15 Ottobre 2023 - 10.03

Scommesse sul calcio e ludopatia, quando lo Stato è il primo responsabile

Calcioscommesse e le “tasse sul peccato”

Umberto Baldo

Sicuramente non deve essere stata una scena memorabile vedere la polizia entrare nel ritiro della Nazionale Azzurra a Coverciano per notificare avvisi di garanzia e sequestrare i cellulari di due calciatori alla vigilia di una partita importante per la qualificazione agli europei.
Ed infatti molti commentatori hanno storto il naso, parlando fra le righe di “giustizia spettacolo”, chiedendosi se fosse davvero necessario scegliere una procedura così visibile e mediatica.
Si legge sui quotidiani che gli inquirenti hanno accelerato le attività investigative in quanto nel corso della giornata di ieri Fabrizio Corona aveva diffuso la notizia delle indagini, e si temeva ci potesse essere un inquinamento delle prove.
Debbo confessarvi che la fonte, la “talpa” per usare i termini del gergo poliziesco, è di quelle che mi auguro siano ben pesate e vagliate da chi guida le indagini.
Dati i suoi precedenti non è infatti che il “pulpito” da cui partono le accuse sia di quelli che ispirano la massima fiducia.
Ma è anche vero che se gli inquirenti gli hanno creduto, devono aver trovato sicuramente riscontro alle accuse.
Guardate, per mia scelta personale non farò i nomi dei calciatori entrati nel tritacarne mediatico-giudiziario, né quello delle squadre di appartenenza, anche se non posso non chiedermi quale demone spinga dei ragazzi baciati dalla fortuna a mettere in gioco la loro vita, non solo sportiva, per il gioco d’azzardo.
Quel che è ormai chiaro è che l’inchiesta avviata dalla Procura di Torino su possibili giri di scommesse illegali da parte di giocatori di Serie A (si parla del coinvolgimento di almeno altri 10 calciatori, 5-6 procuratori e ci sarebbero pure le bische clandestine) potrebbe allargarsi e coinvolgere decine di professionisti.
Ed è altrettanto evidente che il fenomeno potrebbe quindi essere molto più esteso (qualcuno ipotizza almeno 30 giocatori e 5 società), e quindi è giusto a mio avviso che gli inquirenti puntino ad appurare anche se in qualche modo possa essere stato alterato il regolare svolgimento delle competizioni calcistiche.
Resta il fatto inquietante che periodicamente il problema delle scommesse deflagri nell’ambiente del calcio professionistico.
Certo alle inchieste seguiranno i processi dei giudici penali, e poi anche di quelli sportivi (ben più temibili per i calciatori), ma se le accuse dovessero essere confermate credo non ci si possa non porre il problema delle ricadute sociali di una vicenda del genere, in particolare dell’impatto che potrebbe avere sui nostri ragazzi.
Perché è inutile girarci attorno; il calcio è un fenomeno sociale, ed un calciatore di successo oltre che essere l’idolo delle curve rappresenta un modello di riferimento per le giovani generazioni.
Perché evidenzierebbe in modo inequivocabile che stare bene economicamente non vuol dire automaticamente star bene moralmente.
Ma la vicenda delle puntate di quattro calciatori milionari, come accennavo, baciati dalla fortuna non deve a mio avviso farci perdere di vista un problema generale, vale a dire che l’Italia è uno dei primi Paesi al mondo per i giochi d’azzardo, ed addirittura sarebbe il primo in assoluto per i giochi on line.
Già perché oggi chiunque sia dotato di un computer, di un cellulare o di un tablet, e abbia una connessione ad internet, una carta di credito e la maggiore età (ma attenzione per attestare quest’ultima è sufficiente l’autocertificazione) può giocare on line.
Ciò significa che qualsiasi minorenne può accedere a questo tipo di giochi, dichiarando di avere diciotto anni.
Che il gioco rappresenti un problema sociale non occorre leggerlo sui libri.
Basta entrare in una qualsiasi tabaccheria “attrezzata” e guardarsi attorno.
Persone a destra e a manca, spesso anche pensionati, intenti compulsivamente a grattare la fortuna, le slot machine che suonano, chi fa la fila per il lotto, chi per il Superenalotto.
