Fare acquisti con il Taeg al 10,77%
Se trent’anni fa ci avessero detto che il tasso richiesto per il mutuo per l’acquisto della prima casa sarebbe stato del 4,37%, forse non saremmo svenuti, ma sicuramente avremmo fatto i salti di gioia.
Ma adesso che l’Abi, aggiornando il tasso medio, ci dice che a ottobre 2023 i tassi sui mutui si sono attestati in media appunto al 4,37%, in aumento rispetto al 4,21% di settembre, ci tremano le vene ai polsi.
Vedete, come nella vita tutto è relativo, così lo è anche in economia, e io ricordo perfettamente che negli anni ’80 del secolo scorso il tasso dei mutui-casa era di circa il 18%, e negli anni ’90 del 14% (non si suicidava nessuno; semplicemente ci si era assuefatti a tassi che oggi definiremmo “sudamericani”).
E quindi non mi meraviglia se il tasso in questione a gennaio 2023 fosse al 3,59%, e sia poi costantemente aumentato mese dopo mese di qualche decimale fino a raggiungere appunto il 4,37% di ottobre.
D’altro canto quale poteva essere la conseguenza di ben 11 aumenti consecutivi del tasso di riferimento della Bce, se non questa?
Viene da chiedersi: cosa poteva fare la Banca Centrale Europea quando l’inflazione è partita a razzo, e sembrava inarrestabile?
Stare ferma, per non far aumentare il costo di gestione del debito pubblico degli Stati?
Lo so che qualche “Solone” che sta al Governo a Roma ha manifestato irritazione ma, ripeto, si può legittimamente immaginare che a Francoforte (come a Washington, a Londra, a Tokio) potessero assistere indifferenti a tutto, o peggio impotenti?
Certo si è trattato di una vera e propria rivoluzione, perché questa guerra senza quartiere all’inflazione delle Banche Centrali ha di fatto infranto la bolla in cui eravamo immersi, e che forse ci eravamo illusi fosse diventata la norma, dei tassi a zero o addirittura sottozero.
Intendiamoci, la bolla non era nata per caso: erano state le stesse Banche Centrali (dopo il fallimento di Lehman Brothers nel 2008, seguito dalla crisi del debito sovrano del 2011, e da quella devastante della pandemia da Covid) ad immettere nel sistema un fiume di liquidità finendo per inflazionare i prezzi delle attività finanziarie, e soprattutto consentendo agli Stati di indebitarsi sempre di più.
E’ quindi comprensibile che passare dal sottozero al 4% in meno di due anni sia stato uno shock, sia per i cittadini che per gli Stati ed i mercati.
E che ciò abbia innescato delle conseguenze era inevitabile!
Parto dai consumatori, dai cittadini, perché sono loro, siamo noi, coloro che pagano più di tutti per l’inflazione, soprattutto lavoratori dipendenti e pensionati, che non possono scaricare i maggiori costi sulla clientela, come invece possono fare professionisti ed imprese.
E che di conseguenza fanno sempre più fatica ad arrivare a fine mese, dopo aver azzerato, chi li aveva, i risparmi messi da parte durante la fase della pandemia.
Ma se ci limitiamo alla valutazione dell’aumento dei prezzi e dei tassi ai soli mutui casa perderemmo di vista l’insieme.
Vale a dire una realtà che vede ben altri tassi.
Per curiosità sono andato in Rete e ho cercato sui siti ufficiali delle Case produttrici il prezzo delle prime due auto che mi sono venute sotto mano.
Ma credetemi che è così un po’ per tutte le marche.
Così ho scoperto che se volete comprate a rate la nuova Peugeot 208 (35 rate da 150 euro l’una) i tassi previsti sono Tan (fisso) al 7,99 e Taeg al 10,07.
La Panda Hybrid la potete avere in 58 rate da 160 euro, con Tan 8,75% e Taeg 10,77.
Ovviamente tralascio eventuali anticipi e rate finali, perché mi interessano solo i tassi.
Vedete bene che per acquistare un’auto il tasso richiesto è ben maggiore di quello di mercato per l’acquisto di una casa, ed ecco spiegato perché quando andate a comprare un’automobile, e dite di volerla pagare in contanti, vi guardano male, e cercano di dissuadervi magnificandovi la bellezza delle “rate”.
Ma se provate a cercare qualche “prestito personale” vi troverete davanti a qualche Taeg anche superiore.
I servizi e tutti gli altri beni, soprattutto gli alimentari, non riportano certo Tan e Taeg sulle etichette dei prezzi, ma non è necessario, perché basta andare a fare la spesa per constatare che gli aumenti nell’ultimo anno sono stati almeno del 25/30%, ma in parecchi casi molto, molto di più.
