PILLOLA DI ECONOMIA: il campionato dei Paesi mediterranei
Quando nei mesi scorsi leggevo la nostra premier ed i suoi corifei della maggioranza vantare che la nostra crescita nel primo trimestre dell’anno era superiore a quella della Germania e della Francia, francamente mi veniva da ridere.
Non che non fosse vero intendiamoci, anche se parlavamo di decimali, ma è bastato aspettare solo qualche settimana per vedere che si trattava di una sorta di “congiunzione astrale favorevole” del tutto momentanea, ma che agli occhi dei nostri patrioti si trasformava in una suggestione di crescita da tigre asiatica (tanto per dire la crescita italica nel terzo trimestre è stata pari a zero).
Già, perché io sono da sempre convinto che confrontarsi con la Germania che, nonostante i problemi attuali, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) quest’anno sorpasserà il Giappone, diventando così la terza economia del mondo dopo Usa e Cina, è solo utile alla propaganda interna.
E’ chiaro che i cultori “deaa Naaazzziooone” preferiscono il raffronto con la crème de la crème dell’Europa, evitando così paragoni con economie i cui indicatori sono più assimilabili ai nostri.
Ma è evidente che, per essere seri e costruttivi, i confronti vanno fatti con Paesi che hanno caratteristiche analoghe a quelle dell’Italia, e non c’è dubbio al riguardo che la Spagna, Paese mediterraneo, rappresenti il nostro competitor ideale.
Lo so che ve ne ho parlato altre volte, ma non è colpa mia se nonostante noi siamo abituati a guardare al Paese iberico come ad un fratello minore, quasi con sufficienza, i dati economici dicono altre cose, e noi ne usciamo quasi sempre sconfitti.
Guardiamoli quindi questi dati, tratti da Fonti al di sopra di ogni sospetto, tenendo sempre presente che il Pil dell’Italia è superiore di circa un terzo rispetto a quello spagnolo, e che noi italiani siamo circa 60 milioni, a fronte dei 47 milioni di spagnoli.
Partiamo dall’andamento del Prodotto Interno Lordo (Pil) per gli anni 2023 e 2024.
Secondo la Commissione Europea l’Italia crescerà rispettivamente dello 0,9% e dello 0,8%; la Spagna del 2,2% e dell’1,9 per cento%.
Previsioni analoghe anche da parte del Fmi, secondo cui l’Italia dovrà accontentarsi in entrambi gli anni di un’espansione dell’economia di circa lo 0,7%, mentre Madrid ne vedrà una del 2,5% nel 2023 e dell’1,7% bel 2024.
Queste previsioni non coincidono con quelle del Governo italiano, ma sappiamo bene che tutti i nostri Demostene sono usi sovrastimare questo dato per avere qualche risorsa in più da spendere, a fini elettorali ovviamente.
D’altronde non è una novità; l’andamento dei due Pil, italiano e spagnolo, segue questa traiettoria fin dal lontano 1980, ed il risultato è che dal 2000 al 2024 il Pil italiano sarà cresciuto in termini costanti (al netto dell’inflazione) del 6,57 per cento, quello spagnolo del 41,95% (Fonte Fmi).
Se vi sembra poco! E questo nonostante la crisi finanziaria del 2008, e quella del Covid, abbiano pesato molto di più nell’economia spagnola rispetto alla nostra (in Spagna con la pandemia il Pil è crollato in doppia cifra).
Ma se restringiamo il confronto sul Pil agli ultimi 5 anni troviamo lo stesso andamento, nel senso che il rimbalzo spagnolo è stato molto più accentuato di quello italico, e nel 2024 si stima che l’economia spagnola sarà cresciuta del 4,13% rispetto al 2019, mentre in Italia la crescita per lo stesso periodo si fermerà al 2,35% (Fonte Fmi).
Ma altri dati vedono la Spagna avanti all’Italia: dalla crescita del Prodotto interno lordo per dipendente , che dal 2000 è aumentato in Spagna del 9,54%, mentre in Italia è addirittura diminuito del 5,22% (Fonte Ocse), alla proporzione di laureati tra chi è in età da lavoro, che nel Paese Iberico è maggiore rispetto sia all’ Italia che all’ Europa, arrivando al 36,8%, più del doppio che nel nostro Paese (18,1%). (Fonte Eurostat).
