Quella certa voglia di nobiltà
La XIV Disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana recita: ”I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922, valgono come parte del nome. L’Ordine mauriziano è conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge”.
Non credo serva dilungarsi in interpretazioni: il testo è chiaro e dice semplicemente che i titoli nobiliari non solo non sono più riconosciuti, ma che essi non attribuiscono alcun diritto e, più ampiamente, non conservano alcuna rilevanza giuridica o istituzionale.
Nonostante tutto la nobiltà è uno status che affascina ancora molto gli italiani (fra le popolazioni più sensibili al riguardo), tanto che si stima che ogni anno circa 20mila nostri connazionali siano disposti ad investire somme anche considerevoli pur di avere l’illusione, perché di questo si tratta, di trasformarsi d’incanto in principe, duca, marchese, conte, visconte, barone, patrizio o cavaliere.
Insomma pur sapendo che un titolo nobiliare non vale più un’acca, c’è chi cerca di acquisirne uno finto, finendo così per alimentare un ricco mercato internazionale.
Già perché da sempre per ogni gonzo c’è sempre qualcuno disposto ad approfittarne per spillare quattrini.
Fatalmente parlando di nobiltà la mente corre alla mitica “Contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare” dei film di Fantozzi, o al “Barone del biscotto” titolo con cui, ne Il Gattopardo, il losco plebeo arricchito Don Calogero Sedara cerca di occultare le proprie umili origini.
In qualche caso il tema riesce anche a conquistare le cronache dei giornali, come successo di recente con le accuse ed i sospetti sulle regali origini di “Sua altezza reale imperiale” Dimitri Kunz principe di Asburgo-Lorena, compagno del Ministro del Turismo Daniela Santanchè.
Già perché “il principe” parrebbe sconosciuto ai 516 membri “ufficiali” della Casa d’Asburgo Lorena (come più volte dagli stessi segnalato sui social, per di più specificando di aver inoltrato all’interessato varie diffide per vie legali).
La vicenda di “Dimitri Miesko Leopoldo Kunz d’Asburgo Lorena Piast Bielitz Bielice Belluno Spalla Rasponi Spinelli Romano”, questo il nome registrato all’Anagrafe di San Marino dal padre del Signor Kunz, è piuttosto intricata, e se siete interessati potete soddisfare ogni vostra curiosità in Rete (ne ha parlato anche la nota trasmissione della Rai Report)
Ma chi subisce la fascinazione di un titolo nobiliare cosa può fare per soddisfarla?
Non gli resta che avventurarsi nel tortuoso sentiero del Web, scandagliando fra numerosi siti esteri alla ricerca del prezzo migliore, schivando truffe, sperando che a titolo acquisito il prossimo non si curi poi molto del fatto che la pergamena attestante la presunta nobiltà abbia in realtà lo stesso valore di un pezzo di carta igienica.
L’offerta in Rete è piuttosto ampia.
Ad esempio la Scozia al modico costo di 39,90 euro vi consente di fregiarvi del titolo di “Laird”, equivalente al britannico Lord.
Il giochino è molto semplice, ed anche perfettamente legale, e si basa sul fatto che per diventare nobili basta essere proprietario di un pezzo di terra in Scozia.
L’affaire è partito dal 2006, quando l’azienda scozzese Highland Titles ha lanciato la possibilità di acquistare on line un pezzo di terra (di solito un metro quadro) nella Riserva Naturale di Glencoe, ottenendo immediatamente il titolo desiderato tramite un atto certificato inviato dalla società stessa.
Come in ogni autentico sogno nobiliare, il terreno può persino essere ereditato, e il titolo trasmesso di generazione in generazione. È persino possibile visitare la proprietà, piantare alberi e bandierine, ma non è consentito costruire su di essa.
Sempre dietro acquisto di un appezzamento di terreno, nel Regno Unito si può comprare il titolo di Lord of the Manor (senza diritto di blasone) per circa 1500 sterline.
In Germania, invece, alcuni nobili propongono l’adozione (a pagamento) per ottenere la “cognomizzazione” del titolo: anche in questo caso però, si ottiene soltanto il cambiamento di nome.
Sembra che il “mercato della nobiltà” non conosca crisi, ed oltre ai classici titoli nobiliari la “vendita” si estende anche alle onorificenze cavalleresche (fra le più gettonate quella dei cavalieri di Malta, seguita da quella dei Templari che, pur non esistendo più da secoli, continua ad esercitare un grande fascino nell’immaginario collettivo).
