Da Diavoletta87….. a Chiara Ferragni
La vicenda in sé non è certo di quelle che fanno perdere il sonno.
L’ AGCM (Autorità Garante della Concorrenze e del Mercato) o Antitrust se preferite gli anglicismi, esiste proprio per contrastare le pratiche commerciali scorrette nei confronti dei consumatori e delle microimprese, tutelare le imprese dalla pubblicità ingannevole e comparativa, nonché vigilare affinché nei rapporti contrattuali tra aziende e consumatori non vi siano clausole vessatorie; e di conseguenza può intervenire per bloccare certe iniziative, o comminare multe e sanzioni.
Se la notizia di una multa da qualche giorno imperversa su giornali e media è solo perché il destinatario risponde al nome di Chiara Ferragni, che Wikipedia definisce “’imprenditrice, blogger, designer e modella italiana”.
In estrema sintesi la maxi-multa decisa dall’AGCM ha sanzionato le società Fenice e TBS Crew, che gestiscono i marchi e i diritti relativi alla personalità e all’identità personale di Chiara Ferragni, rispettivamente per 400mila euro e per 675mila euro, nonché la Balocco Industria Dolciaria per 420mila euro.
Si parla, nel merito, di pratica commerciale scorretta. Le società coinvolte, si legge nel sito ufficiale dell’ AGCM : “hanno fatto intendere ai consumatori che acquistando il pandoro “griffato” Ferragni avrebbero contribuito a una donazione all’Ospedale Regina Margherita di Torino. La donazione, di 50mila euro, era stata invece già effettuata dalla sola Balocco mesi prima. Le società riconducibili a Chiara Ferragni hanno incassato dall’iniziativa 1 milione di euro”. (ripeto 1.000.000 di euro).
Dal punto di vista commerciale l’operazione “Pandoro Pink Christmas” (concretizzatasi nel 2022) è risultata un fiasco per la Balocco che, pur avendo messo in vendita i panettoni “targati Ferragni” a 9,37 euro invece del prezzo medio normale di 3,68 euro, ha dovuto mandare al macero una buona parte di prodotto invenduto.
Dagli atti risulterebbe anche che Balocco non avrebbe voluto inserire nel comunicato di lancio dell’iniziativa il riferimento alla donazione come legata alle vendite del prodotto; e ciò sarebbe confermato da una mail interna in cui una dipendente avrebbe scrive: “Mi verrebbe da rispondere [al team Ferragni]: In realtà le vendite servono per pagare il vs cachet esorbitante”.
Scontata la reazione dell’Influencer che ha dichiarato: “Dal momento che ritengo ingiusta la decisione adottata nei miei confronti, la impugnerò nelle sedi competenti”, parlando di un’operazione “in cui tutto è stato fatto in totale buona fede”. Analogo ricorso ha annunciato anche la Balocco.
A mio avviso sarebbe stato bello che la Ferragni avesse potuto dire: noi non abbiamo chiesto nulla per l’utilizzo dei nostri brand dato che si trattava di un’ operazione di beneficienza!
Su questa vicenda mi fermo qui. Se siete interessati ad altri particolari li potete trovare su media a giornali, ma vedrete che, a meno di ulteriori sviluppi, fra qualche giorno nessuno ne parlerà più.
Quello che però mi interessa molto è invece la figura principale di questa operazione commerciale, che non è certamente la Balocco, bensì Chiara Ferragni, considerata l’influencer italiana più pagata al mondo (secondo la classifica dei più ricchi di Instagram).
A scanso equivoci io non nutro nessun sentimento particolare per questa 36enne imprenditrice; né di odio (parola grossa fra l’altro!), né di invidia per i suoi successi.
Da sempre mi è assolutamente indifferente, tanto che mi sono sempre regolato così: quando appare in video cambio canale, quando mi compare una notizia sullo smartphone cambio videata, quando la vedo sulla carta stampata giro pagina, e ovviamente non comprerei mai un prodotto da lei sponsorizzato.
