Tex Willer: 75 anni e non li dimostra!
Sabato 30 settembre l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha emesso un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica “Il patrimonio artistico e culturale italiano” dedicato a Tex Willer.
Forse nella terra dei Leonardo, dei Michelangelo, dei Caravaggio, solo per citarne alcuni, qualcuno potrà forse storcere il naso vedendo un “personaggio dei fumetti” celebrato addirittura in un francobollo (tirato in ottocentomila trentatré esemplari) di quella particolare serie.
Posso anche comprendere queste perplessità, ma vedete, qui non stiamo parlando di un fumetto normale, bensì di un fenomeno editoriale di cui si celebra il 75° anniversario.
Già perché a Milano, giovedì 30 settembre 1948, nelle edicole venne appeso un piccolo manifesto che annunciava: “Ragazzi: eccovi finalmente TEX (in grande) L’albo più ricco al prezzo più povero! 36 pagine 15 lire”. E quel primo numero di Tex,a striscia, era titolato “Il totem misterioso”.
Allora nessuno avrebbe mai potuto pensare che, a distanza di settantacinque anni, Tex venisse ancora prodotto e venduto nelle edicole, e avesse ancora centinaia di migliaia di fedeli lettori.
Il contesto in cui nacque, da un’idea di Giovanni Luigi Bonelli, supportato da Aurelio Galeppini per le tavole, e dall’intraprendente moglie Tea Bertasi Bonelli che amministrava la casa editrice Audace, non era dei più facili per il Paese.
Oltre a tutto il 1948 fu un anno decisivo. L’eco e le devastazioni della guerra erano ancora evidenti; da soli due anni il paese era diventato una Repubblica; contemporaneamente era stata eletta l’Assemblea costituente, per la prima volta con il voto delle donne; il primo gennaio viene promulgata la nuova Costituzione; ed il 18 aprile si tennero le elezioni per la prima legislatura della Repubblica, che la Democrazia Cristiana vinse con il 48,51%, sconfiggendo duramente il Fronte Democratico Popolare (comunisti e socialisti) che si fermò al 30, 98%.
In questo clima arrivò nelle edicole Tex Willer, un personaggio che cavalcava nelle sconfinate praterie del Far West americano, e che, come accennato, divenne in breve tempo il più popolare personaggio a fumetti italiano, e negli anni un fenomeno editoriale unico al mondo.
Tex è un eroe rassicurante, con pochi dubbi e incertezze, generoso, sempre pronto a raddrizzare torti. In fondo dice e fa quello che tutti vorremmo dire e fare.
A poco a poco, numero dopo numero, gli autori crearono anche una sorta di “biografia” di Tex.
E così abbiamo appreso che Tex è stato in gioventù un fuorilegge spinto dal suo temperamento anarchico e libertario, ha combattuto durante la Guerra Civile con il Nord, pur essendo texano, perché decisamente antischiavista, e dopo aver conosciuto Kit Karson entra nel corpo dei “Ranger del Texas”, quindi fra i difensori della legge.
Nei primi episodi si apprende che aveva sposato Lilyth, figlia del Sakem dei Navajos Freccia Rossa, e che dalla loro unione nacque Kit, il cui nome indiano era Piccolo Falco.
Lilyth muore quasi subito uccisa da un’epidemia di vaiolo provocata dalle coperte infette distribuite ai pellirossa dai mercanti bianchi, che diffondendo questa infezione intendono sterminare i nativi.
Tex, che nel frattempo era entrato nella tribù assumendo il nome navajo di “Aquila della notte”, alla morte del Sakem diventa capo di tutte le tribù.
Nelle sue avventure Tex è affiancato da una piccola cerchia di amici fedeli, i tre Pards, che sono Kit Carson (probabilmente ispirato all’omonimo personaggio realmente vissuto, ma non dalla sua biografia), il figlio Kit Willer, e il taciturno guerriero navajo Tiger Jack.
Questa piccola compagnia percorre in lungo è in largo deserti e praterie, a protezione dei cittadini onesti, qualunque sia il colore della loro pelle, contro gli assalti dei fuorilegge.
Direi che un fattore che forse aiuta da subito a capire il personaggio Tex Willer è appunto il suo non discriminare i nativi americani.
Non era scontato in quegli anni 50/60, in cui nei film western d’oltreoceano gli indiani erano i ‘nemici’ che uccidevano i bianchi, e che dovevano quindi essere sterminati.
