1 Febbraio 2024 - 9.17

No, quattro anni e quattro mesi non bastano per la morte del piccolo Manuel!

Umberto Baldo

Ieri mentre stavo pranzando ascoltando un Telegiornale, per poco non mi va il boccone di traverso. 

Perché?

Semplicemente perché avevano appena diffuso lo notizia che Matteo Di Pietro aveva patteggiato una condanna a quattro anni e quattro mesi.

Ma chi caspita è questo signore? Forse vi starete chiedendo.

Quando avrete finito di leggere, date voi una definizione del soggetto, al posto di questi puntini di sospensione………..

Riavvolgiamo il nastro, e torniamo al 14 giugno scorso.  

In quel di Casal Palocco, (periferia sud ovest di Roma) un Suv Lamborghini travolse una Smart provocando la morte di Manuel, un bambino di 5 anni, che era a bordo assieme alla madre ed alla sorellina, entrambe ferite. 

Si potrebbe pensare, ordinaria amministrazione, uno dei tanti incidenti che ogni giorno insanguinano le nostre strade.

Non è così in realtà, almeno non lo è per me, e a giudicare dalle reazioni e dai commenti sul Web, anche per molte altre persone.

Perché quando il 22 giugno il Giudice per le indagini preliminari dispose gli arresti domiciliari per Di Pietro, motivò quella decisione sottolineando tra l’altro che il giovane stesse andando ad una velocità di oltre 120 chilometri orari (in una zona con limite 50), e che mentre era alla guida fossero in azione alcune telecamere utilizzate per girare  video da pubblicare su YouTube. 

Si perché il Di Pietro è uno Youtuber, e aveva noleggiato il Suv Lamborghini con (parole del Magistrato): “l’unico ed evidente fine di impressionare e catturare l’attenzione di giovani visitatori del web per aumentare i guadagni della pubblicità, a scapito della sicurezza e della responsabilità, e di conseguenza a procedere ad una velocità superiore ai limiti indicati”.

A bordo del Suv assieme a Di Pietro c’erano anche  alcuni suoi amici Youtuber (termine oggi piuttosto abusato, ed in verità neanche tanto rassicurante) con i quali nel 2020 aveva fondato il canale Youtube dei TheBorderline, raccogliendo circa 600mila iscritti.

Le attività del gruppo si ispiravano a quelle del popolare Youtuber e imprenditore statunitense MrBeast, che generalmente realizza video in cui devono essere portate a termine delle sfide molto difficili, le cosiddette “challenge”.

Quindi avete capito che Di Pietro ed i suoi amici avevano affittato il “macchinone” per sfrecciare ad alta velocità per le strade di Casal Palocco, filmare queste “bravate” (se preferite challenge) e postarle in rete per la gioia dei fans.

Non va sottaciuto che, secondo un testimone, sembra che gli Youtuber abbiano continuato a filmare anche ad incidente avvenuto.

Da notare inoltre che, pochi giorni dopo, il Gruppo dei TheBorderline aveva annunciato di essersi sciolto.

Alla fine delle indagini le accuse contestate a Di Pietro furono omicidio stradale aggravato e lesioni, perché: “per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia” e ”inosservanza delle norme sulla circolazione stradale avendo tenuto una velocità eccessiva (di circa 120 Km/h) su via Di Macchia Saponara in rapporto al limite imposto (50 km/h) e – secondo il capo di imputazione – comunque non adeguata alle caratteristiche e alle condizioni della strada urbana percorsa ed all’approssimarsi ad una intersezione, non riusciva ad arrestare tempestivamente il veicolo ed andava a collidere travolgendola contro la parte laterale destra della Smart For Four che proveniva dal senso opposto di marcia ed aveva intrapreso, quando la Lamborghini era a circa 90 metri di distanza, una svolta a sinistra su via Archelao di Mileto, e così cagionava la morte del bambino e le lesioni personali alla madre e alla sorellina della vittima”.

Scusate il linguaggio da verbale di polizia, ma questo è.

Questi i fatti, che nessuno ha contestato, visto che così sono stati raccontati da tutti i giornali e media.

Il problema per quanto mi riguarda è l’epilogo della vicenda.

Vi risparmio i calcoli complessi che stanno alla base della condanna, fra attenuanti, aggravanti, patteggiamento, come pure nulla è eccepibile alla Magistratura, che si è limitata ad applicare correttamente la legge, oltre a tutto in tempi piuttosto rapidi. 

Il problema è evidentemente la legge, che consente che per il reato di omicidio stradale pluriaggravato si possa essere condannati solo a 4 anni e 4 mesi.

Ne consegue che, avendo già scontato alcuni mesi ai domiciliari, la pena residua risulta inferiore ai 4 anni, e pertanto Di Pietro non farà un solo giorno di carcere.

Sconterà la pena residua con l’affidamento in prova ai Servizi sociali, e quindi sarà completamente libero entro un mesetto, e verrà mandato a svolgere qualche mansione “sociale”, tipo pulire un parco, una o due volte al mese.

Immagino che qualcuno stia pensando che sono un forcaiolo, che non credo al principio costituzionale che la pena deve tendere alla rieducazione del reo, favorendo il suo reinserimento nella società.

Probabilmente avete ragione, e magari sono anche un po’ giustizialista.

D’altronde si dice che più si va avanti con gli anni più si diventa conservatori, o anche reazionari.

Ma a dirvi la verità non penso sia questo il punto.

Un antico aforisma giuridico recitava “Summum ius summa iniuria”, che sostanzialmente vuol dire che “il massimo del diritto è il massimo dell’ingiustizia”.

Ed in questo caso, ma non solo, io credo che il messaggio che si manda a coloro che dovevano essere i destinatari dei video (dei challange se preferite) di Di Pietro, i cosiddetti follower, che sono quasi sempre ragazzi e ragazze giovani, è quello che in fondo anche se provochi la morte di un bambino di 5 anni come Manuel,  per le tue “bravate” lo Stato si accontenta di darti quasi un buffetto.

C’è il rischio di fare perdere ai giovani il senso della gravità di certi comportamenti, ed io credo che questo sia uno dei problemi di fondo della società attuale, quello di minimizzare un po’ tutto, banalizzando ad esempio le offese o peggio agli insegnanti, o le gang di bulli o bulle che pestano i coetanei più deboli.

Intendiamoci, non pensavo di costringere Di Pietro a lavorare lungo le strade con la catena e la palla al piede, ma magari fargli passare per qualche tempo le notti in carcere, e “riabilitarlo” di giorno, forse non sarebbe stato sbagliato.

In fondo anche il sacramento della Confessione prevede che il perdono sia seguito da una penitenza.

E in materia penale per me la penitenza si chiama pena.

Poi è anche vero, per finire, che lo Stato può prevedere tutti i controlli e le sanzioni che vuole per proteggere e salvare vite, ma di fronte alla stupidità di certe persone, che si trasformano in tragedia, francamente ci si sente impotenti.

Purtroppo le mamme dei  c……..  sono sempre incinte!

Umberto Baldo

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