Politica e tasse: il contratto sociale tradito
In certi momenti mi chiedo come l’Italia possa sedere a pieno titolo a tavoli intergovernativi come il G7, e non faccia invece parte di altre Organizzazioni che associano i Paesi poveri del mondo.
Pensate abbia fatto il pieno di whisky o di grappa?
Tranquilli, io sono un veneto anomalo in quanto completamente astemio, e quindi non corro il rischio di annegare nei fumi dell’alcol.
Chi, bontà sua, segue quello che scrivo, sa che inevitabilmente ogni tanto torno a parlare del nostro sistema fiscale.
Lo so che abbaio alla luna, ma cosa volete io nello spirito sono rimasto quello di un tempo, quello dei miei anni verdi, quando credevo che il contratto fiscale fosse alla base del rapporto fra Stato e cittadino, ben specificato fra l’altro in quell’articolo 53 della Costituzione che chiede a tutti di contribuire alla spesa pubblica; “a tutti” e non solo ad alcuni, e sempre agli stessi.
Dopo tanto tempo tutte le mie illusioni di giustizia ed equità dovrebbero essere evaporate come neve al sole, ma i principi per me sono sempre stati il faro della vita, per cui continuerò a urlare, anche se so bene che si tratta di una mera testimonianza.
La ferita, se posso chiamarla così, si riapre ogni anno, quando “Itinerari Previdenziali” pubblica uno studio sullo stato del Sistema tributario italiano.
Sono anni che il Presidente Alberto Brambilla mostra le nefandezze di un sistema che si avvita su se stesso, in un crescendo di incongruità, illogicità ed ingiustizia.
Già perché lo capisce anche un bambino che alla lunga non può reggersi un sistema tributario fortemente squilibrato, e nel quale si trascura ogni ragione di giustizia distributiva.
Pagano solo alcuni, e sempre gli stessi! Ma i benefici di beni e servizi pubblici sono per tutti, ovviamente anche per chi le tasse le evade!
ll report 2023 di Itinerari Previdenziali, presentato alcuni giorni fa, non fa che confermare, se non peggiorare, i numeri degli anni precedenti.
Non mi soffermerò molto sulle cifre, ma qualcosa bisogna pur dire Vivaddio!
Se avete l’abitudine di sfogliare un giornale sono numeri che avete già visto, perché i quotidiani ed i social media li hanno riportati con dovizia di particolari, spesso con titoli cubitali eclatanti.
Tanto per fare un esempio, il più vecchio quotidiano del Nord Est ieri titolava a tutta pagina: “Mezza Italia non paga le tasse”.
Uno si aspetterebbe che una classe politica meramente “dignitosa” si vergognasse di una situazione che oggettivamente ci pone fuori dall’Europa e dal novero dei Paesi più sviluppati.
Ma quando mai!
Forse hanno ragione quelli che sostengono che per avere successo in politica bisogna avere la “faccia come il …….”.
Ma cosa dicono questi numeri?
Che l’Italia è un Paese di 59 milioni di abitanti, e che i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi nel 2022 sono stati 41,5 milioni.
Ma attenzione, quelli che hanno versato almeno un euro di tasse sono solo 31,3 milioni.
Non occorre essere Pitagora per fare qualche calcolo elementare, ed arrivare alla conclusione che il 47% degli italiani per il Fisco non ha alcun reddito.
Ecco spiegato perché all’inizio mi chiedevo come fosse possibile che un “Paese di poveri” sedesse al tavolo del G7 assieme ai Paesi più ricchi del pianeta.
Perché la “fotografia” degli italiani presentata da Itinerari Previdenziali giustificherebbe un piano di aiuti internazionali, una sorta di Piano Marshall per sfamare e sostenere gli oltre 30 milioni di indigenti del BelPaese.
Invece non è così!
E non è così per la semplice ragione che quella cospicua fetta di popolazione vive a carico dell’altra che lavora, produce, e soprattutto paga le tasse.
E’ bene chiarire che le due principali imposte che consentono allo Stato di tenere in piedi il welfare (scuole, ospedali, stipendi…) sono l’Irpef e l’Iva.
Il totale dei redditi prodotti nel 2021, e dichiarati nel 2022 ai fini Irpef, è ammontato a 894,162 miliardi, per un gettito generato di 175,17 miliardi, in crescita rispetto ai 164,36 miliardi dell’anno precedente (l’Irpef per la quasi totalità grava sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati).
