10 Ottobre 2023 - 8.39

Israele e Hamas: il Medio Oriente brucia!  

E’ normale cercare di trovare qualche similitudine fra quello che succede oggi e quanto successo in passato.

Così non stupisce che, di fronte alla “mattanza” messa in atto da Hamas nel sud di Israele, la mente torni al 1973, quando gli eserciti di Egitto e Siria attaccarono lo stato ebraico in quella che passò alla storia come la “guerra dello Yom Kippur”, o anche agli attacchi dell’11 settembre 2001 che colpirono le Torri Gemelle del World Trade Center di New York, e addirittura il Pentagono.

Come dicevo, i paragoni sono sempre suggestivi, e indubbiamente nella guerra iniziata sabato scorso ci sono elementi che ricordano gli avvenimenti sopra citati.

Ma pur essendo convinto che la storia possa sempre impartirci qualche utile insegnamento, non va sottaciuto che la politica, unitamente alla geo-politica, è un continuo divenire, e questo ci obbliga a guardare i fatti con gli occhi del presente.

Per le cronache belliche, fatte di morti, di attacchi, di offensive, di rastrellamenti, di violenze gratuite ed inaccettabili contro civili inermi, vi rimando ai mezzi di informazione, Tv e social media in primis, perché sono i soli ad essere in grado di fornire aggiornamenti in tempo reale.

Qui credo si possa cercare di sviluppare qualche ragionamento, qualche riflessione, sulle cause che hanno portato a questa situazione.

E credo che per questo ci si debba concentrare principalmente su Israele, perché gli obiettivi di Hamas (che non va mai dimenticato che per l’Onu è una Organizzazione terroristica) sono noti da sempre: assicurare la propria egemonia nel movimento nazionale palestinese, liberare i propri uomini dalle prigioni israeliane scambiando ostaggi, ed in questa fase impedire che la difficile situazione della Palestina venga abbandonata dai “fratelli arabi” nella loro fretta di normalizzare le relazioni con gli ebrei.

Per quanto attiene lo Stato ebraico ho sempre pensato che la magia politica distruttiva del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che lo ha mantenuto al potere per 15 anni, correva il rischio di finire in una grave tragedia.

Un anno fa “Bibi” ha formato il governo più radicale e incompetente della storia di Israele, alleandosi con i due partiti ultraortodossi Shass e Ebraismo della Torah Unito, e le tre formazioni di estrema destra Sionismo Religioso, Forza Ebraica e Noam, tutti caratterizzati dal loro estremismo radicale.

“Non preoccupatevi” – ha assicurato ai suoi critici – “ho due mani salde sul volante”.

Ma escludendo qualsiasi processo politico in Palestina, e arrivando ad affermare nelle linee guida vincolanti del suo governo che “il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e inalienabile su tutte le parti della Terra di Israele”, il fanatico governo di Netanyahu ha quasi reso inevitabile l’attuale spargimento di sangue.

Se vi fosse già affiorato il dubbio che io nutra sentimenti anti-israeliani, vi assicuro che siete del tutto fuori strada; ho militato fin da giovanissimo nell’unico Partito italiano dichiaratamente ed incondizionatamente a favore di Israele, il Pri.

Ed è proprio per questo mio passato che mi sento quasi autorizzato ad affermare che se la strategia terroristica di Hamas non trova giustificazioni di alcun genere, e deve essere contrastata con ogni mezzo disponibile colpendone in ogni angolo del pianeta vertici politici ed operativi, questo non significa che tutti dobbiamo portare il cervello all’ammasso, perdendo così ogni capacità di analizzare il più lucidamente possibile le gravi difficoltà in cui si dibatte Israele a causa delle proprie classi dirigenti.

Si tratta di problemi politici, militari ed economici.

Partendo dalla politica, è indubbio che il sistema istituzionale israeliano stia vivendo da qualche anno una deriva spaventosa.

Certo il sistema elettorale, il proporzionale puro, non aiuta ad avere governi stabili, così come la mancanza di una Costituzione.

Ma se a questo si aggiunge una continua faida di partiti e correnti che dividono in modo feroce nuovi e vecchi sostenitori di Benjamin Netanyahu da nuovi e vecchi oppositori dello stesso Primo ministro, in un balletto di alleanze parlamentari in cui le componenti più radicali finiscono per prevalere quasi sempre, portando, tra l’altro, a risultati grotteschi; e se si cerca di imporre quasi “manu militari” una controversa riforma in materia di giustizia, spaccando a metà il Paese addirittura in tema di difesa della democrazia, così determinando uno scontro frontale con l’esercito, poi non ci deve stupire se tutto ciò si trasforma inevitabilmente in debolezza e vulnerabilità dell’apparato statale.

Per non dire che l’estremismo religioso combinato con l’estremismo nazionalista rischia di porre fine all’unico esperimento di democrazia in un’area del mondo che conosce da sempre solo autocrazie e teocrazie.

