La triste vicenda di Indi Gregory, ed il problema irrisolto del “fine vita”
Com’era prevedibile la vicenda della piccola Indi Gregory, che al momento in cui scrivo respira ancora autonomamente con la mascherina, ha suscitato uno strascico di polemiche.
Perché ripropone un tema di principio, e precisamente quello del “fine vita”.
Meglio sarebbe dire il dilemma di chi possa arrogarsi il diritto di decidere sulla nostra vita, sul nostro stesso esistere.
Non occorreva essere un profeta per immaginare che l’offerta del Governo italiano, (sorretta da atti concreti come la concessione della cittadinanza in tutta fretta) di accogliere la piccola paziente inglese in una struttura ospedaliera del nostro Paese avrebbe in qualche modo portato la Corte britannica ad assumere la decisione più drastica, quella di staccare la spina.
A scanso equivoci dico subito che non ho condiviso questa che io ho percepito come un’ “ingerenza” italiana in problematiche interne dell’Inghilterra, perché nonostante non lo si sia mai detto apertamente, si è fatto intravvedere fra le righe che in Italia altre cure sarebbero state possibili.
E ho molte persone che possono testimoniare che da subito ho sostenuto che mi sarei veramente stupito se la Gran Bretagna avesse aderito all’offerta italiana, per una serie di motivi facilmente intuibili.
Pensateci un po’: Giorgia Meloni ha addirittura scritto una missiva al Lord Cancelliere e Segretario di Stato per la Giustizia britannico, ma il Governo inglese dell’ “amico” Sunak si è ben guardato dal profferir parola sulla questione, lasciando ogni decisione ai giudici.
Leggete questi fatti come volete, ma la mia percezione è che per quanto attiene il Gabinetto di Sua Maestà Britannica, se l’Italia si fosse astenuta dal mettersi in mezzo alla vicenda, la cosa sarebbe stata più gradita.
Ma capisco che per un Governo sempre in cerca di spot pubblicitari questa era un’occasione unica ed imperdibile per far vedere agli italiani che “a Naaaazzzioneee” c’è.
Detto questo, resta aperta la questione iniziale di chi possa decidere della vita o della morte di una persona.
Voglio sgombrare il campo sul caso Gregory, affermando con forza che non condivido la decisione della Magistratura inglese, perché ha negato ai genitori il diritto di poter decidere come gestire il crepuscolo della vita della loro creatura, togliendo loro anche l’ultima speranza.
Ma ciò non toglie che non mi sento per questo allineato con le varie “Associazioni pro vita”, con la Premier ed i Ministri, con i preti, che in queste ore si atteggiano a strenui difensori dei diritti della piccola Indi, ma che contemporaneamente negano il diritto ad altre persone, malati terminali senza speranza di guarigione, di porre fine alle loro sofferenze, costringendole a violare le leggi rivolgendosi alla sanità Svizzera.
Sono da sempre naturalmente allergico alla “doppia morale”, all’ipocrisia del “si ma…..”.
Non pensiate che stia sottovalutando il problema.
Vedete, possiamo girarci attorno finché vogliamo, possiamo pensare di aver superato per sempre certi condizionamenti, ma la nostra cultura è ancora intrisa di vecchie concezioni.
Non si cancellano facilmente due millenni in cui il suicidio è stato considerato dalla Chiesa cattolica un peccato, tanto che a chi si toglieva la vita veniva negata persino la sepoltura in terra consacrata (questo divieto è venuto meno solo con il Concilio Vaticano II).
Ma anche l’Ebraismo tradizionalmente considera il suicidio come un peccato grave (Genesi 9:5), e ugualmente per l’Islam è uno dei peccati maggiori.
Così come non si cancellano secoli e secoli in cui gli Stati si sono appropriati anche della bio-politica.
Questo è il punto centrale del problema a mio avviso; quello che per un liberale è semplicemente inaccettabile che lo Stato si arroghi il diritto di decidere anche sulle vite dei cittadini, sulle nostre vite.
