7 Marzo 2024 - 9.34

Europa: la ricetta di Mario Draghi

Umberto Baldo

Ricorderete certamente che nel gran ballo delle nomine, iniziato da tempo dietro le quinte con grande anticipo sulle elezioni, verso fine anno Macron aveva fatto balenare l’idea che per la poltrona di Presidente della Commissione Europea la persona giusta potrebbe essere quella di Mario Draghi.

Al momento è rimasta solo un’idea, a mio avviso una grande intuizione del Presidente francese (ma si dice che nel copyright c’entrasse anche Angela Merkel) rimbalzata fra le Cancellerie di Parigi, Berlino e Bruxelles.

Ed è rimasta un’idea per tutta una serie di motivi che non rendono agevole porre un italiano a capo dell’Esecutivo europeo, anche se si trattasse di Super Mario.

Innanzi tutto l’indisponibilità dell’interessato, mai dichiarata apertamente, ma a quanto sembra fatta trapelare discretamente, e guarda caso colta al balzo della premier Giorgia Meloni.

Poi c’è l’aspetto squisitamente politico-interno della faccenda, che in parole povere vorrebbe dire quanto il Governo italiano sarebbe disposto a battersi per Draghi, cosa che mi sembra alquanto improbabile.

Non solo perché Super Mario non è un “patriota” (capite bene cosa voglio dire), non solo perché la sua visione dell’Europa diverge di molto da quella dell’attuale Governo di Centrodestra, ma soprattutto perché la nostra Premier vuole fortissimamente un “suo” fedelissimo in Commissione a Bruxelles; da qui il suo feeling con Ursula von del Layen, che quasi sicuramente verrà riconfermata (forse anche con il voto di FdI se la Meloni farà il salto), e di conseguenza in Europa a rappresentare “aaa Nazzzziiiioooone” probabilmente avremo dei “giganti” della politica come Raffaele Fitto od Adolfo Urso.

Se in “patria” il nome di Draghi non sembra suscitare particolari simpatie od entusiasmi, non è così oltre le Alpi, dove l’uomo che ha salvato l’euro continua a riscuotere grandi apprezzamenti, tanto che la stessa Presidente Von del Leyen  qualche mese fa gli affidato il compito di redigere un rapporto sulle sfide per la concorrenza in Europa. 

Draghi non è tipo da menare il can per l’aia, come si usa dire; è uno abituato a portare a termine gli incarichi che gli vengono affidati, e così il 24 febbraio, intervenendo ad un Ecofin (riunione dei Ministri dell’Economia della UE) informale a Gand, in Belgio, ha un po’ anticipato i contenuti del suo “rapporto”, che presenterà ufficialmente a giugno dopo le elezioni europee.

L’obiettivo dell’intervento dell’ex Presidente della Bce  in quel di Gand era chiaro.

Quello di “tastare il polso” alla politica, dopo il grande lavoro di ascolto degli studiosi, degli industriali, del mondo accademico, e di molte altre parti coinvolte;   e dopo aver raccolto un’ampia quantità di dati e fatti.

Cosa ha detto Draghi?

E’ partito da questa constatazione: ”Come tutti sappiamo, negli ultimi anni si sono verificati molti cambiamenti profondi nell’ordine economico globale. Questi cambiamenti hanno avuto diverse conseguenze. Una di queste è chiara: in Europa dovremo investire una somma enorme in un tempo relativamente breve. E non vedo l’ora di iniziare questa discussione per sapere cosa pensano i ministri delle Finanze e cosa stanno preparando su come finanziare queste esigenze di investimento. Qui non mi riferisco solo al denaro pubblico, ma anche al risparmio privato. Come verrebbero mobilitati questi risparmi privati in misura molto maggiore rispetto al passato. E non vedo l’ora di avere questa discussione”.

Questo dunque il punto di partenza, e poiché l’oggetto del rapporto è la concorrenza, occorre guardare a come si pone l’Europa nei confronti dei suoi competitors.