I tagliagole di Hamas, o meglio i loro burattinai che stanno a Teheran, tutto questo lo hanno capito, e poiché la storia non perdona, eccoci inevitabilmente ai fatti di questi giorni.

Arrivando all’apparato difensivo, l’attacco dimostra che l’intelligence israeliana, il mitico Mossad, era del tutto ignara delle intenzioni di Hamas.

La “nazione startup”, le cui sofisticate unità informatiche sono in grado di rilevare il movimento di una foglia su un albero in una base iraniana in Siria, era del tutto all’oscuro dell’attacco imminente.

L’ossessione di Israele per un possibile attacco nucleare dell’Iran, e l’attenzione dei suoi servizi di sicurezza interna sulla Cisgiordania occupata, spiegano in parte questa débacle.

Il muro sotterraneo di sensori e cemento armato che Israele ha costruito attorno all’enclave di Gaza avrebbe dovuto bloccare i tunnel attraverso i quali Hamas aveva tentato anche in passato di penetrare nei villaggi israeliani di confine.

Non è servito a nulla: le milizie palestinesi hanno “semplicemente” preso d’assalto le recinzioni in superficie.

Tanto per capirci, questi hanno attaccato con i furgoni e con le moto postazioni fra l’altro sguarnite per lo shabbat!

Se non fosse vero, potrebbe sembrare quasi una barzelletta.

In definitiva i sistemi di difesa aria-terra-mare, pur nella loro storica preparazione e dotazione tecnologica, si sono dimostrati clamorosamente insufficienti ed inefficaci, fornendo così un sostanziale incoraggiamento ad azioni future ancor più aggressive.

Infine ci sono le problematiche socio economiche e geo politiche.

Partendo da queste ultime, è evidente che gli equilibri del Medio Oriente e del mondo arabo non sono più quelli del 1973.

Certo nel tempo si sono trovati accordi di pace sia con l’Egitto che con la Giordania, ma nel 1973 non c’era ancora la Repubblica Islamica dell’Iran, vero elemento destabilizzante dell’area, con la contrapposizione fra sciiti e sunniti, e con la volontà iraniana di assumere un ruolo egemone in quello scacchiere, e questo spiega l’instabilità in Iraq, il sostegno a Hezbollah in Libano, a Bashar al-Assad in Siria, agli Houthi in Yemen, a Putin, e ora ad Hamas.

Ma è soprattutto la società medio-orientale che è cambiata.

Le economie del Golfo, e più in generale del mondo islamico, in questi ultimi decenni sono cresciute in modo esponenziale, anche se in modo non omogeneo, e ciò rende Israele con i suoi 9,5 milioni di abitanti e i suoi 500 miliardi di dollari di PIL una media potenza dell’area (il PIL dell’Arabia Saudita supera i 1.000 miliardi, pur dipendendo in larga misura dal petrolio, e quello della Turchia supera i 2.000 miliardi).

Se si combina tutto ciò con gli andamenti demografici, nettamente sbilanciati a favore dei Paesi arabi, si capisce perfettamente che la risposta in termini di confronto militare non può essere la soluzione.

Detta brutalmente: hai voglia ad ammazzare miliziani di Hamas, perché ce ne saranno sempre di nuovi a prendere il loro posto!

Tutti questi fattori dovrebbero rendere consci gli israeliani che la questione palestinese non può essere risolta solo da Israele, perché prima o poi inevitabilmente si arriverebbe alle atomiche.

C’è da augurarsi quindi che a questa fase in cui è comprensibile che le trombe israeliane gridino vendetta, quando le armi taceranno (con o senza la distruzione di Hamas) nella società e nella classe politica ebraica segua un capitolo di autoanalisi ed introspezione.

E’ chiaro che fare previsioni su come andrà a finire è oggi puramente velleitario.

Chiudo con una osservazione per me amara, e a dirvi la verità anche preoccupante, perché dimostra che il ventre molle dell’Europa si annida nei quartieri a forte immigrazione araba delle nostre città.

E così si sono visti video di un campo migranti in Grecia, rimbalzati sulla rete, che mostravano palestinesi e altri richiedenti asilo che esultavano in risposta agli attacchi terroristici di Hamas in Israele.

Nel centro di Londra giravano invece auto in cui si vedevano persone che sventolavano bandiere palestinesi da ogni finestrino, e suonavano i clacson.

Analogamente a Vienna decine di giovani sono scesi in piazza celebrando gli attacchi contro Israele sventolando le bandiere della Palestina.

Ma la cosa più grave è successa a Berlino nel multietnico quartiere di Neukölln, dove già nel pomeriggio di sabato membri dell’organizzazione Samidoun hanno distribuito dolciumi sul viale Sonnenallee, come detto da loro per “celebrare la vittoria della resistenza”. Su Instagram è poi apparsa la firma del gruppo: “Lunga vita alla resistenza del popolo palestinese”.

Ho parlato di scene preoccupanti, perché c’è sempre il rischio che questi ragazzi possano diventare un domani i nuovi “martiri” della Jihad coi quali fare in conti.

Umberto Baldo

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