20 Dicembre 2023 - 8.36

Luca Zaia e la “fine dell’impero”. Aperta la lotta per il “Dogado”

Il 2024 sarà l’anno in cui metà della popolazione mondiale andrà a votare. Ma su questopassaggiosicuramente “non secondario” mi riservo di sviluppare qualche ragionamento verso fine anno.

Fra coloro che andranno alle urne ci sono tutti i cittadini dei 27 Paesi della Ue, e sarà una tornata dalla quale usciranno equilibri politici determinanti per il futuro del nostro continente, e non solo.

Viste in questa chiave “planetaria”, le elezioni amministrative previste in Italia potrebbero sembrare quasi delle “assemblee di condominio”, ma invece stanno già avvelenando il clima all’interno dei Partiti, sia di governo che di opposizione. 

Ma poiché in politica tutto si tiene, non sono solo le pur importanti cinque poltrone da Governatore regionale in palio nel 2024 in Sardegna, Piemonte, Abruzzo, Basilicata e Umbria, a far alzare il livello di nervosismo. 

Perché le scelte che verranno fatte dai Partiti per le suddette sfide avrannoquasi si trattasse di un percorso a tappe, inevitabili ripercussioni anche sulle regionali che si terranno l’anno successivo inCampania, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Veneto.

Anche se al cittadino comune potrebbero sembrare cose distanti nello spazio e nel tempo, l’attenzione di tutti i leader sulle elezioni europee ha un significato ben preciso. 

Perché il voto di giugno sarà una sorta di spartiacque, sia per la sinistra alla ricerca di un “Federatore” (“mission impossible” a mio avviso, data la tradizione frazionista della gauche), ma soprattutto per  la destra, perché rappresenta per la Meloni sia una sorta di “mid-term” per verificare il consenso degli italiani,  sia l’occasione per rivedere i rapporti di forza con la Lega e Forza Italia, che non potranno più essere quelli “cristallizzati”, e non più “attuali”, delle politiche del 2022.

Capite bene che saranno questi nuovi rapporti di forza che verranno fatti valere quando si tratterà di decidere le candidature per le Regionali del 2025.

E si tratterà di un passaggio importante perché, senza togliere nulla a nessuno, mi sembra evidente che la caratura di Regioni pur di rilievo come  Sardegna, Piemonte, Abruzzo, Basilicata e Umbria, dove si voterà nel 2024, non è assolutamente commensurabile con quella diCampania, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Veneto.

Vedrete, a Dio piacendo, che avremo modo di parlarne quando si dovranno mettere i nomi accanto alle caselle.

E guarda caso fra quelle caselle c’è quella di Governatore del Veneto. 

E’ noto che questa maggioranza di governo si regge su un principio chiaro: quello che “chi ha più voti ha la poltrona che conta, e quindi comanda”.

E’ stato così nel 2022 quando si è trattato di fare il nome del Presidente del Consiglio, attribuito giustamente a Giorgia Meloni perché Fratelli d’Italia ha incassato quasi il triplo dei voti della Lega di Salvini.

E’ chiaro che la ripartizione dei seggi in Parlamento è stata fatta allora sulla base dei voti delle elezioni precedenti, quando cioè il Capitano surclassava la Meloni nelle urne.

Trovo quindi del tutto naturale e comprensibile che ora i Fratelli d’Italia, dopo aver sfondato anche nelle Regioni del Nord, nelle ridotte della Lega, nel cuore dell’Italia produttiva, pretendano i posti che spettano loro sulla base dei nuovi equilibri elettorali.

E fra queste Regioni “settentrionali”, fino ad ora sempre in mano ai Leghisti, c’è anche il nostro Veneto, guidato da quasi quattordici anni da Luca Zaia.

A dirla tutta io penso che a  Giorgia Meloni piacerebbe un po’ tutto; espugnare le “rosse” (una volta eh) Toscana, Emilia Romagna e Campania, ma credo che il suo “sogno segreto” sia Palazzo Balbi, in altre parole il Veneto. 

Immagino che la sola prospettiva di perdere una Regione del Nord-Est faccia venire l’orticaria a Salvini: per il vicepremier e ministro dei Trasporti sarebbe una botta mortale, anche per i contraccolpi che una tale perdita avrebbe fra la base veneta del partito.

Sapete che Luca Zaia, al pari di Michele Emiliano in Puglia, del  campano Vincenzo De Luca e dell’emiliano Stefano Bonaccini, hanno il problema del limite dei due mandati, ma al momento né la Schlein né la Meloni (che fra l’altro non ha Governatori “anziani”) appaiono intenzionate ad ascoltare l’invocazione bipartisan dei citati Presidenti. 

