Quell’anti-americanismo che non ci abbandona mai!
Guardando i video della manifestazione di sabato a Roma, convocata dalla Cgil di Landini, forse per i cento e più Enti e Organizzazioni presenti (l’intera galassia della sinistra ideologica e militante), a me più che un raduno promosso da un Sindacato è sembrato un qualcosa di molto simile a quella che nel 2002 fu chiamata la Piazza dei Girotondi.
La mia sensazione, nonostante le enfatizzazioni “landiniane”, è che più che una prova di forza si sia trattato dell’ennesimo tentativo della Cgil di ritrovare una visibilità politica sempre più appannata, in cui le reiterate minacce di “sciopero generale” (poco condivise da Cisl e Uil) sembrano rispondere al cartesiano “Sciopero ergo sum”.
Qualche osservatore pensa, maliziosamente, che la manifestazione possa essere letta come una tappa del tentativo di Landini di imporsi quale vero leader di tutta la sinistra italica (la vastità delle tematiche proposte come obiettivi, compresa la pace nel mondo, starebbero a confermarlo)
Ma al di là di tutte le analisi, di tutte le interpretazioni, di cui magari parleremo in un altro momento, confesso che quello che mi ha colpito sono gli ennesimi slogan anti Nato ed anti Usa levatisi da certi settori del corteo.
Le urla “Fuori la Nato dall’Italia” e “Fuori l’Italia dalla Nato” sono una costante cui dovrei essermi ormai assuefatto fin dagli anni ’70 quando si manifestava, forse con una qualche ragione, contro la guerra del VietNam.
Ma a distanza di cinquant’anni quel mondo non esiste più, e quindi mi chiedo il perché l’odio contro l’America persista in molti italiani.
L’unica risposta è che l’antiamericanismo ha radici profonde, che vanno ricercate nella storia recente del nostro Paese.
E allora cerchiamo di individuarle, per quanto possibile.
Partendo inevitabilmente dall’osservazione che l’Italia fa parte dell’alleanza occidentale sin dal secondo Dopoguerra.
È stata tra i dodici Paesi fondatori della Nato (1949), e tra i sei Paesi fondatori della Ue (1957).
Un pedigree di tutto rispetto, che ci colloca inequivocabilmente dalla parte delle democrazie occidentali ed europee.
Ma non va dimenticato che quelle scelte furono compiute (con estrema lungimiranza secondo me) da alcuni suoi leader, Alcide de Gasperi in primis, contro le idee di una parte del Paese che avrebbe preferito altre opzioni.
Se era in piena Guerra Fredda, e la sinistra comunista-socialista aveva sviluppato una forte avversione nei confronti degli Stati Uniti, in quanto “nemici” del “sole dell’avvenire” rappresentato dall’Unione Sovietica.
Nessuna considerazione del fatto che per ben due volte gli Usa avevano mandato i loro ragazzi a morire in un’Europa devastata da due guerre mondiali, nessun riconoscimento al fatto che quei ragazzi sono caduti a migliaia per liberare l’Italia finita sotto il ferreo controllo degli aguzzini nazisti; per la sinistra l’America rappresentava il capitalismo imperialista che l’Urss combatteva per sostituirlo con la socializzazione dei mezzi di produzione e con l’avvento della società comunista (si è poi visto che razza di prigione collettiva fosse quella società).
A onor del vero l’antiamericanismo non è una prerogativa solo della “gauche”, perché anche la destra non amava gli Usa, non solo perché avevano contribuito a sconfiggere il fascismo ed il nazismo, regimi in cui si riconosceva, ma anche perché l’America dei “Bill of Rights, della separazione dei poteri, non era esattamente il modello cui tendeva la “droite”.
A volerla dire tutta neppure la Chiesa cattolica, anche nella fase anticomunista, era in perfetta sintonia con gli Stati Uniti.
E ciò perché gli Usa rappresentavano un Paese protestante per eccellenza, ma di un protestantesimo così partecipato dalla popolazione che confliggeva con la secolarizzazione in atto nell’Europa cattolica.
Sono disposto ad ammettere che gli Stati Uniti nella fase della guerra fredda avevano assunto il ruolo di “gendarme del mondo”, e si arrogavano il diritto di intervenire anche militarmente ovunque fossero a rischio i propri interessi.
E sicuramente errori le leadership americane ne hanno commessi, e la democrazia Usa sta ora vivendo una fase piuttosto problematica.