In questa chiave di lettura Tex precorse di almeno un ventennio quella sorta di “revisionismo” del cinema americano, che a partire dagli anni ‘70 mise in discussione e criticò spietatamente la visione della conquista del West fino ad allora dominante, e mostrando il genocidio dei nativi da parte dei mitici “Cow boys” produsse film quali ”Piccolo grande uomo”, “Corvo rosso non avrai il mio scalpo”, “Soldato blu”, “Un uomo chiamato cavallo”, “Balla coi lupi” e “Geronimo”.
Forse proprio per queste sue caratteristiche di eroe senza macchia e senza paura, di difensore dei deboli e degli oppressi (come nei miti della cavalleria medioevale), Tex Willer ha conquistato intere e diverse generazioni, tanto che a 75 anni dalla pubblicazione della prima striscia si può dire che ancora metta d’accordo nonni, padri, figli, nipoti.
Eppure i suoi primi passi non furono privi di ostacoli “politici”, che accomunarono le due “chiese dell’epoca”.
Nel 1951 la futura presidente della Camera, la comunista Nilde Iotti, in aperto scontro con Gianni Rodari, scrisse sulla rivista del Pci Rinascita: “la gioventù che si nutre di fumetti è una gioventù che non legge”, e concluse sostenendo come “decadenza, corruzione, delinquenza dei giovani e dilagare del fumetto sono dunque fatti collegati, ma non come l’effetto e la causa, bensì come manifestazioni diverse di un’unica realtà”.
Analogamente l’allora segretario della Federazione giovanile comunista Enrico Berlinguer considerava i fumetti un genere “cattivo in sé“, creato in America per proporre valori e stili di vita tipici del capitalismo, per narcotizzare le menti, allontanarli dalla lettura seria e impedire ai giovani di pensare: “La borghesia italiana vorrebbe che i giovani italiani fossero educati come i giovani americani, secondo le concezioni dell’americanismo“.
Un’opinione condivisa dalla Chiesa, che bollava fumetti e fotoromanzi come “prodotti da sradicare perché diseducativi nei confronti dei giovani”; posizione di conseguenza condivisa dai democristiani.
Tanto che, sempre nel ’51, due deputati Dc, Federici e Migliori, presentarono un progetto di legge che prevedeva un controllo preventivo sui fumetti. Opinione largamente diffusa nel mondo cattolico, tanto che il futuro presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro si dichiarò entusiasta di quel progetto di legge, approvato dalla Camera, e che si bloccò al Senato solo per la fine della legislatura.
Per evitare queste ingerenze preventive, il creatore di Tex, Gianluigi Bonelli, creò una sua commissione di autocensura con tanto di marchio sugli albi: “M.G., Garanzia Morale”.
E a seguito di queste “attenzioni” della politica, nelle ristampe dei primi albi il termine “scagnozzi” divenne l’innocuo “uomini”, le gonnelline delle belle e giovani squaw si allungarono fino alle ginocchia, le pistole impugnate dalle donne sparirono, e quando Tex era troppo sbrigativo nello stendere i cattivi di turno doveva limitarsi a far saltare le pistole dalle mani.
Altri tempi rispetto alla violenza che oggi impera in Tv, nei social, e persino nei giochi.
Sui motivi del grande e duraturo successo di Tex Willer sono stati scritti fiumi di inchiostro, ma io sono convinto che il segreto della longevità di questa saga western sia proprio quello di essere una raffigurazione potente e suggestiva, carica di richiami letterari, cinematografici e fumettistici, che colloca il personaggio di Tex Willer accanto ad altri miti dell’avventura come Ulisse e Sandokan, Sinbad il marinaio e Corto Maltese.
Difficile dire se Tex continuerà ancora per molti anni ad accompagnare i momenti liberi di giovani e meno giovani.
Ma chi come me, ed in Italia sono milioni, aspettava ogni settimana l’uscita del nuovo numero, credo (scusate la retorica che di solito non amo) voglia augurare a Tex Willer un “buon 75° compleanno”, continuando ad immaginarlo mentrebatte territori nuovi e inesplorati, alla ricerca di avventure sinora mai scritte, cavalcando nell’ignoto in sella a Dinamite, sempre in attesa di una sorpresa, di un agguato, di un pericolo, di un tesoro, delle urla dei Comanche o delle fucilate dei guerriglieri messicani”.
Umberto Baldo