22 Novembre 2023 - 8.51

Le lobby del mare, le concessioni balneari, ed i patetici trucchi del Governo

Sono oltre vent’anni che vari Organismi internazionali segnalano ai vari Governi che si sono succeduti nel tempo, che nel nostro Paese persiste un impianto normativo che compromette la concorrenza, e quindi ne frena la produttività e lo sviluppo.

Già nel 2000 l’Ocse ammoniva Giuliano Amato perché “Sull’apertura dei mercati siete in forte ritardo….”; e nel 2003 disse a Silvo Berlusconi “Avete bisogno di più concorrenza, meno burocrazia, spesa pubblica efficiente…..”.

Sempre l’Ocse tornò alla carica con Romano Prodi nel 2006, segnalando che «Esistono troppe aree protette dalla concorrenza»: e successivamente toccò anche al Governo tecnico di Mario Monti sentirsi dire «Dovreste ridurre le barriere legislative alla concorrenza nelle professioni, il commercio al dettaglio e i servizi locali”.

Anche Matteo Renzi nel 2026 fu destinatario di un monito: «È necessario ridurre le barriere alla concorrenza assicurando che le riforme siano pienamente implementate a tutti i livelli”.

Parole al vento in questa Repubblica in cui alligna da sempre una sorta di “allergia alla concorrenza”, e non è un caso quindi se nell’elenco ci siano anche Governi di centro sinistra, perché questa “passionaccia” per il sostegno pubblico a settori ed aziende anche fuori mercato (ricorderete i miliardi bruciati per tenete in piedi Alitalia, la mitica “Compagnia di bandiera”), tutto per non aprire al mercato, è una caratteristica trasversale dei nostri Demostene, a qualunque schieramento appartengano.

Usando una terminologia medica direi che l’allergia all’apertura al mercato, nel BelPaese sembra un male incurabile

E così, fra aiuti, sostegni, sovvenzioni e quant’altro,  a fine 2023 siamo ancora qui a parlare nientepopodimenoche delle “concessioni balneari”. 

Ma non sentite anche voi un po’ di fastidio per una vicenda che si trascina da una quindicina d’anni, con un Governo che in spregio ad una procedura di infrazione europea, e a pronunce assortite ed inequivocabili dei massimi organi della giustizia amministrativa italiana, continua a proteggere e a favorire una categoria che moltissimo ha avuto in ottant’anni di favoritismi.

Una categoria schierata in difesa dei propri privilegi, incompatibili in un mercato aperto come quello europeo.

E che contesta ad esempio i dati di Nomisma, secondo cui  il giro d’affari del settore si muoverebbe intorno ai 15 miliardi di euro, mentre secondo gli operatori   il business dell’indotto spiagge sarebbe di 1 solo miliardo.

Resta il fatto inequivocabile che lo Stato, stando agli ultimi dati della Corte dei Conti relativi al 2020, ha invece incassato in tutto 92 milioni e 566mila euro per circa 12.166 concessioniad uso turistico”. 

In molti casi i canoni sono compresi fra mille e 5mila euro l’anno, sebbene dal 2021 esista una soglia minima di 2.500 che viene aggiornata con l’inflazione: in ogni caso poche centinaia di euro al mese per il diritto intoccabile ed inalienabile, addirittura trasmissibile ai discendenti, di disporre indefinitamente di un tratto di spiaggia demaniale, che in realtà appartiene a tutti.

Quasi quasi in Italia costa di più, in termini di affitto dello spazio, vendere la frutta con un carretto in mezzo alla strada che non gestire uno stabilimento balneare a cinque stelle. 

Ma di tutto questo vi ho già parlato in precedenti articoli, per cui oggi mi limito  solo ad aggiornarvi sullo stato dell’arte.

E l’ultimo tassello sta in una nuova bacchettata dell’Ue al Governo italiano,

La Commissione europea nei giorni scorsi ha infatti notificato ben tre infrazioni, di cui la più importante è certamente quella sulle concessioni balneari, che sappiamo essere uno dei temi più cari ai “patrioti” attualmente al Governo. 

Cosa scrive palazzo Berlaymont?