Insomma una visione che fa venire in mente una “Las Vegas dei poveri”.
A guardare bene c’è un po’ di tutto, e nei paesi ci si conosce un po’ tutti.
C’è la signora che ha cominciato a giocare quando è rimasta vedova, c’è la persona distinta che lavora per la Pubblica Amministrazione, ma soprattutto c’è un universo di persone, spesso pensionati, che affidano le loro speranze di un futuro migliore, senza ristrettezze economiche, a dei numeri da giocare su una ruota o a dei tagliandi da grattare.
E spesso si tratta di un crescendo, nel senso che all’inizio giochi per vincere, poi giochi per recuperare, e alla fine giochi per giocare, perché non puoi fare più a meno, perché è diventata una malattia.
Ma alla fine della fiera, meglio alla fine dei giochi, c’è sempre solo un vincitore: lo Stato.
Il quale si comporta seconda questa regola che i professionisti del poker conoscono bene: “La pecora si uccide una volta sola, ma la si tosa all’infinito”.
E per tosarla bisogna ogni tanto farle annusare il profumo della vittoria di una mano.
E’ quello che fa lo “Stato biscazziere”, illudendo i giocatori sulla possibilità di vincite stratosferiche, ma incassando costantemente bei soldi da ogni puntata dei giocatori.
Per avere un’idea del “giro d’affari” dello Stato nel settore dei giochi basti dire che nel 2021 le tasse su questo settore hanno rappresentato il 2,4% del totale della spesa per consumi finali della Pubblica Amministrazione.
Gli incassi dalle imposte derivanti dal gioco legale sono stati cioè pari a 8 miliardi e 413 milioni di euro, una cifra simile a quanto previsto nel Pnrr per investimenti di ammodernamento della rete ospedaliera e dei presidi territoriali. Ma non solo: con un importo pari a quello della tassazione sul gioco sarebbe possibile costruire 35 nuovi ospedali, con una capienza di circa 16mila posti letto, o realizzare 2.050 interventi di edilizia scolastica per la costruzione di nuovi edifici in grado di ospitare 65 mila studenti.
Vedete, i proventi del gioco d’azzardo sono spesso accomunati ad altre forme di “tasse sul peccato”, nel senso che vengono giustificati dicendo “siccome la gente giocherebbe comunque, molto meglio che lo Stato gestisca la rete legale dei giochi piuttosto che lasciare campo libero all’illegalità”.
Il che ha una sua logica, se non che la differenza ad esempio rispetto alle tasse sulle sigarette, sta nel fatto che lo Stato non tassa il gioco per scoraggiarlo, bensì lo promuove e lo incoraggia per incassare sempre di più.
Si tratta come vedete di un equilibrio piuttosto delicato.
Perché come una medaglia il gioco ha due facce: da un lato costituisce un pilastro fondamentale del finanziamento dello Stato italiano, e le risorse generate alimentano diversi settori vitali dell’economia, compresi l’istruzione, la sanità e i servizi sociali; ma dall’altro la dipendenza dal gioco, i problemi finanziari e le conseguenze psicologiche delle persone (ludopatie) sono realtà innegabili di cui la collettività dovrebbe in qualche modo farsi carico.
Tanto per dire, il nostro Veneto è la terza regione in Italia per quantità di denaro giocata alle cosiddette ‘macchinette’ (AWP) e alle videolottery. Nel 2017 il volume delle giocate complessive nel territorio regionale ha superato i 6,1 miliardi di euro, di cui tre quarti nelle slot, con una spesa pro capite (compresi centenari e neonati) di 1.244 euro.
Con questi ragionamenti non vorrei avervi dato l’impressione di voler in qualche modo minimizzare o addirittura giustificare eventuali comportamenti illegali dei calciatori coinvolti nell’inchiesta in corso.
Se hanno sbagliato è sacrosanto che paghino, soprattutto se avessero scommesso sulle partite di calcio.
Quindi niente sconti per nessuno.
Ma almeno non facciamo gli ipocriti, facendo finta di dimenticare che sulle ludopatie lo “Stato biscazziere” incassa miliardi di euro.
Umberto Baldo

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