Tendenza che si è accentuata nel tempo, tanto che dal 2016 si è ingrandita anche la distanza tra la percentuale dei laureati iberici e italiani tra i venticinque e i trentaquattro anni, all’inizio della carriera; in Spagna sono ormai più del 50%, in Italia meno del 30% (Fonte Eurostat).
Anche in Spagna c’è come in tutta Europa il problema demografico, ma la popolazione è comunque salita negli ultimi anni, a differenza che in Italia, tanto che si prevede che per l’anno prossimo sarà del 3,08% più alta che nel 2010, mentre nella nostra Penisola sarà più bassa dell’1,7%.
Come dati mi fermo qui, ma credetemi che potrei continuare.
Guardate, non pensiate che io consideri la Spagna come il migliore dei mondi possibili.
Vedo anch’io che la politica spagnola sta vivendo una lunga fase di incertezza, accentuata dall’annoso problema delle tendenze secessioniste catalane (e non solo catalane).
Per contro la Spagna già vent’anni fa aveva una popolazione più istruita, una presenza di grandi imprese maggiore che in Italia, ed un minore debito pubblico.
Ma vedete, la differenza è che i Governi che si sono succeduti in Spagna, anche se di tendenze opposte, non si sono dedicati a smontare le riforme dell’Esecutivo precedente come è tipico dei Governi italiani, e soprattutto quando hanno avuto qualche disponibilità di risorse non le hanno dilapidate in provvedimenti demenziali e populisti, tipo i bonus per tutto, bensì le hanno impegnate in accumulazione di capitale, il che vuol dire macchinari, software ed hardware.
Certo anche loro anni fa hanno spinto un po’ troppo sull’immobiliare, e l’hanno pagata cara con lo scoppio di una bolla che ha frenato per lungo tempo l’economia, ma a parte questo, né i socialisti né i popolari iberici hanno mai pensato a “genialate” come il Reddito di cittadinanza o le “Quote pensionistiche”, e soprattutto il Superbonus 110%, che condizionerà il bilancio italico per anni.
A Madrid i momenti fortunati non li hanno sprecati in spesa facile per prendere qualche voto in più, ma hanno deciso di investirli in futura crescita.
Ma la vera differenza fra il divario della crescita spagnola rispetto a quella italiana sta, come succede rispetto a quasi tutti gli altri Paesi Europei, nella produttività, che nessun Governo del Belpaese è mai riuscito ad aumentare veramente.
Dopo questa sfilza di dati, di cui mi scuso, ma che ritengo necessari per avere un quadro preciso fatto di numeri e non di “chiacchiere”, mi sembra evidente il maggiore dinamismo dell’economia spagnola nei settori in cui l’attività di impresa è invece più frenata in Italia da burocrazia, sistema fiscale e rigidità del mercato del lavoro.
I nostri politici che si oppongono a ogni riforma, a ogni liberalizzazione e a ogni investimento strategico in infrastrutture e reti, dovrebbero a mio avviso farsi ogni tanto un giro a Madrid e nel resto della Spagna, per vedere con i propri occhi come si può governare al meglio un Paese molti simile all’Italia.
E forse capirebbero anche perché Standard & Poor’s attribuisce ai Bonos spagnoli una bella “A”, un rating certamente migliore del “BBB” assegnato ai nostri Btp.
Segno che, a differenza di quel che molti pensano, il mercato e la Agenzie di Rating, che istituzionalmente devono valutare il grado di affidabilità finanziaria a garanzia degli investitori, valorizzano soprattutto le prospettive di crescita di un Paese.
E un Paese con un sistema giudiziario lento e complesso, con una burocrazia borbonica, e con politiche che cambiano ad ogni cambio di Governo, viene ovviamente percepito dagli investitori stranieri come “rischioso”.
E’ da lungo tempo che sostengo che l’incapacità e l’inaffidabilità della nostra classe politica stanno portando il nostro Paese verso un punto di non ritorno, ed è facile prevedere che, se continueremo con le “Quote 103” e simili amenità, la Spagna a breve si confronterà stabilmente con Francia e Germania, e noi con un altro Paese mediterraneo, la Grecia, con la prospettiva concreta tornare al nostro posto in abbonamento, quello di coda.
Ma attenzione, perché anche se i titoli del debito greco sono ancora classificati come “junk” (spazzatura), ormai offrono rendimenti più bassi di quelli dei Btp.
Vorrà pur dire qualcosa? O No?
Umberto Baldo