Quello che sapevamo tutti, cioè che l’Italia sta violando la direttiva Bolkestein sui servizi e le concessioni, perché le norme italiane che disciplinano la gestione degli stabilimenti balneari non sono in linea con il diritto comunitario.  

Questo rappresenta il secondo passo di tre nella procedura di contestazione; il primo con la “messa in mora” avvenuta nel 2020, il secondo è il parere (quello arrivato nei giorni scorsi), ed il terzo l’eventuale rinvio alla Corte di Giustizia Europea, che può infliggere sanzioni piuttosto gravose.

Facendo un passo indietro, con lo stile da “magliari”  con cui spesso i nostri politici si rapportano con la Ue, il Governo, d’intesa con i balneari, ha provveduto alla “mappatura” delle coste italiane (dopo attento monitoraggio, sic!), ed il responso (io ho vinto una scommessa al riguardo) è che il 67% delle stesse è attualmente “libero” da concessioni, e quindi pronto per essere messo a gara.

Poco importa se le spiagge libere siano disponili solo teoricamente, perché magari scoscese, o irraggiungibili via terra, o fuori dalle aree concedibili secondo normative locali. 

La strategia del Governo, d’altronde, era apparsa chiara fin da subito: dimostrare l’abbondanza di litorale ancora disponibile, e quindi potenzialmente assegnabile in concessione; tutto per non dover liberalizzare le concessioni esistenti, come invece chiesto ripetutamente dall’Europa.

L’obiettivo dichiarato è quello di fermare la “calata dei lanzichenecchi” pronti al “sacco delle spiagge daaa  Naaaazzzzioneeee” (sic!).

Ma poiché, diversamente da quello che immaginano a Roma, a Bruxelles non hanno  l’anello al naso, e sanno leggere sia i giornali che i documenti del nostro Governo, nella lettera citata hanno inserito contestazioni nette, in particolare sui dati forniti a ottobre dal governo Meloni, secondo cui la quota di aree occupate dalle concessioni equivarrebbe solo al 33% delle aree disponibili. 

Questo dato, per Bruxelles, “non riflette una valutazione qualitativa delle aree in cui è effettivamente possibile fornire servizi di concessione balneare” e “non tiene conto delle situazioni specifiche a livello regionale e comunale”. 

In sostanza, gli uffici di Bruxelles accusano Roma di fare un calcolo che distorce la realtà, perché quel trentatré per cento individuato da Palazzo Chigi è stato calcolato sulla quasi totalità della costa italiana e non sulle sole aree balneabili. Sono stati cioè  presi in considerazione anche i tratti di costa rocciosa, quelli non accessibili, le spiagge non appetibili per motivi oggettivi, o quelle  che non possono essere date in concessione.

In definitiva sembra che la Commissione europea non si sia bevuto il tentativo di presa in giro messo in atto dal Governo per tutelare i privilegi di una corporazione finora intoccabile.

A quanto si legge Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani non sembrano aver alcuna intenzione di fare marcia indietro per adeguarsi alla Bolkestein, indifferenti al fatto che mettere a gara le concessioni non significa necessariamente toglierle a chi ce le ha già.

E se come avvenuto finora, la potentissima lobby dei balneari riuscirà a imporre ai “patrioti” le sue logiche anticoncorrenziali, alla fine sicuramente pagheremo una multa salata per l’infrazione comunitaria.

Che badate bene, non verrà pagata né dai balneari, né dai politici che fino ad oggi li hanno tutelati.

E lo dico a voce alta, non si tratta solo delle forze di Centro destra, perché anche i Governi di Centro sinistra, che tanto si riempiono la bocca di “Europa”, non hanno fatto nulla per applicare la Bolkestein alle concessioni balneari (addirittura il Governo Conte aveva prorogato le concessioni fino al 2033).

A pagare la multa saremo, come sempre, tutti noi contribuenti italiani.

Se invece per una volta a pagare fossero chiamati i politici che negli anni hanno tutelato questa minoranza a danno di tutti gli altri, forse questo ennesimo, inutile ed ingiusto esborso, ci sarebbe risparmiato.

Umberto Baldo

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