La nuova parola magica: “bacino di laminazione”
Umberto Baldo
Spesso un evento, un fatto, un momento storico, viene immediatamente “etichettato” con un termine, un’espressione, un nome.
Così è stato ad esempio per la tempesta Vaia di qualche anno fa, un evento epocale per il Veneto.
Se dovessi cercare la “parola magica” che in queste ore è sulla bocca di tutti, dal Presidente Zaia, all’Assessore Bottacin, giù giù fino alle chiacchiere da bar, da edicola, o da mercatino rionale, direi che si tratta di “bacino di laminazione”.
Ed è comprensibile che sia così, perché è evidente che se non stiamo contando qualche miliardo di danni, e magari anche qualche morto o disperso, è grazie a questo tipo di intervento idraulico.
Guardate, al di là del nome poco usuale, non si tratta di nulla di “magico”, né tanto meno di “particolarmente nuovo”.
Cos’è un bacino di laminazione, o cassa di espansione se preferite?
Si tratta in parole povere di un “parcheggio” temporaneo per quella parte dell’acqua che un fiume non riesce a contenere nei propri argini in caso di piena.
In pratica si individua un’area che in caso di necessità possa essere destinata ad accumulare, per un periodo di tempo limitato (le ore necessarie al passaggio del culmine della piena) parte della portata che transita sul fiume stesso.
In questo modo l’acqua in eccesso viene deviata nel bacino di laminazione, e così di riesce ad evitare che la piena allaghi città e paesi.
Al riguardo credo sia opportuno riportare le parole del Presidente Luca Zaia, che giustamente rivendica per la sua Amministrazione il merito di aver messo in cantiere, ed in parte realizzato, un piano complessivo di queste “casse di espansione: “Il Veneto oggi è attenzionato, non solo il vicentino ma anche il padovano. Questa alluvione, senza le opere fatte, avrebbe causato davvero disastri. Vicenza ad esempio, senza questi interventi, avrebbe ricevuto tre milioni di litri di acqua in più. Io ricordo quanto abbiamo tribolato per fare le opere, spiegando ai cittadini l’utilità di questi interventi. I bacini di laminazione stanno lavorando bene in tutte le province e ne faremo di certo altri. Il Veneto si presenta come modello nazionale, che dice che dove siamo intervenuti ce la giochiamo fino in fondo con la natura. Invece che dare contributi dopo, il Governo dovrebbe invece intervenire prima. Siccome è l’uomo che ha devastato i territori, si deve intervenire con opere idrauliche per essere in grado di contenere questi fenomeni. Invece che pompare l’acqua dopo noi lo facciamo prima. Ma abbiamo bisogno di un altro miliardo di euro per fare le opere che servono. E i collaudi, come si vede, li facciamo in situazioni reali, con l’acqua vera…..”.
Altra domanda: ma un bacino di laminazione è un lago?
Assolutamente NO! Si tratta di un’area che in condizioni normali (tempo asciutto o precipitazioni normali) rimane solitamente vuota e fruibile dal punto di vista ambientale, turistico, agricolo ecc. Come accennato, solo nei rari, per fortuna, casi in cui il fiume arrivi al limite di esondazione il bacino viene allagato, per alcune ore o comunque fin che serve.
Tale operazione, nel campo dell’ingegneria idraulica, prende il nome tecnico di laminazione della piena, e come abbiamo visto consiste nel progressivo abbassamento del colmo di piena di un alveo fluviale, man mano che il fenomeno prosegue da monte verso valle.
La loro mancanza su un territorio è decisamente un rischio, e lo abbiamo visto l’anno scorso con l’alluvione dell’Emilia Romagna, dove avrebbero potuto fare la differenza, come avvenuto in Veneto in questi giorni.
Come ho accennato in un altro editoriale di oggi su questo tema, non è che i bacini di laminazione nascano dal nulla. Richiedono studi idraulici adeguati, ma soprattutto “volontà politica” per realizzarli.
Non si tratta di opere visibili, e ”spendibili” in campagna elettorale, perché sono semplicemente degli “spazi allegabili all’occorrenza”; ma fanno la differenza, eccome se la fanno!
E questo secondo me è il vero merito di Zaia. L’aver fatto tesoro della lezione dei precedenti eventi disastrosi, e dell’alluvione del 2010 in particolare, per accelerare la loro costruzione.
Il piano coinvolge tutto il territorio regionale, come ben illustrato nella cartina posta sotto il titolo.
Per quanto riguarda la zona più colpita in queste ore, la protezione è arrivata dalla messa in sicurezza del torrente Igna, a beneficio di quattro comuni del Vicentino: Villaverla, Sarcedo, Montecchio Precalcino e Caldogno. Ma anche dal sistema di bacini anti allagamento di Trissino-Arzignano sul torrente Agno, per la sicurezza idraulica della parte occidentale della provincia di Vicenza e della Bassa Padovana.
Il sistema si articola in due grandi bacini di laminazione contermini: il principale, in territorio di Trissino, è in grado di trattenere circa 2,5 milioni di metri cubi d’acqua; il secondo, nella vicina località di Tezze di Arzignano, è in grado di trattenerne un altro milione per un totale di 3,5 milioni di metri cubi.
La città di Vicenza è stata salvaguardata grazie al bacino realizzato a Caldogno.
Va specificato che i bacini non necessitano di impianti di sollevamento, (di pompe per capirci) dato che funzionano “a sfioro”: quando il torrente o il fiume supera il livello di guardia, l’acqua si sversa per gravità nel bacino.
Concludendo, i cambiamenti climatici sono ormai sotto gli occhi di tutti, e di conseguenza i fenomeni estremi, come le grandi piogge, saranno sempre più frequenti.
Non potendo fermare le nuvole, non resta che puntare sull’aumento della resilienza del territorio.
Senza tema di smentite, mi sento di dire che in quest’ottica il nostro Veneto rappresenta un esempio virtuoso di lungimiranza per tutta l’Italia.
Umberto Baldo