Per non parlare dell’affaire delle ricerche genealogiche ed araldiche, finalizzate ad individuare e recuperare lo stemma di famiglia.
Al riguardo sono scoppiato a ridere quando ho letto in un sito che effettua dette ricerche che “…cercare di trovare lo stemma di famiglia, anche nel caso non facciate parte di famiglie nobili, infatti gli stemmi non erano solo appannaggio dei nobili ma di tutti coloro che volevano adottarne uno….”
Che a mio avviso è un modo elegante per dire: “Non preoccuparti, se anche i tuoi avi facevano i pecorai noi un bello stemma di famiglia da appendere in salotto o da mettere sulla carta da lettere te lo troviamo”. Tutto ovviamente dietro compenso.
Ma la fantasia in questo campo non ha limiti.
E così gli aspiranti nobili ricorrono spesso anche a piccoli trucchi.
C’è ad esempio chi adotta il doppio cognome, aggiungendo quello materno, perché fa ancora un certo effetto (in questo caso basta un’istanza al Prefetto).
E chi invece sfrutta il cognome che inizia con “De”, staccandolo e adottando la minuscola, in modo che il “de, di, degli” davanti al cognome (impropriamente definito particella nobiliare) conferisca i famosi quarti di nobiltà.
Ma se per caso la vostra famiglia ha veramente una lunga storia (documentabile eh!) alle spalle, va detto che la Costituzione consente l’utilizzo del predicato nobiliare dopo il proprio cognome, a determinate condizioni.
Il predicato nobiliare in estrema sintesi non è altro che la località geografica (l’antico feudo o possedimento) su cui i vecchi nobili avevano autorità.
Esso si aggiunge al cognome preceduto dalla proposizione «di»: ad esempio, Umberto Baldo diventerebbe Umberto Baldo di Cavour.
Il predicato nobiliare può quindi essere aggiunto al cognome (cosiddetta «cognomizzazione» del predicato stesso) solo se si dimostra che esso esisteva prima del 28 ottobre 1922 (giorno della marcia su Roma): in questo caso, il predicato diventa parte del nome, ma non ha comunque alcun valore giuridico.
A tale riguardo la Corte Costituzionale ha precisato che la cognomizzazione dei predicati è possibile solo se questi ultimi siano già stati riconosciuti come esistenti nel precedente ordinamento monarchico. Quindi non si tratta di un diritto ad assumere il titolo nobiliare (che con la Costituzione è decaduto), ma di una semplice aggiunta al nome basata sul fatto che il predicato era stato già riconosciuto sotto la monarchia.
Sia chiaro che non basta una domanda, in quanto si tratta di un procedimento avanti all’Autorità giudiziaria, mirato appunto ad accertare e provare che il predicato fosse già esistente nel precedente regime monarchico.
Visto che siamo in Veneto ritengo opportuno specificare che le due lettere “N.H” che talvolta leggiamo su un biglietto da visita, o più spesso su un necrologio, significa “Nobil Homo”.
Detto appellativo, derivante dal veneziano arcaico “nobilhomo”, nell’antica Repubblica di Venezia identificava i Patrizi, cioè i membri della classe nobiliare al governo dello Stato, detentori della sovranità dello Stato veneziano, parificati nella gerarchia nobiliare ai Principi del sangue (così nell’art. 39 dell’ultimo Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano, approvato con il R.D. 7 giugno 1943 n. 651, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno del 24 luglio 1943, n. 170).
Questa abbreviazione è quindi una vera e propria “qualifica nobiliare”: è cioè un’espressione d’onore connessa al godimento di un titolo nobiliare, in particolare al godimento del titolo di «Patrizio veneto».
Concludendo si può dire che secondo il nostro ordinamento diventare nobile è legalmente e praticamente impossibile, in quanto i titoli nobiliari non possono essere né comprati né venduti, ma solo ereditati per discendenza, e oltre a tutto non possono essere inclusi nei documenti d’identità.
Ma se siete presi dalla voglia incontenibile di diventare conte, marchese o cavaliere, e non vi interessano i sorrisi di scherno che inevitabilmente vi accompagneranno quando esibirete il titolo acquisito, allora perché non osare?
In fondo diventare un “Serbelloni Mazzanti vien dal Mare” o un “del Biscotto” non ha prezzo (nel vero senso dell’espressione)!
Umberto Baldo