A proposito di Vicenza, osterie, sopressa, Asiago e porchi… (parte 2)
Le osterie che non ci sono. Parte seconda.
di Alessandro Cammarano
“Tira più una fetta di sopressa che una coppia di buoi”; battute a parte il mio articolo sul del salume vicentino per eccellenza e sulla sua rarità negli esercizi del centro storico è stato letto e commentato come mai avrei pensato. (VAI AL LINK DELL’ARTICOLO)
Centinaia di commenti e un bel numero di condivisioni sono una bella coccarda da appuntarsi al petto.
Significa che l’argomento è, nelle sue varie declinazioni, ben più che sentito e questo a chi scrive non può che fare piacere.
Perché allora, come l’assassino che torna sempre sul luogo del delitto, non riprendere immediatamente l’argomento e approfondire la questione, magari puntualizzando qualche aspetto partendo dai numerosi commenti seguiti alla condivisione dell’articolo sui social?
Innanzitutto ringrazio chi si è preso la briga di impiegare cinque minuti del suo tempo per leggere tutto l’articolo, non limitandosi al semplice titolo; aggiungo un ulteriore ringraziamento a tutti coloro i quali hanno voluto lasciare un commento che nella maggior parte dei casi – a parte qualche leoncino da tastiera che ha voluto far sentire il suo ruggito – garbato e costruttivo, cosa non comune in un’epoca in cui l’insulto è diventato il più comune tra i mezzi d’espressione.
Urgono delle puntualizzazioni.
Il fatto che sopressa, Asiago, panbiscotto e vino comune siano facilmente reperibili nelle mescite della provincia, ma anche nei vecchi baretti di quartiere, non può che essere fonte di felicità; il problema è che in centro storico, quello che i turisti visitano e dove spendono i loro quattrini, sono praticamente introvabili perché assenti dai percorsi “canonici” (qualcuno ha fatto notare che qualche eccezione esiste, ma… appunto, non dovrebbe essere un’eccezione).
Che i vicentini doc sappiano perfettamente dove recarsi per trovare un aperitivo “alla vecchia” è un’ottima notizia – alla faccia dei crostoni con paté di rana tropicale e dei long drinks innovativi – ma resta il fatto che tutti questi posticini, qualcuno lo conosce anche chi scrive, restano poco accessibili a chi nella nostra città viene in visita per qualche giorno.
Molti hanno consigliato osterie, bar e ristoranti in varie cittadine e paesi della provincia, evidentemente e giustamente assai popolari tra gli autoctoni, ma Herr Müller di Francoforte o Madame Dupont di Aix-les-Bains non ne sa nulla semplicemente perché non rientrano nel circuito delle visite.
È proprio il percorso palladiano in città ad essere carente di proposte locali per quanto attiene alla ristorazione.
Allora cosa fare?
Piccoli suggerimenti.
In questi giorni riapre la terrazza della Basilica Palladiana che, alla faccia di tutti i modaiolissimi rooftop – oramai ogni albergo ne ha uno – in salsa meneghina, offre davvero un punto di osservazione impagabile su Piazza dei Signori e dintorni: perché non pensare ad un aperitivo completamente vicentino, servendo solo ed esclusivamente prodotti a chilometro zero e magari offrendo all’avventore la possibilità di acquistarli?
Mi spingo oltre, così faccio contenta anche la Copywriter incattivita autrice di uno dei commenti: e se lo chiamassimo “AperitiVI”?
Allo stesso modo si potrebbero sensibilizzare le cicchetterie trendy a servire, insieme all’hummus di fagioli zolfini, il mezzo uovo sodo con l’acciughetta o la fetta di musetto su polenta brustolà.
Perché non prendere esempio da Bassano? Città gastronomicamente – e non solo – virtuosa, tanto che anche nel “crunch” si trovano prodotti strettamente legati al territorio e alla stagionalità.
In questo momento è tutto un fiorire di asparagi declinati in ogni maniera possibile e i taglieri di salumi e formaggi sono lo specchio fedele della produzione locale.
È possibile che Vicenza si sia milanesizzata così tanto? Che il sushi “made in China” abbia sostituito con prepotenza il salame all’aglio e che all’Asiago stravecchio si preferisca il Bleu de Chèvre?
Ristoratori e baristi del Centro, riprendetevi ciò che di buono hanno da offrire i salumifici, i caseifici e le cantine del Berici e di Gambellara, senza campanilismi ma abbandonando allo stesso tempo un provincialismo che alla lunga nulla porta e finisce per rendere Vicenza uguale a tante altre città.
Ah, e che si impari dalla provincia e dai baretti di quartiere.