Non ci vanno giù leggeri i Fratelli  veneti, che a mezza voce dicono: “Salvini dovrà farsene una ragione, Zaia non potrà essere ricandidato. Sarebbe governatore per un ventennio…”.

Se dovessi in poche parole immaginare la possibile strategia di Giorgia Meloni, direi che alle Regionali dell’anno prossimo (Sardegna, Piemonte, Abruzzo, Basilicata e Umbria) cercherà di trovare un accordo con Salvini e Tajani,  comunque con un certo riequilibrio a suo favore; poi si impegnerà per fare l’en plein alle europee;  e se il distacco dalla Lega dopo giugno 2024 dovesse rimanere suppergiù quello attuale, sferrerà l’attacco nel 2025, diventando l’asso  pigliatutto in quelle Regionali.

Capite perché Salvini scalpita, e non perde occasione per distinguersi, anche a costo di attaccare il Governo di cui è Vice premier!

Per lui due o tre punti percentuali in più alle europee sarebbero come la manna dal cielo, un alito di vita anche per gli equilibri interni della Lega.

Chi bazzica la politica regionale parla di clima da “fine impero”.

E non stupisce quindi che gli appetiti siano molti, e gli scenari si sprechino.

Io partirei dal fatto che dalle parti di FdI non hanno neppure mezzo dubbio: Palazzo Balbi spetta a loro.

Che poi a spuntarla sia Elena Donazzan, esponente della destra sociale che ha vinto i congressi veneti del Partito, o Adolfo Urso, padovano per parte di madre ma percepito in terra di San Marco come un “foresto”, o addirittura il jolly Matteo Zoppas, poco importa.

La Lega si trova con le armi scariche, e magari proverà anche a proporre come nuovo “Doge” Mario Conte o Alberto Stefani, ma a mio avviso con poche prospettive.  Zaia sembra incerto sul futuro (io credo che se si presentasse da solo con una lista propria avrebbe delle chances), e potrebbe anche cedere alle pressioni di guidare la lista della Lega per le europee, quasi sicuramente scippando un seggio a FdI.

Per quanto riguarda Forza Italia, ormai orfana dal Cavaliere, non si può certo trascurare l’attivismo di Flavio Tosi, ex sindaco di Verona, ex Segretario e Presidente della Liga Veneta, passato a Forza Italia di cui è Deputato e Coordinatore per il Veneto.

Negli ultimi tempi si sta muovendo come una macchina da guerra, portando gli iscritti di FI da 300 a 5000, e attivando una campagna acquisti aggressiva ai danni della Lega, sfruttando ovviamente sia la sua profonda conoscenza del partito di Salvini, sia il malumore diffuso fra dirigenti e quadri del carroccio. 

In teoria Tosi non dovrebbe essere della partita, ma cosa volete, tutto è legato al risultato delle Europee; e se per ipotesi FI dovesse battere la Lega in Veneto (cosa non impossibile), e nella ripartizione delle regionali del 2025 la Meloni finisse per preferire l’Emilia e la Puglia, chi lo sa che non potrebbe assumere il ruolo di “terzo incomodo” puntando direttamente a Palazzo Balbi (in altre parole la Liga piuttosto di cedere lo scettro ad un FdI potrebbe preferire dover ingoiare la “pillola amara” di Tosi l’apostata).

Anche a sinistra si sta ragionando (per usare un eufemismo), ma io penso che, nonostante molte speranze e buone intenzioni, qualunque sia il candidato ad essere “Doge”, Andrea Martella, Vanessa Camani o Elena Ostanel, sono disposto a scommettere che per la gauche non ci sarà trippa per gatti.

Morale della favola?

Come vi dico da tempo, tenete d’occhio i risultati delle europee, perché da lì deriverà tutto, anche i fuochi d’artificio che sicuramente vedremo in Veneto. 

Umberto Baldo

PS: detta per inciso, sul problema del “terzo mandato” io la penso come Luca Zaia, Vincenzo De Luca, Stefano Bonaccini, Michele Emiliano e  Massimiliano Fedriga. Perché se la logica è quella di porre un limite al numero dei mandati per favorire il ricambio delle classi dirigenti, evitando così il cristallizzarsi di posizioni di potere, non si capisce il motivo per cui la regola debba valere per alcuni Sindaci sì ed altri no, per i Presidenti di Regione sì e per i Deputati e Senatori no.  A Palazzo Madama e Montecitorio ce ne sono tanti che hanno sulle spalle ben oltre due mandati (legislature).  Per fare un solo esempio la nostra premier Giorgia Meloni è parlamentare dal 2006, da ben 5 legislature (XV, XVI, XVII, XVIII e IXX).   Non mi sembra ci sia altro da aggiungere!!!

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