16 Ottobre 2023 - 9.08

L’ecumenismo dell’odio

La politica, e la geo-politica in particolare, spesso è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma (così parafrasando la definizione di Winston Churchill relativa alla Russia), nel senso che non sempre è facile comprendere appieno le cause, i moventi, che  stanno alla base delle decisioni e dei comportamenti degli Stati, o di certi Movimenti politici. 

In Europa, almeno fino al 1500 le motivazioni che determinavano i conflitti erano quasi esclusivamente basate sulla volontà di ampliare il proprio territorio, o su dispute di tipo dinastico (guerre di successione).

Dal 1500 nelle vicende europee si inserì la componente religiosa, rappresentata dalla Riforma Protestante (Luteranesimo e Calvinismo), che spaccò a metà la Chiesa cattolica che fino ad allora coincideva di fatto con il mondo cristiano, e diede vita alle cosiddette “guerre di religione”, caratterizzate da scontri armati, trame politiche, lotte di potere,  e soprattutto massacri e distruzioni che insanguinarono Francia, Spagna, Inghilterra e Paesi Bassi.

Non a caso parlo di “componente religiosa”, perché l’adesione al protestantesimo spesso per molti Principi dell’epoca fu solo il pretesto per affrancarsi dal dominio dell’Impero, tanto che la lotta finì con la Pace di Augusta del 1555, in cui si fissò il principio “cuius regio eius religio” (i sudditi seguano la religione del proprio governante). 

Fu sicuramente uno dei periodi più rovinosi e sanguinosi nella storia del nostro Continente, a conferma, a mio avviso, che ogni qual volta la religione si mischia con la politica, o viceversa, tutto diventa più difficile. 

Ho iniziato con questa premessa per rimarcare che se un periodo tutto sommato breve di lotte religiose, per quanto aspre, ha portato morte e distruzione nell’Europa del ‘500, pensate che il conflitto che oppone le due componenti fondamentali dell’Islam, Sciita e Sunnita,  risale a 1400 anni fa, e ancora perdura.

Badate bene che per quanto mi riguarda non si tratta di essere ateo o agnostico, o di considerare marxianamente la religione “l’oppio dei popoli”, bensì semplicemente di rilevare che  quando la religione si inserisce nelle vicende politiche, introducendo fatalmente il “trascendente”, finisce per irrigidire ed estremizzare le posizioni. 

In modo certamente approssimativo è comunque possibile paragonare la scissione tra sciiti  (dall’arabo Shi’atu Ali, ovvero “sostenitori di Ali”, genero di  Maometto) e sunniti (dall’arabo Ahl al-Sunnah che significa “il popolo delle tradizioni” di Maometto) alle divisioni tra protestanti, cattolici e ortodossi nel cristianesimo. 

I tre gruppi sono cristiani, ma hanno punti di vista differenti sull’autorità nella Chiesa, la teologia, i riti del culto e i santuari sacri. Cattolici e protestanti si vedono a volte gli uni gli altri come apostati, ma almeno i conflitti cruenti sono stati superati secoli or sono.

Come accennato le divergenze, per chiamarle così, fra sunniti e sciiti risalgono addirittura al successore di Maometto (632 d.C.): per gli sciiti a succedere al Profeta doveva essere Alì Ibn Abi Talib, suo cugino e marito della figlia Fatma, mentre per i sunniti è legittima la successione da parte dei primi tre califfi (Abu Bakr, Umar e Uthman) e la successiva vittoria delle dinastie Umayyade ed Abbaside.

Ali è diventato il quarto califfo (656 d.C.), il capo spirituale dei musulmani, ma è stato assassinato e suo figlio ucciso in battaglia, mettendo così fine alla successione diretta di Maometto. 

Per gli sciiti tutti i califfi dopo Ali sono falsi.

Ricorderete certamente che alcuni anni fa il capo dell’Isis Abu Bakr al Baghdadi si era autoproclamato “nuovo califfo”, e i suoi seguaci tagliagole lo indicavano come discendente della famiglia del Profeta, come “lo schiavo di Dio”, (forse in un tentativo di legittimarlo agli occhi degli sciiti, visto che lo Stato Islamico era di matrice sunnita).

Le due correnti musulmane sono presenti in numeri Paesi, e possono contare su numerosi centri caratterizzati dell’una e dell’altra sfera d’influenza. 

Così la Siria è a maggioranza sunnita, ma il regime del presidente Bashar al-Assad è alleato stretto dell’Iran dominato dagli sciiti (Assad stesso è alauita, un’altra piccola minoranza sciita). 