Ma al di là della mia totale indifferenza alla “caratura del personaggio”, da osservatore dei fenomeni socio-economici, non posso non pormi qualche domanda del tipo: perché questa ragazza è amministratore delegato e fondatrice di TBS Crew srl e Chiara Ferragni Brand; è stata Member of the board of directors del Gruppo Tod’s, e dal 2023 membro del comitato consultivo di Camera Moda Fashion Trust; perché Chiara Ferragni Collection è presente in circa 300 negozi sparsi per il mondo e nei maggiori centri commerciali di Parigi, Colonia, Taiwan, Londra e Dubai; perché ci sono aziende disposte a pagarle fino a 81.000 dollari (ma si parla di cifre anche maggiori) per un post sponsorizzato con il suo nome (o brand se vi piace di più)?
La risposta è molto semplice e si riassume in una sola parola: follower.
E se ci sono 30 milioni di persone disposte a seguire tutti i momenti della tua vita, prendendo come oro colato i tuoi “consigli per gli acquisti,” è evidente che le Aziende che quei beni li producono sono disposte a pagarti oro quanto pesi per poterli spendere sul web quei tuoi “consigli”.
A nulla vale ovviamente che io pensi da sempre che in generale i cosiddetti “Influencer” sono soggetti che sono riusciti a fare del “Nulla” una professione.
Riandando indietro agli anni ’80, ricorderete certamente che ci sono stati personaggi che hanno in qualche modo anticipato gli attuali influencer.
Ricordate il grido “D’accordoooo?” di Vanna Marchi, affiancata da sua figlia Stefania e dal mago Do Nascimiento? Ricordate il suo miracoloso “sciogli-pancia?
Ricordate Guido Angeli ed il mobilificio “Aiazzone”, Walter Carboni, Roberto da Crema detto “il baffo” ed i suoi rantoli?
A quell’epoca veniva bollati come “teleimbonitori”, ma d’altronde allora c’era solo la televisione, e dove volete che si scatenasse la loro capacità di vendita se non in video?
Pensate che ci siano tante differenze fra quei “teleimbonitori” e gli attuali “influencer”?
Cambiano i fattori (Web al posto della Tv) ma il prodotto non cambia!
Questo non vuol dire che non servano particolari doti e capacità, perché non è facile, vendendo il “nulla”, trovare milioni di persone che sbavano per vederti e conoscere nei particolari cosa hai fatto oggi!
Io oltre a tutto ho l’impressione che dietro a Chiara Ferragni ci sia un sapiente lavoro di “costruzione del personaggio” partito da lontano, e maturato in un ambiente familiare in cui non mancavano i soldi per assecondarla e sostenerla.
Al riguardo il web è impietoso perché ha la memoria lunga, e non risparmia a nessuno i suoi momenti imbarazzanti.
E quindi basta semplicemente digitare sul web “Diavoletta87” per risalire agli esordi di Chiara Ferragni come blogger ed aspirante influencer.
Allora infatti era Diavoletta87, una sorta di tamarra che faceva un uso smodato di “k” nei suoi post, ed usava un linguaggio molto diverso da quello attuale, in cui ogni parola veicola migliaia di euro o di dollari.
Dateci un’occhiata! Credetemi che anche le foto piuttosto “disinibite” sono illuminanti per capire la “trasformazione”, ma soprattutto la sua voglia di arrivare.
Guardate, il problema non è Chiara Ferragni, che è una ragazza che è stata abilissima nello sfruttare le opportunità offerte da una fase irripetibile.
Il problema sono i followers (qualcuno parla di “storditi”) che non riescono ad acquistare un paio di mutande senza prima aver consultato/osservato un influencer, e che ritengono magari di essere più sexy indossando un intimo targato Ferragni.
Followers, ai quali viene offerto dagli “Influencer” un modello di vita, con un messaggio subliminale che suggerisce “potete essere tutti come me, vivere nel sogno, nella fiaba”.
Basta che compriate questa maglietta, questo paio di scarpe, questo rossetto!
Vedete, io vivo in una villa hollywoodiana, ma nulla impedisce che questo domani possa capitare anche a voi!
In fondo è lo stesso meccanismo psicologico che sta alla base di programmi come l’ “Isola dei famosi”, o come “Il grande fratello”, in cui personaggi più o meno noti vengono pagati per fare i tamarri, per litigare, per fare la fame, per fare intravvedere storie di sesso. Tutto evidentemente secondo un copione ben definito, ma che fa scattare il voyeurismo degli spettatori, ai quali viene data l’impressione di stare assistendo ad una cosa “vera”.