E nonostante le ultimissime indicazioni di un tendenziale calo, io finora non l’ho riscontrato girando per gli scaffali.
Certo qui ha giocato l’aumento del costo delle materie prime, ma nessuno mi toglie dalla mente che c’è stata anche tanta speculazione, perché è proprio in periodi di alta inflazione che chi ha i beni in mano fa i prezzi che vuole, tanto anche se vende meno gli incassi alla peggio restano gli stessi, ma in generale addirittura aumentano.
A questo punto credo non vi stupisca se l’anno 2023 si stia rivelando un periodo d’oro per le Banche italiane, con previsioni che indicano utili record fino a 43 miliardi di euro, segnando un aumento del 70% rispetto all’anno precedente (25 miliardi).
Non hanno rubato niente, sia chiaro, e non hanno fatto niente di illegale!
Il fatto che i margini di interesse delle banche crescano in un periodo di aumento dei tassi è normale, soprattutto dopo un periodo di tassi vicino allo zero come è stato quello negli ultimi 15 anni nell’Unione europea. Questo fa parte del modello di business delle banche: ci sono periodi in cui il denaro costa di più (quando i tassi di interesse sono più alti), e periodi in cui invece i margini calano perché i tassi applicati alla clientela si riducono.
Gli ultimi 15 anni, con i tassi di interesse a zero o addirittura negativi, hanno rappresentato un periodo particolarmente negativo per le Banche.
Se poi vogliamo definire questi utili extra-profitti, derivanti dal fatto che le Banche sono state particolarmente veloci nell’aumentare i tassi attivi, ma non altrettanto relativamente a quelli passivi (quelli da riconoscere ai correntisti), liberissimi di farlo!
Resta il fatto inequivocabile della retromarcia del Governo (ignominiosa o meno lascio a voi deciderlo) che, dopo aver strombazzato ai quattro venti di aver introdotto la “tassa sugli extraprofitti bancari”, si è dovuto accontentare di non incassare il becco di un quattrino, dopo aver preso le bacchettate dalla Ue e dai mercati.
Dovessi riassumere in poche righe la situazione italiana direi che i prezzi ed i tassi alti bloccano l’economia. Che l’inflazione è per la verità in lento calo, ma i tassi sono ancora in rialzo anche se a mio avviso ormai a fine corsa, che c’è meno credito e meno liquidità. Tutto questo si traduce in molti più interessi da pagare per le famiglie italiane. Nei servizi si è esaurita la ripresa e l’industria è in sofferenza (io sono pronto a scommettere che fra poco si ricomincerà a parlare di Npl). Va giù la domanda interna, e anche l’export è in riduzione. Nel complesso l’Eurozona è quasi ferma, mentre sono in crescita i cosiddetti Paesi emergenti, India in testa.
Se questa è la fotografia, il Governo Meloni sta facendo quel che può, senza infamia e senza lode.
Va registrata una notevole “prudenza” finanziaria dell’Esecutivo, che a mio avviso pare però affetta da miopia, difficile da giustificare insistendo che quel che conta è il programma di legislatura.
Trovo fuori luogo l’ottimismo con cui si vuole far vedere che “aaa Nazzzzzioooone va”, perché di criticità ce ne sono molte, in primis l’inarrestabile avanzata dello stock di debito pubblico (con il peso crescente per la remunerazione dei Btp).
Trovo inutile fare l’elenco delle cose che non vanno, e su cui il Governo sembra non voler intervenire per non pregiudicare il risultato delle prossime elezioni europee.
Mi limito quindi a ritornare da dove sono partito, cioè dall’aumento dei tassi, osservando che il problema vero, di carattere sociale, è che mentre i prezzi hanno subito l’accelerazione legata all’aumento dell’inflazione (per cause esterne come la guerra e l’impennata dei prezzi dell’energia e delle materie prime), salari e pensioni non hanno avuto la stessa dinamica.
Così i redditi degli italiani si sono trovati stretti nella morsa dell’aumento dei tassi e dell’aumento dei prezzi.
Senza contare che ancora adesso i tassi reali sono negativi perché l’inflazione è comunque più alta del tasso di interesse riconosciuto adesso dalle Banche sui depositi vincolati.
E quindi anche il risparmio per adesso è penalizzato.
In un Paese che ha quasi la metà dei contribuenti con stipendi che vanno da 15mila a 35mila euro (al netto però di un’evasione colossale), mi sembra una situazione pericolosa.
Umberto Baldo