Ma è dal 1989 che il muro di Berlino è caduto, che il ”sole” dell’Unione Sovietica è ormai tramontato.
Ovviamente anche l’America è cambiata. Al progressismo protestante delle origini si è contrapposto il fondamentalismo religioso, di cui Trump è l’ espressione più visibile, e che ha finito per coinvolgere anche il mondo cattolico.
Come accennato, anche a causa dei suoi errori in politica estera (come l’invasione dell’Iraq nel 2003), progressivamente l’America non è stata più in grado di garantire l’ordine internazionale emerso dopo la Guerra Fredda.
Di conseguenza i regimi autoritari si sono rafforzati (come la Cina, formalmente comunista) oppure sono divenuti più aggressivi (la Russia), così come si sono diffuse le organizzazioni terroristiche (in Africa in particolare) e i populismi cesaristici (in America Latina).
Queste trasformazioni, questi nuovi assetti geopolitici, questo nuovo “policentrismo” imperiale, avrebbero dovuto rimettere in discussione lo stesso concetto di antiamericanismo.
In realtà, di fronte a certi slogan della manifestazione romana, ci si rende conto che nulla è cambiato quanto al “sentire” di certa sinistra.
Certo gli slogan sono di solito contro la Nato, ma in questi ambienti Nato equivale ad America.
E questo antiamericanismo non riesce a vedere, e a comprendere, che l’America e l’Europa sono ormai divenute sempre più interdipendenti, economicamente ma anche politicamente e culturalmente.
E soprattutto non vuole capire che la convergenza che tiene attualmente unita la Nato non è di tipo ideologico, bensì dettata dall’esigenza vitale di contrastare l’aggressività di Putin, e che spetterà soprattutto all’Europa sostenere l’Alleanza, anche contro le tentazioni “neo-isolazionistiche” di stampo trumpiano.
Non va poi dimenticata la “galassia pacifista”, perché dietro molti “costruttori di pace”, le cui parole d’ordine sembrano occuparsi di tutto meno che dell’attuale tragedia del popolo ucraino, riemerge il fiume impetuoso dell’antiamericanismo.
Il massimo dell’ipocrisia a mio avviso si ravvisa nello slogan “No Putin, no Nato”, gridato spesso nei cortei da una forte componente cattolica, e dai battaglioni di rincalzo forniti dalla galassia Arci, Acli, Legambiente, Sinistra italiana, Potere al popolo, e dai variegati “gruppi studenteschi di alternativa (il mondo cui fa riferimento Elly Schlein).
A volte mi chiedo se questi pacifisti siano stati sfiorati dall’idea che sono stati i Paesi dell’Est-europeo, già oppressi dai sovietici e oggi retti da governi legittimi, a chiedere insistentemente di entrare nell’Unione europea e nella Nato, come lo hanno fatto di recente Paesi tradizionalmente neutrali come Svezia e Finlandia
Ma sembra che la volontà dei popoli sia del tutto indifferente ai paladini del pacifismo in salsa italica.
Pacifismo che si concretizza in sillogismi del genere: Putin invade l’Ucraina? È colpa dell’Ucraina, dell’Europa e della Nato. Hamas assalta Israele? È colpa di Israele e degli Stati Uniti. Un giorno -chissà- alla Corea del Nord salterà in testa di lanciare missili su Tokyo? Sarà colpa del Giappone. E se l’Iran insieme alla Siria volesse colpire l’Arabia saudita? Sarebbe colpa di Riad e dei suoi amici americani e occidentali.
Di fatto i mostri interiori che ispirano queste prese di posizione sono tre: l’antiamericanismo, l’antisemitismo e, più in generale, l’odio contro quell’Occidente che consente a questi “maitre a penser” di vivere e pensare liberamente, e prosperare economicamente.
Concludendo, avevo sperato che la fine della Guerra fredda, seguita dall’affermarsi del mondo multipolare, avrebbe calmato l’hybris antiamericana così diffusa anche tra intellettuali, giornalisti, magistrati e leader d’opinione di diversi colori.
Purtroppo non è così, e quel filone che definirei come la “pax antiamericana”, quel pacifismo declinato solo contro gli Stati Uniti, pronto a giustificare le nefandezze di chiunque si dichiari contro l’Alleanza Atlantica, continuerà ad accompagnarci anche nel futuro.
Umberto Baldo