Inutile che ribadisca per l’ennesima volta che la vera sperequazione sta nel fatto che i due terzi dell’Irpef sono pagati solo dal 13% dei contribuenti.
Mi sono persino stancato di scriverlo, ma si tratta di quel 13% di “nababbi” che guadagna dai 35mila euro lordi in su, e che per questo adesso non può beneficiare del taglio al cuneo fiscale perché è considerato troppo agiato, e non può difendersi dall’inflazione nemmeno quando arriva alla pensione, sempre perché considerato troppo “ricco” (sic!).
Viene confermato anche nel 2022 il forte divario tra le Regioni italiane per quanto riguarda il versamento dell’Irpef.
Il Nord infatti contribuisce per 100,6 miliardi, pari al 57,43% del totale, il Centro con 38,2 miliardi pari al 21,83% del totale, mentre il Sud porta in dote 36,3 miliardi, pari al 20,74% del gettito complessivo.
Una situazione di disequilibrio, segnala il rapporto, che trova conferma anche analizzando le singole Regioni: con poco meno di 10 milioni di abitanti, la Lombardia versa 40,3 miliardi di Irpef, vale a dire un importo maggiore dell’intero Mezzogiorno, che ne conta almeno il doppio, e persino superiore a quello dell’intero Centro (11,8 milioni di abitanti).
Tutti gli ultimi Governi si sono caratterizzati per quella che io definisco “impronta pauperistica”, e l’attuale Esecutivo di destra continua su quella linea (forse è la famosa destra sociale). Se prestate attenzione le due parole più utilizzate negli ultimi anni dai politici sono “disuguaglianze” e “redistribuzione”.
Certo c’è stato il Covid, e poi l’inflazione che come sempre ha colpito proporzionalmente molto di più le fasce con redditi bassi rispetto a quelle a reddito medio alto.
Tuttavia una classe politica all’altezza del proprio compito dovrebbe sapere che per avere una fotografia dell’Italia aderente alla realtà non si possono trascurare, come se non esistessero, circa 3 milioni di persone invisibili per il fisco perché occupate nel lavoro sommerso o irregolare, o un’economia sommersa o illegale stimata in circa 192 miliardi, o ancora un tax gap, vale a dire un’evasione fiscale, di poco meno di 100 miliardi l’anno.
Come vi dicevo, non so come faccia Alberto Brambilla a continuare la sua battaglia per un fisco più giusto, visto che, a parte un po’ di battage giornalistico per qualche giorno, i nostri Demostene se ne fregano altamente, e continuano nelle loro politiche di favoritismi verso le categorie elettorali di riferimento, si chiamino balneari o taxisti o partite Iva, a colpi di “paci fiscali”.
Ma qualcuno prima o poi dovrà spiegare agli italiani come un sistema tributario di questo tipo possa essere compatibile, nel futuro, con un sistema di spesa che pretende di essere “universale” dal punto di vista della fruizione dei diritti.
In un sistema universale, l’uscita dal prelievo (inclusa l’evasione) non comporta l’uscita dalle prestazioni universali (in altre parole chi non paga le tasse continua a fruire del welfare).
Al contrario, coloro che pagano interamente le imposte divengono oggetto di un paradosso: subiscono una progressiva e crescente riduzione delle prestazioni pubbliche (in primo luogo quelle sanitarie), finanziariamente condizionate da risorse sempre più limitate, ridotte da un sistema di prelievo che alle altre categorie di contribuenti distribuisce invece esenzioni, agevolazioni, riduzioni di imposta e quant’altro
Lo so che per politici attenti solo alle prossime elezioni (e ce ne sono in continuazione) si tratta di discorsi indigesti.
Ma prima o dopo dovranno realizzare che le risorse vanno prese dove sono realmente (soprattutto quelle eluse ed evase), e non solo dove si possono prendere senza rischiare (ma fino a quando?) la reazione politica e sociale del contribuente.
In caso contrario la dissoluzione della generalità del prelievo provocherà una sorta di “tracollo dei servizi pubblici”, ovvero la dissoluzione del carattere universale di gran parte della spesa sociale, che finirà per essere sostituita dalla fornitura privata di molti servizi essenziali.
Lo stiamo vedendo con la sanità; dove già ora chi ha i soldi ottiene una visita o un esame in tempi ragionevoli, e chi non li ha aspetta anche un anno e più.
Basta saperlo, perché a questo si arriverà continuando a favorire elusori ed evasori, ed in generale venendo meno al “patto fiscale” con i cittadini onesti.
Umberto Baldo