E su questo Draghi è stato molto chiaro: “Quando guardiamo ai nostri principali concorrenti, e agli Stati Uniti in particolare, il divario è ovunque: produttività, crescita del Pil, Pil pro capite.  Perché?   Ci sono tre serie di fatti: l’ordine economico globale in cui l’Europa ha prosperato è scosso; facendo affidamento sull’energia russa, sulle esportazioni cinesi e sulla difesa degli Stati Uniti, questi tre pilastri sono meno solidi di prima; la velocità nell’intraprendere la transizione verde sta imponendo un’esigenza di velocità nel cambiamento delle nostre catene di approvvigionamento e la velocità di cambiamento imposta dall’intelligenza artificiale nel digitale”.

Potrebbero sembrare le solite quattro parole in croce cui ci hanno abituato i nostri politicanti, ma Draghi ha parlato molto concretamente di numeri, di cifre, di soldi.

E non di pochi soldi, perché secondo lui per soddisfare i bisogni della transizione verde e digitale servono almeno 500 miliardi l’anno di nuove risorse, senza tenere conto di quelle necessarie anche per le nuove esigenze della difesa e degli investimenti produttivi. 

A occhio e croce si parla di 800 miliardi l’anno. 

Una valanga di soldi, che però sono indispensabili per cercare di ridurre il divario fra Ue e Usa che si sta sempre più allargando (si parla di un gap di investimenti dell’1,5% del Pil, pari appunto a 500 miliardi di euro).

E’ del tutto evidente che Draghi teme che l’Europa  diventi “il vaso di coccio tra vasi di ferro”, ed a suo avviso l’Unione europea non può permettersi di rischiare di perdere la sfida con  Stati Uniti e Cina .

E sul punto il suo pensiero è chiarissimo quanto sostiene che alla luce delle sfide globali  “anche i più duri isolazionisti in Europa devono rendersi conto che ogni Paese in Europa è troppo piccolo da solo”.

Io credo che questo sia lo snodo di tutto; vale a dire che se noi europei non ci rendiamo finalmente conto che nessun Paese, neanche i più ricchi come la Germania o la Francia, potrà affrontare da solo Cina e Usa, e tutto il resto del mondo, non si andrà da nessuna parte, o meglio si andrà verso la progressiva colonizzazione economica dell’Europa. 

Quindi?

Il punto di partenza è che, per questa sfida, il denaro pubblico non sarà mai abbastanza.

E di conseguenza occorre capire come mobilitare il risparmio privato in Europa così come è stato mobilitato negli Stati Uniti; e come mobilitarlo per investimenti produttivi (ovviamente parliamo di Unione dei mercati dei capitali).

Non è che in Europa manchino risorse, dato che i risparmi degli europei ammontano a 35mila miliardi di euro, un terzo dei quali, oltre 10mila miliardi, giacciono nei conti bancari

Sono soldi che dormono e non lavorano, quando invece dovrebbero contribuire alla crescita.

Si sa che Draghi è da sempre favorevole all’emissione di debito pubblico comune, gli eurobond per capirci, ed è altrettanto nota la freddezza con cui le Germania ed altri paesi del nord Europa guardino a questa ipotesi.

Da Gand sono trapelate indiscrezioni secondo cui dal dibattito dell’Ecofin  sarebbe emerso un forte accordo tra i ministri delle Finanze dell’Ue sulla diagnosi presentata da Draghi, ed anche un sentimento condiviso sul senso dell’urgenza di agire.

Se è vero (ma servono prese di posizioni ufficiali) si tratta di una buona notizia, perché credo che il momento dei tentennamenti, degli egoismi, dei nazionalismi, dovrebbe essere superato dalla coscienza che questo passaggio epocale rappresenta l’” esame di maturità della Ue”.

Non so se sia chiaro, qui si tratta di accettare di cedere sovranità; diversamente si rischia un progetto sgangherato, in una logica decentralizzata Paese per Paese (quindi sovranista), sullo stile del Pnrr, che non è stato, a dire il vero, un capolavoro. 

Mi auguro che lo capiscono anche i nostri Demostene che stazionano a Roma, ma anche tutti noi italiani dovremmo renderci conto che questi temi sono infinitamente più importanti per il futuro nostro e dei nostri figli rispetto, solo per fare un  esempio….., alle vicende matrimoniali di Chiara Ferragni. 

Umberto Baldo

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