L’Iraq è a maggioranza sciita, ma il nord del paese conta numerosi sunniti, e lo Stato islamico a suo tempo vi ha fatto molte incursioni. 

Il confinante Iran è a maggioranza sciita, ma la vicinissima Arabia Saudita è a maggioranza sunnita. Yemen, Bahrein, Afghanistan, Pakistan e il Libano contano significative minoranze sciite.

Va detto che i sunniti sono la maggioranza, rappresentando circa l’85% della popolazione musulmana globale. 

Questa divisione dell’Islam, che per la maggioranza di noi occidentali è a mio avviso quasi incomprensibile, diventa ancora più pregnante se pensiamo che lo scenario in cui si svolge lo scontro fra mondo islamico ed Israele è la Palestina,   con epicentro Gerusalemme, punto d’incontro delle tre religioni che riconoscono in  Abramo il capostipite del monoteismo.

Gerusalemme assume così un’importanza ineguagliabile per moltissime persone in tutto il mondo, proprio per via del fatto che per le tre religioni principali, ebraismo, islam e cristianesimo, si tratta di una città sacra.

Avrete certamente capito che con queste riflessioni intendo farvi notare la rilevanza del sentimento religioso nella guerra in atto fra Hamas e Israele.

Sicuramente di motivazioni ce ne sono anche altre: storiche, politiche, economiche, sociali.

Sicuramente nella partita entrano come giocatori più o meno occulti  anche Stati sovrani, come ad esempio l’Iran che utilizza Hamas e Hezbollah come longa manus militare contro lo Stato ebraico, o la Russia che dalla guerra in Medio oriente spera derivi una minore attenzione americana e  occidentale verso la propria aggressione all’Ucraina.

Ma non possiamo dimenticare che a massacrare e decapitare bambini ebrei sono stati i terroristi di Hamas, ispirati dal loro credo, dal Corano, dalla guerra santa contro gli Infedeli.

Per rendersene conto basta leggere l’art. 8 dello statuto di Hamas, che recita: “Dio come scopo, il Profeta come capo, il Corano come costituzione, il Jihad come metodo, la morte e la gloria di Dio come più caro desiderio”.

Non occorre essere dei politologi per capire che con queste premesse ideologiche non sono la liberazione della Palestina e la costituzione di uno Stato palestinese i veri obiettivi strategici di Hamas, bensì espandere la visione fondamentalista islamica nel mondo, che fra gli obiettivi vede anche la distruzione dello Stato di Israele.  

Ecco perché Hamas ha imposto a Gaza un regime simile a quello  a suo tempo instaurato dall’Isis, e le similitudini con lo Stato Islamico continuano guardando ai metodi di lotta.

Li avevamo già visti gli sgozzamenti, le decapitazioni di bambini, le uccisioni di persone inermi ed innocenti perpetrate dagli uomini dell’Isis in tute arancione con le bandiere nere alle spalle, il tutto filmato e messo in Rete per seminare il terrore in noi occidentali e fare proselitismo fra i giovani musulmani che risiedono in Europa.

Quindi per certi versi è inutile, una perdita di tempo, cercare il pelo nell’uovo, le ragioni “recondite” dell’attacco di Hamas.

Perché si tratta semplicemente dell’ennesima Guerra Santa in nome dell’Islam.

E alla fine a pagarne le conseguenze peggiori non saranno i miliziani di Hamas, che la morte la mettono nel conto quando decidono di immolarsi alla Jihad, bensì la popolazione inerme di Gaza, quei due milioni di uomini, donne, bambini palestinesi, intrappolati e destinati dai terroristi a fare loro da scudi umani.

Per quanto mi riguarda spero che l’inevitabile “vendetta” sia gestita da Israele in modo tale da non inimicarsi ancora di più le masse arabe, e parimenti mi auguro che spariscano dalla storia gli attori di questa vicenda, i capi di Hamas, ma anche Bibi Netanyahu.

Rimane aperta l’incognita se la Guida della rivoluzione teocratica iraniana sciita, Ali Khamenei, e il suo braccio operativo per tutto il Levante arabo allargato, da Gaza a Baghdad, il capo di Hezbollah Hasan Nasrallah, decidano di intervenire nel conflitto in corso.  Gli inviti alla lotta rivolti a tutti i “musulmani” sono un segnale inquietante.

Spero prevalga la prudenza perché i rischi e le conseguenze di un allargamento del conflitto sarebbero inimmaginabili.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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