La responsabilità maggiore ce l’ha chi sta illudendo orde di ragazzini e ragazzine di poter vivere per sempre di “nulla”, di vuoto social, di selfie; e non è un caso se oggi moltissimi giovani dicono che il loro sogno sarebbe fare gli “influencer”.
Anzi a voler essere onesti, una qualche forma di riconoscimento va dato a questi Influencer, se non altro perché sono riusciti a far credere al prossimo di essere utili a qualcosa, e ci hanno fatto pure una barca di soldi.
In fondo cos’è la loro vita?
Passare da una foto ad un’altra, ringraziando questo o quel marchio per il regalo ricevuto. Senza disdegnare poi di mettere in rete momenti della propria giornata, dalla colazione al bacio della buona notte. E senza farsi mancare una bella inaugurazione di un negozio, di un salone di bellezza, di qualunque cosa, tanto non importa cosa si sponsorizzi. Poi un bel video sui social che mostra la nuova linea di abbigliamento del pargolo appena sfornato. Se poi si mostra mezza tetta fin che il pargolo lo si allatta (tutto ovviamente in posa), gli accessi esplodono.
Uno splendido esempio di dolce vita, di vita dorata, perché è chiaro che i prodotti, gli alberghi, i viaggi, immagino siano a carico dei clienti!
Ma ad un certo punto l’influencer di successo muove talmente tanti soldi che deve per forza darsi un’organizzazione aziendale, anche per gestire al meglio la popolarità; ed ecco spiegata la nascita delle due società Fenice e TBS Crew che fatturano decine di milioni di euro.
Alla fine si arriva alla domanda vera.
Perchè questi “venditori” sono così ricercati e strapagati?
E’ evidente che gli Influencer esistono perché esiste la Rete, ed esiste il mercato.
Senza Web il loro mestiere non avrebbe alcun senso!
Il sistema dei media è in continua evoluzione, e pensate che oggi i numeri raggiunti dalle TV nei programmi in prima serata equivalgono a quelli ottenuti dai dieci influencer più celebri sui social.
E la conseguenza più ovvia è lo spostamento del budget pubblicitario delle aziende dal mondo offline a quello online.
Le aziende hanno preso atto che la gente sta abbandonando la Tv, i giornali ed i canali offline, e stanno investendo dove le persone passano la maggior parte del loro tempo, vale a dire su Internet.
Analogamente i brand che vanno per la maggiore investono sul digitale quegli enormi budget che prima riversavano sulla Tv, consci del fatto che il passa parola e la spinta degli influencer hanno un impatto determinante nelle decisioni di acquisto dei consumatori.
E quindi è imprescindibile far capire ai ragazzi che questi non sono “maestri di vita”, e che gli influencer quando postano un messaggio, in cui suggeriscono qualcosa, lo fanno esclusivamente perché sono pagati per farlo.
C’è poca filantropia o amore per il prossimo! E’ puro marketing, mero business!
Non c’è dubbio che Chiara Ferragni sia diventato un modello, un’icona di stile, per tantissime ragazze, che la vedono come una donna che è stata capace di sfondare in un mondo dominato dagli uomini.
E il suo successo è stato addirittura documentato nel 2019 in un film, “Unposted”, basato sulla sua vita, che ha incassato 1,6 milioni di euro in tre giorni di programmazione.
Nulla di nuovo, gli americani hanno fatto documentari su Steve Jobs, il creatore di Apple, il padre del Macintosh, dell’iPod, dell’iPhone, tutte cose che hanno cambiato per sempre le nostre vite.
O su Bill Gates, il creatore di Microsoft, di Windows, che poi è diventato un filantropo.
Ma nessuno sano di mente potrebbe dire: io adesso divento come Steve Jobs o Bill Gates, perché quelli sono stati dei geni nel loro campo, e sicuramente saranno citati nei libri di storia del futuro.
Ho qualche dubbio che ciò capiterà anche a Chiara Ferragni!
Umberto Baldo