E sia nel caso della piccola Indi, sia in quello di coloro cui viene negata la “dolce morte”, a mio avviso viene superato quel confine invalicabile fra pubblico e privato su cui si fonda il liberalismo politico.
Potete pensarla ovviamente come volete, ma per me il considerare financo la vita del singolo individuo “proprietà dello Stato” è una concezione che appartiene agli Stati autoritari, e lo abbiamo tragicamente visto portare alle estreme conseguenze nel secolo scorso dai regimi totalitari, si chiamassero nazismo, fascismo o comunismo.
Quindi la Magistratura inglese nel caso di Indi, e le nostre Istituzioni nei sempre più numerosi casi di persone cui viene negato il diritto ad un “fine vita” dignitoso, semplicemente oltrepassano a mio avviso il limite stesso su cui si fonda lo “Stato moderno”.
Lo Stato non esiste in natura, e aveva ragione Thomas Hobbes a definirlo “una macchina, una costruzione artificiale prodotta dagli uomini, che acquisisce una dimensione impersonale ed un tempo autonomo”.
In natura esistono solo gli “individui”, che vuol dire ognuno di noi in carne ed ossa, ognuno portatore dei propri diritti fondamentali, che John Locke riassumeva in “la vita, la libertà, la proprietà”.
Ne consegue che uno Stato, o una qualunque Istituzione, che si arroghi il diritto di decidere delle nostre vite verrebbe meno a quello che io definisco un diritto naturale di ciascun individuo.
Sia chiaro che non mi passa neppure per l’anticamera del cervello il solo pensare di poter imporre alcunché a chi invece aderisca ad una Fede religiosa, o sia favorevole ad un ruolo decisorio (ed invasivo) dello Stato.
E’ questa per me l’essenza vera del liberalismo; vale a dire il rispetto di ogni individualità, che deve essere lasciata libera, senza intromissioni e condizionamenti, di decidere della propria vita, e anche della propria morte.
Guardate, lo so bene che è più facile affrontare e risolvere il problema del fine vita sul piano dei principi che su quello della pratica.
Lo so bene che non è facile individuare parametri scientifici che definiscano fino a quando la vita è “dignitosa”.
E so anche bene che esiste il rischio di spingersi troppo avanti, arrivando a consentire a certi regimi la soppressione di vite umane giudicate “non più adeguate”.
Ma credo sia inaccettabile, oserei dire indegno, che la nostra classe politica rifiuti di prendere una decisione, di emanare una legge sul fine vita, nonostante i numerosi inviti in tal senso da parte della Corte Costituzionale.
E che siamo arrivati quasi ad un punto di non ritorno lo dimostrano i numerosi processi in cui Marco Cappato, dopo essersi autoaccusato di aver accompagnato malati terminali a morire in Svizzera, è sempre stato assolto.
E ciò perché la Magistratura sia inquirente che giudicante è costretta a misurarsi con la realtà, con i filmati di dj Fabo, con le testimonianze persino dei genitori, e deve decidere sulla base di questa realtà, fatta di sofferenze e di dolore, e non sui principi astratti, buoni per Montecitorio o per i Convegni, o sui dogmi di fede.
Come accennavo, non si tratta di argomenti facili, da trattare con superficialità, ma credo che la soluzione si possa trovare solo facendo riferimento al principio della libertà degli individui.
Sui principi penso non si possa transigere; ed ecco perché mi meraviglio che nel caso di Indi Gregory, certi capisaldi etici quale il diritto dei genitori a decidere il destino della propria figlia, siano stati messi in discussione proprio nella patria del liberalismo, nella patria dell’habeas corpus.
E devo confessarvi, per concludere, che la vicenda mi ha lasciato l’amaro in bocca, perché ho avuto l’impressione che sul piccolo corpo martoriato di Indi si sia giocata una cinica partita politica, sicuramente più grande di lei.
Umberto Baldo