Ministero di via XX settembre”.

Ma come mai dopo essere stato giorno di festa nazionale, a poco a poco il ricordo dell’anniversario della breccia di Porta Pia è andato via via scemando?

Un motivo è che, proprio per l’ostilità della Chiesa, pur essendo festeggiata da tutta una parte del Paese, era percepita come una festa anticlericale e massonica.

Fu particolarmente significativo (ne parlò anche il Times di Londra) il violento scontro verbale che si verificò nel 1910 tra l’allora sindaco di Roma Ernesto Nathan e il pontefice Pio X.     Nathan, con toni molto forti, definiva la Chiesa “fortilizio del dogma”, “regno dell’ignoranza” e così via, provocando da parte della stampa cattolica una reazione altrettanto polemica, non priva di toni antigiudaici (Nathan oltre che massone era ebreo).  

Tanto per capirci, fu in quel clima di scontro  che nel 1889 in Campo de’ Fiori venne augurata la statua a Giordano Bruno.  Pensate che poco prima dell’inaugurazione il Papa minacciò di abbandonare Roma per rifugiarsi in Austria, qualora la statua fosse stata scoperta al pubblico; e subito dopo l’inaugurazione, Papa Leone XIII  rimase un intero giorno a digiunare inginocchiato davanti alla statua di San Pietro  pregando contro «la lotta ad oltranza contro la religione cattolica»

Con il passare del tempo il clima si stemperò, e già dopo la fine della prima guerra mondiale il 20 settembre veniva ormai festeggiato in tono minore, fino a che nel 1929, con la sottoscrizione dei Patti Lateranensi, le controversie fra Italia e Papato si appianarono.  

Il Fascismo, in conseguenza dei Patti, cancellò la giornata festiva del 20 settembre, sostituendola con l’11 febbraio, che celebrava appunto la Conciliazione tra Stato e Chiesa.

Il Vaticano avrebbe anche voluto che si cancellassero dalla toponomastica di paesi e città le tante vie intitolate al 20 settembre (anzi XX settembre come si scriveva usualmente), ma Mussolini – forse non interamente dimentico del suo giovanile anticlericalismo socialista – non accettò.

Il regime di Benito Mussolini si dimostrò molto generoso nei confronti del Vaticano, offrendo l’esenzione dal servizio militare per il clero, leggi su matrimonio e divorzio conformi a quelle della Chiesa, e un risarcimento di 1,75 miliardi di lire. (di allora eh!). L’accordo riconosceva l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede, e fondava lo Stato della Città del Vaticano.

A questo punto immagino che qualcuno di voi si stia chiedendo: ma perché dovremmo ritornare a festeggiare il 20 settembre?

Al che io ribatto: ma perché allora ricordiamo ancora il 4 novembre come il “giorno della Vittoria”?

Perché la conquista di Trento e Trieste sì, e quella di Roma no?

Certo non penso di riproporla come festa nazionale, con tanto di attività e scuole chiuse, ma ripristinarne la memoria sì, per me sarebbe opportuno!

A dire la verità ogni tanto qualche deputato o senatore, o qualche gruppo politico, presenta un disegno di legge, per reintrodurre le festività del XX settembre,  che però si perde regolarmente nelle brume del Parlamento.

Chissà che, prima o poi qualcuno, magari i “patrioti daaa Naaaaazzzione”, non ci riesca!

Umberto Baldo

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